aprile 2004

martedì, 27 aprile 2004   [link]
 

È uscito Bilico, di Andrea Inglese (Edizioni d’if). Uno dei meriti di questa piccola raccolta – verificati già nella precedente, Inventari (Ed. Zona) – è quello di lavorare sul registro lirico e su quello antilirico contemporaneamente, mettendo i due toni non in cortocircuito o conflitto, bensì dimostrandoli implicati, legati. Il loro è un serrarsi a scacchiera. Come nella realtà – ma non con neorealismo.


domenica, 25 aprile 2004   [link]

 

Sottrarre [3]

La stagione storica che dispone e sviluppa forme accumulative di produzione e analisi di ‘oggetti estetici’ (e così una diffusione di tipologie accumulative dell’interpretare) le applica anche a quei fenomeni che hanno funzionato almeno per un certo periodo secondo possibili logiche di sottrazione.

La fotografia è sì una tecnologia nata col maturare del capitalismo e dell’accumulo; e tuttavia su di essa può aleggiare precisamente, a differenza del cinema, la modalità sottrattiva. Una esplicita modalità sottrattiva.
Ad avvertire una simile modalità, la nostra stagione storica non giunge se non attraverso le proprie forme: ossia – come si è detto – per addizioni di foto, per tensione alla ricerca del senso in masse di materiali quali che siano. (Tutti senza distinzioni concorrono all’etichetta “bella immagine”, “foto accattivante”, perfino “riuscita”).
Questo non ‘deturpa’ uno stato presuntivamente edenico, moderno-sacrale, dell’arte, ma mette in discussione la possibilità per la fotografia di venir percepita anche come gesto della riduzione, dell’azzeramento di alternative.

Il modo accumulativo di interpretare ed esperire suggerirà insomma che – sempre – differenti e numerose alternative si offrono al/nel reale. E che il dato di senso e valore di un’immagine resta perlomeno inalterato “anche se”… (E la frase continua con migliaia di possibilità che si ramificano).

[ Questo ramificarsi funziona così bene da non aggiungere niente alla percezione. Le assomiglia tanto da limitarsi precisamente a replicarla. Così, in apparente paradosso, un modo di conoscere basato sull’addizione può non addizionare conoscenza. ]

Osserviamo inoltre: il cumulo si accresce perfino in forma intensiva: sulla stessa immagine. Ovvero: non solo vengono potenzialmente sentiti o di fatto conservati come interessanti migliaia di attimi posti prima e dopo quello della singola foto – la cui singolarità così si assottiglia – ma in più anche senza di essi la foto isolata ha milioni di altre vite compossibili: all’interno della sua manipolabilità in sede digitale.
Sappiamo che l’immagine singola(re) è già miliardi di altre, non appena sia stata acquisita da PhotoShop. È già diventata documentari di sé, promo in più varianti, pubblicità stretta. Non questo fatto – isolato – incide; bensì il nostro saperlo.

Questo, tengo a ripeterlo, non è “male”. È in ogni caso, bisogna dirlo, l’altro dalla fotografia – o da un certo tipo di fotografia. (Ammettendo nuovamente che giusto la fotografia come strumento di massa, è partecipe e testimone della fondazione di società basate su tipologie di accumulazione).

Quello dell’accumulo è pur sempre un versante della “fotografia come sottrazione” che… non è più sottrazione; o che non vuole si sospetti possa esservi sottrazione anche e proprio nel fotografare; e che infine rende estremamente problematico un certo modo di percepire la fotografia.

