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luglio 2005

domenica, 31 luglio 2005   [link]
 

la chimica grafica di Hans Bellmer spiega dispiega l’indistinzione delle parti del corpo femminile come modello dell’indistinzione tra corpo e mondo. modi del mondo. chi vive in un’immagine di Bellmer, per quanto dolorosa indecorosa questa sia, constata dialogo – compresenza dei solidi. ecco: non ha problemi con l’urgenza del mondo. come dicesse: «se acconsenti a essere ridisposto e ridiscusso dal corpo che ti fonda, dalla geometria perfino, non avrai difficoltà di relazione con nulla. senza per questo essere nulla, né oggetto». puoi toccare e essere toccato. coscienza e luogo compresenti. non è solo un teatro crudele, né interamente – certo – abitabile.


domenica, 24 luglio 2005   [link]

 

[ variazione da una lettera ]

     

      

C’è forse da ripensare e rifare un discorso sul trobar clus paradossalmente tuttora penalizzato in un paese che già di suo non conta su fasce di ‘lettori forti’ di poesia, in generale.

       

Non si deve essere necessariamente insoddisfatti del ‘cono d’ombra’, di invisibilità e non diffusione (non distribuzione dei libri) in cui sono talvolta catturate e bloccate alcune scritture di ricerca; molto si dovrebbe semmai esser preoccupati per il tipo di lettura o mislettura o non-lettura che di fatto orienta i percorsi editoriali.

       

A me sembra normale (o necessario proprio perché inquietante, perché è sfida) leggere opere di ricerca. O, se vogliamo lasciare da parte il tema della “ricerca”, direi: leggere scritture produttrici di senso-non-senso, di senso non ‘garantito’ da codici pienamente noti ai leggenti.

    

(Per intenderci: che motivo abbiamo di cercare forme e testi che ci dicano soltanto, nel modo che già conosciamo, quello che già sappiamo?).

             

A un numero alto (o basso ma potente) di editori o redattori – o lettori ‘forti’ – sembra invece pacifico e definitivamente acquisito confrontarsi solo e sempre con pagine ready to eat. (Ready made?). Prosa liscia, poesia piana.

        

In questo contesto va perfino ricacciata indietro e mitigata la tentazione di dire che la scrittura clus non è un problema primario (perché di fatto non lo è: molta scrittura è eminentemente di ricerca senza essere clus). Si vorrebbe pensare a indagini e sottili distinzioni fra varie aree di scritture che (diciamo così) fanno del linguaggio un problema e una sfida e non uno strumento o uno schedario aristotelico che ignora Wittgenstein.

        

MA di fatto non si può. L’italofono colto medio non ci è mica mai arrivato al secondo Wittgenstein…

       

Diamogli tempo, che diamine. Deve ancora attraversare tutto il Novecento, forse perfino un pezzo di Ottocento (francese). È ancora in trincea: e con Ungaretti; non ha idea del fatto che il Mauberley è del 1919 (si sorvoli su arti visive e musica). Montale devono proprio spiegarglielo. Dopo la spiegazione allarga le braccia e ghigna di sospetto.


domenica, 17 luglio 2005   [link]

 

Continuiamo

            

di Andrea Inglese

su www.nazioneindiana.com dal 12.7.2005

  

     

      
Cominciamo da questo. Nazione Indiana non sarà più la stessa, questo credo lo si sia capito subito, dopo che Antonio Moresco, Tiziano Scarpa e Carla Benedetti hanno annunciato la loro dipartita. Ma questo blog collettivo di scrittori, intellettuali, artisti continuerà ad esistere. Non sappiamo ancora dire in che forma, non sappiamo neppure dire fino a quando. Eppure ci siamo incontrati in tanti. Ci siamo incontrati con coloro che hanno deciso di andarsene e con coloro che hanno manifestato un forte desiderio di continuare. Continuare non sarà facile, non è indolore e costringe quelli che restano ad un’assunzione di responsabilità maggiore. Tutto ciò implica una ferita, implica lo stare nella ferita, nella consapevolezza di ciò che si perde e, nello stesso tempo, nella percezione di qualcosa di vivo, di nuovo e di imprevedibile che può nascere da questo dolore.

Quanto qui sto cercando di scrivere, è una forma di risposta elementare, ma necessaria, a quei lettori e commentatori di NI che hanno provato, anche loro, un minimo strappo, un dolore percepibile, in un angolo anche remoto del loro essere. Un fatto culturale, se esiste, se non è morta ripetizione dell’identico o grado ulteriore di assuefazione al mondo, è anche affetto, getta radici nelle pieghe emotive dei pensieri, irradia di sé le aspettative di un domani più felice e giusto. Questa mia risposta, e le altre che verranno dagli “indiani superstiti”, vogliono ribadire una possibile fiducia, un patto di ascolto reciproco, proprio attraverso un condiviso sentimento di rottura, di dolorosa rottura, che le recenti vicende del sito hanno suscitato.

