affrontare un discorso installativo in arte (e nella scrittura) non solo non significa sganciarsi dal concetto e dalle prassi di una esecuzione del testo; ma anzi implica una attenzione accresciuta verso le regioni e ragioni della vocalità. della strutturazione – in praesentia corporis – dei colori e timbri e legature e pause del detto. (che, incidendo, getta riverbero sullo scritto. e lo modifica poi in concreto).
l’autore sente e sa bene di essere continuamente parlato da quello che è fuori di lui. sente che quando calibra le intensità e le andature, il passo dell’esecuzione del testo, della partitura, quando fa questo da un “palco”, deve agire al meglio solo per dare una voce appropriata a quello che prescinde da lui. (a quello che lo precede).
il testo è preso nella rete dell’esecuzione, ma certo preesiste alla piccola identità dell’esecutore. viene prima, resterà dopo – se è destino che sia così. le parole e la durata delle parole sono non interamente ma certo tendenzialmente (‘proiettivamente’) estranee alla cassa toracica che pure le forma, e si ingegna di modularle, modanarne i dettagli.
infine i corpi scompaiono, il linguaggio articolato (e forse in ultimo solo quello scritto) è il filo di dna che si trasmette. certo variando. la variazione e l’ombra stavano, però, da prima, ovunque. (anche prima del segno, qualsiasi sia).