Archivio mensile:Dicembre 2022

brion gysin, 80s’ counterculture etc (andrew mckenzie)

https://www.briongysin.com/andrew-m-mckenzie-qa-gysin-80s-counterculture-topy-and-more/

dal 1 gennaio a roma: tre opere di ferruccio de filippi @ deposito solventi

https://facebook.com/events/s/tre-opere-di-ferruccio-de-fili/550213043651157/

LE OPERE RIMARRANNO ESPOSTE FINO ALLA METÀ DI FEBBRAIO 2023.

*senza inaugurazione VISITE SOLO SU APPUNTAMENTO scrivendo a depositosolventi@gmail.com oppure a info@pasqualepolidori.net

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Fra il 1971 e il 1973, Ferruccio De Filippi realizza una serie di opere che hanno in comune l’inclusione di uno o più libri fra i materiali adoperati.
Il primo di questi lavori fu concepito in occasione della mostra personale alla galleria Diagramma a Milano, nel marzo 1971. Ispirandosi al «Méphistophélès et l’androgyne» di Mircea Eliade, l’artista posa per cinque fotografie scattate da Mariella Bolzoni, in una delle non rare performance e azioni private attraverso le quali si muove la ricerca di De Filippi in quel periodo.
L’anno seguente, in risposta allo stimolo offerto da Mario Diacono a un gruppo di artisti chiamati a ragionare sulla «nascita della fine del libro come arca santa della parola irrilevante» (Diacono in «e/o», 1972) De Filippi presenta «Cultura prima e seconda», un’azione che coinvolge una copia di «L’archeologia del sapere» di Michel Foucault (Rizzoli, 1971), che l’artista tiene legata dietro la nuca mentre passeggia nel suo studio innaffiando una pianta di geranio.
La sostituzione dell’atto di leggere con l’atto di stare-presso-un-libro o di fare-qualcosa-con-un-libro è rafforzata in un’opera del 1973 esposta alla galleria La Salita, e il cui carattere enigmatico si annunciava fin nel titolo: «Cosa significa il responso dell’oracolo?» — domanda che troviamo stampata su di una cartolina che l’artista inviava a un numero ristretto di corrispondenti e sulla quale compariva l’immagine del Tesoro degli Ateniesi nel santuario di Delfi, elemento che insiste sul carattere archeologico dell’atto artistico.

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“poesia e no”: pignotti e miccini nel 1965 visti da (una rivista di) destra

Ignoranza dei fenomeni culturali e dileggio banalizzante sono nel dna della destra italiana, dalla pubblicistica all’accademia, ovunque. Un piccolo esempio, tratto da “Lo Specchio”  (5 dicembre 1965). Grazie alla collezione Oriente – Piscolla.

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filmando in città: roma 1977 (dall’archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico)

FILMANDO IN CITTÀ
Scheda integrale: https://goo.gl/pGgdSt

Casa di produzione: Lotta continua
Anno: 1977
Abstract: Un documento sui fatti sanguinosi del 1977 a Roma.
Il 2 Febbraio a Piazza Indipendenza dove vengono feriti e arrestati Paolo Tomassini e Leonardo Fortuna (Paolo e Daddo); il 12 Marzo in piazza Esedra e piazza del Popolo alla manifestazione per Paolo e Daddo; gli arresti del 1° Maggio. Il 12 Maggio, quando muore Giorgiana Masi, Renato Novelli giornalista di Lotta Continua intervista i testimoni oculari: Alex Langer per il 2 Febbraio e Mimmo Pinto e Carlo Rivolta per il 12 Maggio.
Il film denuncia l’operato degli agenti in borghese che, in numerose sequenze, si vedono e si riconoscono con le armi in pugno, a sparare sui dimostranti. Il film si conclude con le riprese del funerale di Giorgiana Masi

le scritture non integrate, né integrabili

rileggo un articolo di Antonio Francesco Perozzi, dello scorso anno: https://www.layoutmagazine.it/lirica-ricerca-saggio-poesia-teoria-del-tutto-poetico/.
e mi sorprende positivamente e piacevolmente un passaggio, soprattutto. questo: “Ecco, perciò, la natura quantistica della scrittura di ricerca: il testo non è proposto come massa, ma come sintomo di un’indeterminazione”.
non potrei essere più d’accordo.
meno in sintonia mi sento circa l’idea di una possibile/ipotizzabile “teoria del tutto poetico”. questo tutto, che sicuramente esiste, patisce (credo) il limite dell’aggettivo: “poetico”.
ipotizzo, invece: quanto più ci si avvicina all’oggetto di osservazione, ossia al campo di conflitti costituito dalle scritture contemporanee, tanto più ci si allontana da una loro integrazione e integrabilità, anche semplicemente come appezzamenti confinanti da unire o disunire vedendoli comunque come parti della più ampia geografia della “poesia”.

e, ancor meglio: ci sono delle “cose”, degli oggetti verbali non identificati, che non sono appezzamenti ma veri vettori di distanziamento dal genere poesia. talvolta perfino dal letterario.

verso la ricomprensione di alcune scritture sotto la dicitura “poesia” nutro la stessa sfiducia che provo verso ogni ipotesi di fusione o integrazione di alcuni elementi frammentari, prose brevi, schizzi, materiali irregolari, nel più vasto corpo della forma romanzo.

ci sono scritture che risultano cocciutamente ostili e contrarie a nutrire il predatore. si vorrebbero, anzi, all’opposto, velenose per quest’ultimo.

hanno tutta la mia simpatia.