“The Position of Things”: tutte le poesie di Adriano Spatola (.it + .en)

Un libro che fosse “il” libro di Adriano Spatola, con tutte o quasi tutte le sue poesie, si attendeva in Italia da anni. Bene: non senza logica, viene pubblicato negli USA, da Green Integer (www.greeninteger.com): i testi italiani sono accompagnati dalla fedele-acuta traduzione inglese a fronte di Paul Vangelisti, che con Beppe Cavatorta ha curato il progetto. Il titolo della raccolta è The Position of Things. Collected Poems 1961-1992, porta il numero 165 del catalogo G.I. e costa poco meno di 16 dollari (diciamo 10 euro e spiccioli).

È l’occasione migliore, per i lettori italiani e anglofoni, per (ri)confrontarsi con una delle voci poetiche più articolate, complesse e insieme generose dell’ultimo mezzo secolo. Qui, a eccezione della primissima raccolta del 1961, i libri di “poesia lineare” di Spatola ci sono tutti: Reattivo per la vedova nera (1964), L’ebreo negro (1966), Majakovskiiiiiiij (1971), Diversi accorgimenti (1975), Considerazioni sulla poesia nera (1976-77), La piegatura del foglio (1982), La definizione del prezzo (1992).

Come scrive Beppe Cavatorta nel saggio conclusivo del volume, questa traduzione inglese «rappresenta il culmine di un viaggio iniziato nel 1975 con l’edizione americana di Majakovskiiiiiiij, seguita nel 1977 da Zeroglyphics e, l’anno successivo, Various Devices [Diversi accorgimenti], sempre presso Red Hill Press, la casa editrice diretta e creata da John McBride e Vangelisti», a cui – si ricorda – dobbiamo versioni anche da Sereni, Porta, Costa, Niccolai.

The Position of Things è in parallelo il culmine di un’attesa pluridecennale anche per il lettore italiano, che può scandagliare adesso quasi tutta la produzione di un autore più in credito che in debito con la tradizione (post)surrealista, e con i tanti meccanismi delle avanguardie: cut-up, frammentazione e iterazione ossessiva, ricombinazione di segmenti irrelati, violenza e anarchia delle immagini, ricorso a Rimbaud, antilirica, gioco, metapoesia, invettiva, ironia, espressionismo, esplosioni materiche che non mancano di intrattenere – o forse avere per centro – un dialogo costante, laico e serissimo tra il linguaggio e il mito (come del resto si leggeva e si legge nelle pagine di Emilio Villa o Giuliano Mesa).

La lettura in sequenza delle poesie e delle prose di Spatola non fa che confermare la vitalità e le ramificazioni dei suoi ritmi ed estreme dissoluzioni, in cui «ogni singola parola è […] una tempesta di gesti».

MG

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[ recensione pubblicata su “il manifesto”, 14 maggio 2008, p. 12 ]