[ Ora sono ovviamente innecessari i tempi di posa lunghissimi delle immagini di Hill; e dunque è impensabile la feroce sottrazione realizzata – da lì – di ogni altro tempo e posa. Nella sua Piccola storia della fotografia Benjamin osserva che il procedimento stesso induceva i modelli che Hill ritraeva «non a vivere proiettandosi fuori di quell’attimo, bensì a sprofondare nel suo interno; nel corso della lunga durata della posa, essi crescevano insieme e dentro l’immagine». Implacabili, sottraevano in tal modo qualsiasi alternativa a quella posa. Questo si registra perfino dove vi individuiamo sfocature: esse non sono affatto ‘alternative’ alle linee incise, ma bruciano anzi come nicchie e insistenze, come un’esasperazione di incisione. Inoltre, le foto di Hill sono sì un procedimento sottrattivo ottenuto per obbligo tecnico: per necessità di impressionare la lastra. Ma costituiscono in ogni caso, anzi proprio così, un esempio cristallino – forse un’origine – del sottrarre in fotografia. ]


domenica, 11 aprile 2004   [link]

 

Di alcuni autori

Di alcuni autori giovani (per i quali tutto si gioca, come deve, sul piano della assoluta necessità – tessitura della pagina: ‘compiuta’) sicuramente si deve dire: formano già una generazione. (O meglio: una linea – frastagliata – di ricerche).

Costituiscono nei fatti, e in strutture e reti che vanno tuttora formandosi, una società letteraria. Per quanto possa spesso trattarsi di persone separate, lontane per distanze geografiche o letture o itinerari di ricerca; hanno una stima (tra loro e da altri) data e ricambiata, variamente diretta, che li lega; e li fa essere in dialogo.

Per loro è giusto cercare e studiare/affiancare strutture preesistenti; ma senza dubbio assume contorno e definizione un fatto: stanno (da tempo) producendo testi che hanno rilievo, posizione nei dibattiti, poesie e prose e saggi entro cui fin da adesso vedere scorrere in tessuto loro linee di riflessione, discussione, ragioni di poetica.

Pensiamo al saggio di Massimo Sannelli ora uscito sul n.3 di «Smerilliana» (e ai suoi libri di versi, tra cui il recente La giustizia); pensiamo al lavoro che nel tempo Cecilia Bello ha svolto su Emilio Villa, attraverso articoli che sono da considerare capisaldi della bibliografia critica. Pensiamo a una raccolta come Aspettami, dice, di Andrea Raos; o al poemetto di Sara Ventroni, Nel gasometro
Altri nomi da annotare sono quelli già incontrati da chi legge regolarmente questo weblog: Florinda Fusco, Mario Desiati, Marco Simonelli, Giovanna Frene, Andrea Ponso, Vincenzo Bagnoli, Alessandro Broggi, Fiammetta Cirilli, Alessandro Di Prima, Gianluca Gigliozzi, Ermanno Guantini, Andrea Inglese, Fabrizio Lombardo, Luigi Severi, Francesca Genti, Laura Pugno.

Questi autori (qui e ora accostati arbitrariamente: per [mia] prossimità alla loro ricerca) di sicuro non formano una compagine definibile gruppo. Ma, pur non essendo nemmeno interessati a una simile modalità di progetto collettivo, si incontrano e dialogano in ogni caso in avventure di riviste, siti, newsletter, convegni, letture pubbliche, presentazioni; visitano mostre e partecipano a eventi paralleli o incrociati; ascoltano – spesso cooperano a fare – musiche assai simili.

Alcuni di loro si ritrovano su «bina», altri (o gli stessi) su Nazione indiana, o «Nuovi Argomenti», oppure su «Accattone», «La Clessidra» (o «Atelier»), «l’immaginazione», o sul sito di Lello Voce, o su quello di Biagio Cepollaro (cfr. i suoi due Quaderni del blog Poesia da fare). Chi è a Roma frequenta la Casa delle Letterature, o la libreria Cythère-Critique (ai Banchi Nuovi), o la Fondazione Baruchello.

