sabato, 20 maggio 2006 [link]
appunto # 0.6
in questa nazione non-stato c’è un’affinità tra gli ostacoli che incontra la scrittura di ricerca e gli ostacoli che incontra la ricerca universitaria.
è sostanzialmente conservatore lo stile medio di scrittura italiano, o regressivo. longanesiano sarebbe un complimento. è capace perfino di arretrare rispetto a quelle posizioni. qualsiasi quotidiano generalista conferma l’impressione. realismo o iperrealismo e feuilleton, narrativa di genere, tv, calcio, amaro, caffè.
è sostanzialmente conservatrice l’università, azienda a conduzione famigliare.
ritrattino
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appunto # 0.5
nel Dies irae i versi “mors stupebit et natura / cum resurget creatura” capovolgono il senso della wunderkammer.
nella camera delle meraviglie la natura e la morte stupiscono e fermano la creatura grazie a creature fermate. agganciate alla cenere, scelte e bloccate nella formaldeide. e lo specchio moltiplica questi pezzetti di buio, ne fa cataste di gallerie: praticamente il mondo intero.
revertere.
negli “ultimi giorni” del Dies irae, natura e morte escono sconfitte dall’inversione della freccia del tempo.
ma essendo ultimi, sono giorni invisibili. non saranno mai toccati o visti: quel “mors stupebit” è bloccato al tempo futuro, la forma/formaldeide verbale più labile
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appunto # 0.4
la richiesta di rispetto per il tempo che viene incendiato è incendiata spensieratamente
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appunto # 0.3
il silenzio su un testo indifendibile è a sua volta difendibile, come prassi critica?
si tace su un testo che si stima, per mancanza di tempo, per aggressione da parte della vita, per tante ragioni che non toccano il testo. (che rimane stimato).
ma si tace anche su un testo imbarazzante. allora: il semplice silenzio non è segno di alcunché. continua a non esserci soluzione. parlare con nettezza talvolta è impossibile. tacere è prassi ad alto rischio di fraintendimento.
la mitologia della rete liberante e in tutto libertaria è – come ogni mitologia – narrabile. quando qualcuno farà racconto minuto dei primi anni della rete vedrà grandi flussi e discorsi da un lato (dappertutto); e grandi intrecci di reticenze dall’altro (idem)
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appunto # 0.2
fanno i lavoretti. come dalle monache. allora mettono le mollette con la colla intorno all’anima del rotolo scottex. questo è molto bello; ma può essere non molto bello. di chi si sta parlando?
già. non è un “chi” singolare.
su un grave problema dell’arte contemporanea si interroga fin l’ultima gazzetta kitsch.
questo non interrompe l’interrogazione né aiuta a ripensarla. kingdoms rise and fall. il tempo passa
venerdì, 19 maggio 2006 [link]
appunto # 0.1
c’è stato un periodo della storia della poesia in cui il lavoro intellettuale di un autore chiedeva (e aveva necessità di) un riconoscimento da parte di una comunità. questa comunità valutava i suoi testi: emetteva dei giudizi, selezionava. (anche sbagliando. è implicita un’apertura di credito coraggiosa e però rischiosa nell’assegnazione di un qualsiasi ‘ruolo certificante’ a qualsiasi comunità – fallibile, certo. ma:)
una comunità è anche un’immersione nell’alterità del giudizio, nel controllo reciproco, nel conflitto, nel dialogo e dibattito: elementi positivi, non in assoluto, ma relativamente al discorso umano della letteratura. e al discorso e alla storia della letteratura tout court.
dissipatesi le comunità, o molte tra esse, e cresciuti esponenzialmente gli strumenti di autopromozione, ogni voce improvvisatasi autoriale, ogni adolescenza ha letteralmente potuto (e può) costruirsi una sorta di pubblico, un ruolo, una serie di strutture, praticamente una carriera; fingere di non curare l’editoria, o non curarla di fatto, anzi pagare tipografie, inondare il mercato di puerilia, negare l’esistenza della grammatica, distribuirsi o essere distribuita, assegnarsi un posto nel gioco, fomentare amici (e nemici), fingere un agone, clonarsi in rete, infittire la mestizia e vegetazione di un dilettantismo caparbio (anche nell’ignorare Baudelaire).
denunciarsi estranei a chi agisce così è complesso quanto pilotare un’astronave. una crepa nel vetro, e si è risucchiati nel vuoto esterno. (d’altro canto: che senso ha una qualsiasi tacita o verbosa condiscendenza verso il vuoto? quel che non esiste non può accedere all’esistenza solo per via di agitazione).
nessun cenno di miglioramento nel quadro