giovedì, 30 dicembre 2004 [link]
Le strutture e prismi tra lavoro intellettuale e vita oggettiva sono modelli di molte frantumazioni interne a vita e identità – innanzi tutto – materiali.
La domanda non è se la forma-frammento (r)esista, in scrittura, ma se essa stessa non (si) sia spostata in una variata irraggiungibilità: nuova. In uno stato ancora differente, in una differenza che non ha più modo di essere dotata di codice – quale che sia.
Ci sono latenze di linguaggio che non sono altro linguaggio.
domenica, 26 dicembre 2004 [link]
Importante
Si prega di non inviare files né libri al mio indirizzo. Non è in nessun modo possibile fare alcun tipo di recensione, né leggere testi ora; ma nemmeno archiviarli. E la situazione sicuramente non varierà fino alla fine di gennaio. Testi inviati ora, in formato elettronico o cartaceo, non potranno essere conservati.
sabato, 25 dicembre 2004 [link]
Altra nota.
Quella stessa generazione che produce ‘la’ storiografia (e fa mercato, soprattutto mercato) degli anni Sessanta e Settanta, delle avanguardie e delle ricerche linguistiche e artistiche di due decenni-asse del XX secolo italiano e mondiale, condanna se stessa. Da un lato le sue misletture sono e saranno esposte ed evidenti. Dall’altro si vedrà quali responsabilità essa ha o ha avuto nel prodursi di differenze vergognose tra ciò che era possibile in quegli anni, e tutto quel che invece è accaduto.
La differenza
È palese la differenza tra quelli che solo trent’anni fa erano i concetti di curatela, di saggio, di introduzione critica, e quello che invece da circa dieci anni questi ‘luoghi’ sono diventati.
Tutto sommato il reale è sotto gli occhi di tutti: quanto è scritto rimane. Esiste ora; e resterà negli anni che seguono. Non sarà giudicato in base ad altri criteri che non siano la qualità, la serietà e severità di sguardo.
L’assenza di filologia non è una filologia alternativa ma solo miseria. Se esisterà ancora una storiografia letteraria con attributi di decenza, saprà osservare e giudicare la narrativa e la poesia e soprattutto la critica e il mercato editoriale che l’Italia degli ultimi dieci-quindici anni ha prodotto. (Gli stessi anni – guarda caso – della decadenza politico-sociale di questo paese; gli anni dei processi saltati, del suicidio della sinistra, della distruzione irreversibile del welfare; della peggiore televisione del mondo; del Partito-Azienda).
Sulle piccole sciocche laterali infinite scene del delitto della scrittura contemporanea sembra che si muovano solo primi attori. Alte tirature, altissime. Dunque il disastro e il collasso qualitativo della letteratura italiana contemporanea saranno certificati da documenti ultradiffusi. È un po’ come un assassino che stampi e distribuisca decine di migliaia di manifesti con la propria foto segnaletica. Prosegua così. L’aria è trasparente, il paesaggio nitidissimo.
mercoledì, 22 dicembre 2004 [link]
Un appunto (riproposto)
La visione di una Storia che avanza come macchina e incendia irreversibilmente le proprie orme è un’eredità di quel positivismo che giusto il XX secolo si è incaricato di far saltare. La realtà del gliommero gaddiano, dei labirinti di Joyce, del tempo recursivo in Kafka, dei compiti incompìbili dei personaggi di Bernhard, dei sogni concentrici di Borges e Cortàzar, dei tagli immedicabili e sempre medicati nelle scene di Beckett, non fanno altro che disegnare un modello di quel che la percezione (e l’esperire sensato-insensato) opera già normalmente in ciascuno di noi. Almeno nella variante dell’anthropos che sembra comparsa sul pianeta nell’arco di tempo delle ‘rivoluzioni originarie’ della modernità.