Separatamente e insieme hanno nel tempo fabbricato elementi e forme, strade e stili fra loro non conflittuali; un clima, anche, o una nuvola di variabili, magari disordinata e di sicuro non gerarchica, che probabilmente merita una storia e – ancora – sedi e siti.


sabato, 10 aprile 2004   [link]

 

La non raggiungibilità del mondo (dalle percezioni) a sua volta non è raggiungibile. Non è chiaro se ci si muova tutti verso un’irreversibilità di terrore e guerra globali (sembra non sia lecito eluderlo, l’aggettivo).
L’estensione delle fibre ottiche o radiofrequenze o campi elettromagnetici ovunque porta ovunque lo sguardo sulla morte. Ma (inversione spettacolare): porta la morte: tout court. Chi lo avrebbe detto? Chi avrebbe voluto vederlo?
Funziona bene, questa finalmente riuscita mappa 1:1 del pianeta.
Adesso vediamo che cosa la storia è sempre stata. Lo specchio dettagliatissimo è montato di fronte alle cose.


domenica, 04 aprile 2004   [link]

 

Sottrarre [2]

Se fino a parte degli anni ’60 l’istante scelto/còlto dal fotografo brillava di qualche accensione singolare incastonandosi nell’assenza di altri istanti, ossia di infinite altre possibilità spietatamente rese sfondo cancellato, si direbbe che successivamente lo sguardo abbia iniziato a contare perlomeno sulla illimitata manipolabilità dei segmenti di tempo, di immagine; e che specie ora sappia di poter in via eventuale montare in esteso o breve filmato (o immaginare montata) tutta una corolla possibile, anzi artificialmente procreabile, di foto ‘di secondo grado’: quasi poste lateralmente rispetto al senso.
È insomma il digitale.
Questo spettro di possibilità abbassa anche la temperatura della ricerca di senso esperita nella foto che rimane o che sentiamo rimanere – nonostante tutto – singola(re).
Intendiamoci: non è qui in gioco la grandeur dell’istante. Né il lato aristocratico e insomma un preziosismo del mezzo fotografico. Non si tratta di magnificare l’Irripetibile o l’Insostituibile.
Anzi, già l’atto di vedere non l’Eccezionale bensì qualsiasi cosa è, per principio, «vedere più di quanto si veda, accedere a un essere di latenza. L’invisibile è il rilievo e la profondità del visibile» (M.Merleau-Ponty, Segni).

Ci sono tuttavia formazioni grafiche e immagini ad alto grado di connotazioni e complessità di rapporti interni, per cui il loro pesare sul nostro sguardo, il loro dar senso, attraverso le strutture di ciò che semplicemente mostrano, attiene alla nostra parallela e insieme indimostrabile percezione che proprio quelle connotazioni e quei rapporti fra quelle strutture sono il risultato di una selezione spietata, di una sottrazione di alternative che – semplicemente – di fronte al risultato che spicca nella foto perdono importanza e svaniscono: ma contano infinitamente come sfondo di assenza, e come tale sono parte ineliminabile del passaggio di senso.

Questo passaggio è del resto un’addizione o arricchimento sia in termini linguistici sia in termini di esperienza. Una foto singola(re) staglia infatti una situazione o evento preciso e reale (cfr. Barthes, La camera chiara, paragrafo 35) in forme che sull’occasione di quell’evento esibiscono giusto la propria complessità di codici disponibili a intrecciarsi – in via del tutto pertinente – al reale, all’oggettività, dunque all’esperienza. (Dunque all’esperire).
La profondità e sottigliezza di linguaggi di quella foto singola(re) strutturata come la situazione di cui sa farsi emblema (cfr. le parole sulla «posa», nel paragr. 33 della Camera) esibisce la penetrabilità del reale, la sua non totale indisponibilità a venir organizzato comunque – contro e dentro l’accumulo di alternative o perfino dentro l’insensatezza che lo forma – in sintagma, in comunicazione. In sintagma e comunicazione, addirittura, “esemplari”.

La foto riuscita fa riuscire l’indagine sull’indagare. Se quella foto dice così tanto su quell’evento e su se stessa – commenta l’osservatore – forse ogni atto di visione non è atto qualsiasi; forse ogni atto di visione ha, può avere il pregio di saper seguire e stagliare, nel groviglio di rapporti senza direzione mappabile, il senso. Forse ogni sguardo ha una possibilità, anche ed esattamente entro i limiti di un solo e unico scatto, di tracciare le linee di senso implicate nel proprio interrogare il reale, gli eventi. (Quel che si dice ..avere colpo d’occhio).