Sandro Ricaldone
Quarto Pianeta Festival
IL PIEDE
Scultura teatrale di Dario Bellini
ex O.P., via Giovanni Maggio 4 – Genova Quarto
Aula 7
sabato 22 ottobre 2022, ore 19:00
Il Piede di Filippo Tommaso Marinetti, andato in scena al teatro Dal Verme di Milano nel 1915 e mai più rappresentato, aveva, secondo le ricostruzioni, la quarta parete aperta su un baratro spazio-temporale.
Riapparso in sogno con tutti i dettagli della messa in scena all’autore nel 2015 costituisce il primo dei quattro livelli di una scultura teatrale di Dario Bellini.
Primo livello: Il piede, appunto, inedita e plausibile pièce di Marinetti;
Secondo livello: l’interazione polemica col pubblico;
Terzo: arte sull’arte, annoso meta-testo tra la pressione degli eventi e le ragioni dell’arte;
Infine quarto livello: gli slogan, i diktat inamovibili cui siamo incatenati.
Il piede, così concepito, è una commedia con un epilogo patetico e senza alcuno sviluppo.
Il pubblico è diviso in due per ricostruire idealmente un confronto tra il pubblico della prima rappresentazione nel 1915 e il pubblico di oggi.
Ciascuno vede solo una parte dello spettacolo, ma sente le voci di entrambi i lati.
Il primo livello è diretto da un regista (Andrea Manni), il secondo ed il terzo da un altro regista (Dario Bellini). Il quarto livello è gettato nelle probabilità del caso.
La scultura teatrale descrive mediante le parole un profilo nell’aria come si trattasse di una normale scultura.
Il profilo si delinea coi pensieri. Non è teatro! Sembra, teatro, ma non è teatro. Non è 900! Sembra, 900, ma non è novecento.
Non sembra arte visiva, sembra più teatro. Ma non è più novecento e l’arte visiva si è molto allargata, fin dentro il teatro. Oltre il teatro. Fa finta di essere teatro per disputare su ciò che è, o non è, dell’arte visiva. Non ha un punto di applicazione, sono solo chiacchiere.
“Chiacchiere non direi, sono chiacchiere, ma interessanti. È politico tutto ciò? Assolutamente!”
SCULTURE TEATRALI
Di cosa parliamo? Di cosa vale la pena parlare? Qual è l’argomento, quali sono gli argomenti?
Con tutto quello che succede in giro sono queste le domande da farsi?
Ci sono un mucchio di faccende di cui occuparsi. Sciagure, guai di ogni genere, torture e repressioni. Dittature e rivendicazioni. Argomenti, dunque, in quantità industriale. Cause. Ottime cause per cui battersi, e morire anche, se occorre… e molti vi muoiono, infatti.
Ma sono questi gli argomenti? Sono queste enormità gli argomenti dell’arte? O non è che l’arte vi si appiccica per darsi appunto un argomento? Per non diventare esclusivo gioco di design o… panna montata? Schiuma che cola, magari?
La parola come un movimento rallentato che dilata il tempo e lo riempie di accidentalità. Bill Viola e Douglas Gordon hanno usato ampiamente il rallentamento aprendo intervalli come radure che lo
spettatore colma con la propria immaginazione. I futuristi avevano teorizzato la simultaneità nel movimento e le avanguardie hanno cercato di far coesistere punti di vista temporalmente impossibili nella realtà. Inoltre il rallentamento ha a che fare con la dimensione. Anche la grandezza della scala contribuisce a innescare il rallentamento, come avviene dall’espressionismo astratto in poi, sintetizzare nello sguardo istantaneo e totale la specifica modalità dell’occhio, vago e all-over. Il fuoco oscilla poco più in là o più in qua della superficie del dipinto.
La parola nella scultura teatrale ha un po’ la stessa funzione, satura lo spazio di chiacchiere, sì e no importanti, e immerge lo spettatore-interlocutore in una dimensione di galleggiamento nel senso.
Ogni parola dovrebbe contenere uno schiamazzo, ed è così infatti, dentro le parole o le immagini ci sono un sacco di faccende, a dipanarle c’è da sollevare un vespaio.
In molte serie televisive, anche quelle visivamente più potenti e d’azione, si aprono molto spesso parentesi di dialogo dalle dimensioni inusuali in un film, anzi potremmo dire che nelle serie sono proprio le parole, la messa in campo dei dilemmi, delle motivazioni delle scelte, cui non si era abituati negli anni scorsi a tenere il campo. In realtà l’azione non ha che lo scopo di verificare contrapposizioni o ipotesi a proposito delle quali i personaggi si sono ampiamente dilungati.
Dario Bellini