[Ossia: la rivoluzione industriale e la rivoluzione filosofica (Kant, Critica della facoltà di giudizio, 1790): che ricevono prestissimo unione e sigillo, traduzione, attuazione anzi addirittura tematizzazione in meccanismo, in/da un evento enorme, una callidissima inventio: la fotografia, 1839]
A una persistenza del senso, nella forma sempre interrogativa e inconclusa (incompiuta e critica) di senso-non-senso, alludono – proprio nella loro prassi – tutte le scritture recenti. Come puntatori – mai semplici ‘oggetti’ – che delle molte ricchezze del Novecento sanno fare saggio uso, scialo, gioco.
Credo abbia senso richiamare daccapo l’attenzione sulla centralità di una nuova freddezza, oggi presente in esperimenti di autori contemporanei. Giovani e non giovani. Senza dare a “freddezza” un connotato negativo. Rientrerebbero in questo possibile àmbito o ipotesi: la scrittura metaforica-metamorfica di Valerio Magrelli; le intermittenze di autoanalisi, e riferimenti ipercolti, di un autore come Giuliano Gramigna (si veda il notevolissimo Quello che resta); il controllo assoluto del testo – anche nel flettere verso dichiarazioni addirittura ‘politiche’, e civili – attuato da Franco Buffoni; lo sguardo algido, distaccato, che viene dai ritratti a penna di Valentino Zeichen; la superfetazione di immagini e storie, eccessive e ‘ciniche’, della poesia di Simon Armitage; la crudeltà fotografica e però narrativa di Robin Robertson.
Si tratta di una scrittura con basi di sana ossessione dell’osservazione (il referto, lo scatto b/n da morgue, o l’accensione da stampa cybachrome) che può nascere indifferentemente da scelte e studio rigorosi – al limite dell’ascesi – come dall’incandescenza di storie individuali, oppressione, dolore, lutto. Dunque dalle scritture per eccellenza fredde (Beckett, Ponge, gli autori ‘del segno’: di «Tel Quel» e «Anterem», anche) e da quelle per eccellenza calde (beat, Burroughs, Artaud): questo, dovendo elencare filiazioni solo letterarie. (Ed è un errore: si dovrebbe semmai – o in parallelo – cercare nella direzione della musica, nel jazz, nell’hip hop, nella fotografia e negli oltraggi di Matthew Barney, di Nan Goldin, fino al gelo puro di Boltanski, agli interni ostili di Luisa Lambri, di Alessandra Tesi, ai set di David Lynch).
Quali i nomi? Certo, molti esempi sono di voci femminili: Florinda Fusco, Elisa Biagini, S/z Mary, Sara Ventroni, Paola Zallio, Alessandra Greco, Laura Pugno, Giovanna Frene.
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Lieta notilla.
Non è difficile pensare che al fondo dell’Unheimlich sia una coscienza o memoria di quanto, all’inizio, nella madre, anche ed esattamente lì, non esistesse casa, proprio essendo.
Forse, cioè, il termine “heimlich” è esso stesso autonegazione, traccia o memoria di un passo falso, di un “non essere (mai) (stati) veramente a casa”, che taglia. Il prefisso “Un-“, allora, è solo il segnale indicatore, la freccia puntata su quella disavventura iniziale che è stata essere.
Il perturbante di non trovarsi nel luogo giusto coincide con il perturbante di riconoscere un tracciato bruciato, un contorno di errore, proprio in quel luogo presuntivamente caldo che era stato origine. Unheimlich allora non significa «ciò che non può rassicurarmi perché – pur familiare – non è il mio luogo», ma semmai «ciò che non può rassicurarmi perché brevissimamente – in un lampo di familiarità esatto – indica che il “mio” luogo era quello ossia non c’è ossia non c’è stato mai». (E che dovevo saperlo).
