Per Gian Maria Annovi, nato nel 1978, Terza persona cortese. Reality in sette visioni, appena uscito per le Edizioni d’If, costituisce la seconda pubblicazione in raccolta, a quasi dieci anni di distanza dalla prova di Denkmal (Edizioni dell’Obliquo, 1998). Non sono stati dieci anni di silenzio assoluto, dato che il percorso di questo autore non ancora trentenne si è disseminato su riviste e in antologie, ma di sicuro la lunga pausa testimonia, oltre che della significativa precocità dell’esordio, anche della fatica non solo di esordire, ma di continuare dopo aver esordito, che i poeti della generazione grosso modo compresa tra il ’68 e il ’78 incontrano, anche se il paesaggio appare oggi meno cupo di dieci anni fa. Non è però, ancora, un paesaggio rassicurante, tant’è che Terza persona cortese si presenta come libro-ombra di un altro libro, una raccolta più corposa, titolata Secondo persona e tuttora inedita, cui questa plaquette avrebbe dovuto dare seguito e completezza.
Scheggia sfuggita a un oggetto ancora non entrato nel campo di identificazione dei nostri radar, o, nelle parole dell’autore, «predella di un polittico invisibile», Terza persona cortese è, come racconta il testo stesso, «un dialogo per voce sequestrata e persona che tace, dialogo che ha luogo in sette camere, al tempo stesso stanze di una realtà ridotta a reality e inquadrature-visioni offerte al lettore/spettatore». L’attenzione concentrata sul corpo che Annovi mantiene da sempre polverizza così il suo oggetto da monumento che forse un tempo ha avuto la densità e la forza di essere (questo il significato, in tedesco, di Denkmal) a visione abbacinante e pixelata. In uno spazio claustrofobico e spoglio – che possiamo immaginare impersonale come le tante case che il Grande Fratello ci ha offerto in questi anni, popolate da corpi che alla velocità della luce perdono identità nella memoria collettiva – avviene così, già nella Terza persona cortese, quel trapianto dell’Io nel Tu, che Secondo persona racconta esplicitamente, scegliendo a epigrafe il verso dantesco che recita «S’io m’intuassi, come tu t’inmii», o facendo della «Seconda persona variabile», questo il titolo di una delle sezioni interne alla raccolta inedita, la «Stella variabile» appresa da Vittorio Sereni. E del resto, quella di Annovi è una poesia ipercolta, che si acquatta nel gioco delle citazioni – se di gioco, e di citazioni, poi si tratta – come il ragno nella sua ragnatela.
In questo Io che è, e continua tenacemente a esistere, ma diversamente a seconda delle persone (personae, latinamente maschere) in cui come in un crudele Gioco dell’Oca si nasconde, resta tuttavia sempre presente, anche dopo il trapianto nel Tu, il rischio del rigetto: la dimensione quasi ospedaliera (aggettivo definitivamente legato ad Amelia Rosselli) che paralizza il corpo del soggetto fatto oggetto, e lo scenario di rituale con tocchi sadomasochistici che lo avvolge, appunto, come una ragnatela, servono a tenere a una distanza sempre continuamente divorata, e quindi sempre continuamente da ristabilire – da tessere – proprio questo rischio. Perché il Tu non è mai un luogo sicuro.
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Laura Pugno
Recensione comparsa su “il manifesto”, 8 maggio 2007, p.13