lunedì, 20 dicembre 2004 [link]
Premessa ad assenze imminenti (e scritti mancati)
Nella comunicazione, tecnicamente possibile e di fatto realizzata, semplicemente entrano dentro più cose – infinitamente di più – di quelle che una biologia riesca non solo a ricevere gestire e organizzare, ma anche semplicemente a sospettare. La chiusura del XX e il principio del XXI secolo comportano il non ascolto e il rumore di fondo (e dunque una crescita di arbitrio e violenza e insensatezza anche nelle arti) perché la mappatura del reale è [divenuta] di fatto più dettagliata e ramificata di quanto i cartografi potessero mai immaginare. La macchina in corsa eccede le capacità mentali – e il tempo di vita – dei progettisti, dei piloti, dei viaggiatori, dello stesso paesaggio attorno. Non c’è maniera di gestire né di osservare tutto ciò ‘dall’alto’: perché, rispetto a questo stato di cose, un alto non c’é.
domenica, 19 dicembre 2004 [link]
Un paese politicamente ed economicamente in bancarotta non può che produrre dei testi ‘rovinati’.
E anche: il ‘secolo del restauro’ produce la restaurazione? Plausibile.
Molti ottimi testi vengono scritti, in e contro ogni condizione, comunque.
lunedì, 13 dicembre 2004 [link]
Si è svegliati dal jingle delle merci, si è montati spostati smontati e rimontati dalle merci, e parlati e pronunciati da loro. Come persone.
Momento difficile per la scrittura ‘clus’. Anche perché l’estrema chiarezza del desiderio parla in tutte le bocche e da tutti gli occhi. Pago e acquisto; mi viene detto cosa c’è e allora la voglio.
Nessuno si aspetta di trovare un oggetto che chiede azione, lettura, indagine.
Se per anni il mondo viene incontro, incontrarne un frammento che chiede di essere invece raggiunto è sconcertante. Rifiutato, poi.
Gli oggetti in giro sono insomma già parlati e timbrati, ‘schiariti’. Ogni ombra è pensata come uno scarto.
(Immagini: milioni di insetti nel buio non sanno che farsene di opacità e variazioni di densità del nero. Ma reagiscono guizzanti con gusto sotto il fascio della luce indotta).
mercoledì, 08 dicembre 2004 [link]
«Nuovi Argomenti» n. 28: Questo non è un romanzo
(in tutte le librerie da martedì 7 dicembre 2004)
Nel numero in libreria dal 7 dicembre, «Nuovi Argomenti» si occupa di quei romanzi definiti scoppiati e massimalisti. Esistono libri che terrorizzano editori e lettori: opere cosmologiche, frammenti narrativi (a volte geniali, altrimenti prolissi e velleitari), cui uno scrittore affida, a volte in modo addirittura patologico e vanaglorioso, tutte le proprie energie e conoscenze. In Questo non è un romanzo c’è un piccolo campione di tale fenomeno: con testi di David Markson, Marco Mantello, Massimiliano Parente, Daniele Boccardi, Alessio Caliandro, Giovanni Heidemberg, Francesco Macrì, Giordano Meacci.
Nelle altre sezioni di questo numero della rivista:
Emanuele Trevi racconta una Laura Betti completamente inedita.
Nella sezione Scritture, nuove poesie di Mario Benedetti.
Marco Mancassola in un lungo racconto (o forse un piccolo romanzo) viaggia nella generazione dei ventenni e dei precari con una delle sue prove più belle.
La sezione chiamata La ragazza dal cappello rosso è il tributo a una voce interessantissima della nuova poesia italiana, Claudia Ruggeri, autrice leccese scomparsa nel 1996 a 29 anni e quasi del tutto inedita.
Giuseppe Genna e Flavio Santi scrivono del romanzo italiano di questi tempi, mentre Marco Giovenale con le foto di Francesca Vitale scava nella Sicilia tragica meno conosciuta (quella del terremoto del Belice, anche).
La sezione Cantiere contiene tra gli altri i saggi narrativi di Leonardo Colombati sul caso Thomas Pynchon e sul perché piaccia tanto, e di Vittorino Curci su Rocco Scotellaro.
Infine, continua l’esilarante e ‘inattendibile’ reportage di Alessandro Piperno. Il suo racconto dai luoghi bellowiani è giunto all’ultima puntata.
«Nuovi Argomenti», serie V, n.28, ottobre-dicembre 2004. Mondadori. Euro 10,00.
domenica, 05 dicembre 2004 [link]
Nuova serie della rivista «Frontiera»
Da settembre 2004, grazie a Gallo & Calzati editori, è tornato in edicola e in libreria il semestrale «Frontiera. Rivista di scritture contemporanee».
Pubblicazione già attiva negli anni 1995−2001, per cura dello stesso gruppo redazionale (che ancor prima aveva realizzato «Gli immediati dintorni»): Alberto Bertoni, Francesco Genitoni, Salvatore Jemma, Manuela Venturelli, Jean Robaey, Elio Tavilla; a cui si aggiungono ora Maria Gervasio, Cesare Giacobazzi ed Emilio Rentocchini.
Questo numero di avvio presenta versi, racconti, saggi: gli autori sono (oltre ai redattori) Pietro G.Beltrami, Nino De Vita, Edgardo Tito Saronne, Luca Egidio, Elisa Terenziani, Giorgio Bona, Andrea Cavrini, Paolo Valesio, Luisa Bonesio, Ben Cami (tradotto da J.Robaey), Stefano Massari. Le belle fotografie in b/n che arricchiscono il numero sono di Silvia Comazzetto.
Elemento ulteriore, e decisamente significativo, è la presenza di un cd audio accluso, con testi non proposti anche a stampa nel fascicolo bensì esclusivamente letti dagli autori: come vera e propria rivista nella rivista: «RADIO Frontiera. Audiorivista di voci e scritture». Nel cd si possono ascoltare uno straordinario Roberto Roversi che legge i vv. 2396−2620 della Terza parte del suo poema L’Italia sepolta sotto la neve; e i testi di Manuela Pasquini (da Volo di terra) e Vincenzo Bagnoli (da 33 giri stereo LP). A spaziare gli interventi delle voci, i brani musicali dei Two for tea: C.Molinelli e A.Simonini.
Nella crisi generale e constatabile delle riviste (ma della stessa forma−rivista) in questo segmento di storia recente, si deve augurare a «Frontiera» di attestarsi e crescere come segno energico in controtendenza. Il riferimento a Sereni è già un’indicazione di percorso, di opzione forte per la realtà (che non significa realismo); e di riferimento netto alla stessa eticità (dunque all’implicito valore politico) del lavoro culturale.
«Frontiera», via J.Barozzi 6/a, 40126 Bologna.
[ Segnalazione leggibile anche in Italianistica OnLine ]
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Nessuna abolizione della lirica è data integralmente nelle/dalle avanguardie, e nella scrittura di ricerca (termine ancora ‘esibibile’).
Molto lavoro prezioso è svolto invece nel senso di una non pacificata annessione alla lirica di territori (prevalentemente lessicali) che non erano storicamente frequentati dalla lirica, in un contesto linguistico che di fatto è stato ed è da secoli connotato da un certo uso di Petrarca.
Utile rammentare ripetere sottolineare che la formazione di medievista di Massimo Sannelli e il suo dialogo fittissimo con le avanguardie non solo italiane consentono una mobilità vitale e generatrice di senso, nel riaffrontare e riappropriarsi di |Petrarca| (così come di qualsiasi autore della tradizione).
Può essere non giustificabile e però spiegabile il ritardo della critica nell’osservare questi meccanismi. Nel tempo non sarà più nemmeno spiegabile (se non con l’iterazione della crisi della critica: che non si può negare, del resto).
sabato, 04 dicembre 2004 [link]
: 4 dicembre :
Stasera, alle 19:30, lettura di poesie di Franca Rovigatti, Maria Teresa Carbone e Marco Giovenale – insieme ad altri autori – presso La Porta Blu (Roma, Arco degli Acetari 40), in occasione della mostra della stessa Franca Rovigatti, Traccia, ragione, mutamento