Per altri lettori-commentatori, il perdurare, pur nell’inevitabile metamorfosi, di questo blog collettivo sarà un’allegra occasione di nuove scorribande, un feticcio telematico tra gli altri da dissacrare, ronzandoci intorno con maniacale insistenza. (Verrà un giorno in cui si studieranno le patologie “leggere” di alcuni utenti della Rete, la cui identità segreta o palese dipende in modo parassitario da qualche totem da bersagliare con puntualità quotidiana.) Altri ancora non troveranno più ragione di anatemi, andando via le personalità più “celebri”. In ogni caso, tutte le difficoltà, le velleità, gli incidenti, gli equivoci dell’asimmetrico, a volte fecondo, dialogo telematico ci attendono nuovamente.

Per articolare questa prima, provvisoria risposta, userò la mia voce combinata con quella di altri indiani rimasti, procederò per montaggio, prelevando dalla fitta corrispondenza che è nata fra di noi in questi ultimi tempi. Lascerò probabilmente fuori qualcosa di molto importante. Ma ognuno degli indiani superstiti potrà colmare la lacuna e la dimenticanza. Ed esprimere anche il suo accento più particolare.

       

1. La ferita

           
Helena Janeczek:

Zeige deine Wunde, < > è il titolo di un’istallazione di Joseph Beuys (…). Credo che per noi che restiamo e che di giorno in giorno decideremo di restare sia bene, sia segno partire dalla ferita, non cercando di nasconderla.”

(La ferita, lo stiamo sperimentando, non implica solo una postura fetale-depressiva, ma anche l’agitazione sghignazzante dell’infebbrato, che corre in avanti verso un’improbabile salute.)

       

       

2. Un incontro di commiato e di progetto

           
C’è stato l’1 luglio a Milano un incontro al “Teatro I”, che ha coinvolto ventitre persone, alcune delle quali non si erano neppure mai viste prima di persona. Persone che venivano anche da lontano: Firenze, Roma, Napoli, Parigi. C’erano: Helena Janeczek, Andrea Raos, Gianni Biondillo, Tiziano Scarpa, Sergio Nelli, Carla Benedetti, Sergio Baratto, Benedetta Centovalli, Andrea Bajani, Giovanni Maderna, Renzo Martinelli, Federica Fracassi, Antonello Spartani, Michele Rossi, Giorgio Vasta, Franz Krauspenhaar, Roberto Saviano, Gabriella Fuschini, Jacopo Guerriero, Giulio Mozzi, Antonio Moresco e il sottoscritto. C’era anche Jan Reister, che ha donato la sua intelligenza, il suo sapere e il suo tempo per far sì che, materialmente, il blog potesse nuovamente esistere. E credo sarà costretto, anche in futuro, a vegliare sull’analfabetismo telematico di alcuni di noi.

Non proporrò qui un resoconto della discussione che c’è stata tra di noi. Due ore fitte, in cui ognuno ha preso la parola, e ha espresso senza rabbia ma senza neppure eufemismi le sue ragioni e le sue critiche. La ragioni del commiato e delle critiche a ciò che NI era diventato, espresse da Moresco, Scarpa e Benedetti, a cui si sono aggiunte quelle di Sergio Nelli, Sergio Baratto e Benedetta Centovalli. La ragioni di continuare e, a volte, le critiche ai fuoriusciti sulle modalità di affrontare i conflitti interni, espresse da chi ha deciso di restare. C’è poi un piccolo numero di persone che, pur non condividendo le ragioni della fuoriuscita, ha manifestato l’intenzione di prendersi tempo per giudicare l’opportunità o meno di continuare una tale avventura dopo l’abbandono dei tre fondatori-ideatori.

Helena Janeczek:

“Su venerdì [1 luglio] vorrei aggiungere solo questo: c’era un clima di forte affetto e rispetto (molto più che di incazzatura) e secondo me di enorme onestà. L’onestà prima di tutto di non defilarsi dal conflitto, di non smussare furbescamente le posizioni.”

Ciò che di questo incontro vorrei sottolineare è la consapevolezza di tutte le ventidue persone presenti, che il funzionamento del blog non era l’unica ragione che ci teneva o ci aveva tenuti assieme, e questo è valso sia per i fuoriusciti sia per i superstiti. Il blog, insomma, non è stata né sarà per noi una semplice “vetrina” strumentale, attraverso la quale agire in perfetta noncuranza di quanto un altro membro fa o scrive. Questo credo sia la differenza fondamentale tra un blog individuale e un blog collettivo. Non si tratta di passare semplicemente da una forma monologica ad una forma polifonica. Lo abbiamo forse in certi momenti dimenticato, ma Nazioneindiana voleva essere associazione di individui oltre la rete. Non solo traiettorie parallele, ma anche nodi empatici, incontri di persone vive, che combinano le loro energie per azioni comuni, nel mondo. E mi auguro che sia veramente questo, il nostro blog, anche in virtù dei tanti progetti che stanno nascendo: non solo l’esito di attività solitarie, ma un punto di passaggio, un crocevia di gesti e di voci, dal quale poter ritornare al mondo come gruppo, modificando le nostre solitudini, moltiplicando le nostre forze d’azione sul contesto culturale che ci circonda.

Roberto Saviano (in una mail di maggio, poco dopo la lettera di abbandono di Moresco):

“E non vale l’ipotesi che ognuno ora potrà aprirsi il suo blog. Quel che io scrivevo poteva avere valore nella rete del progetto, solo invece diventa un lacerto specialistico. Che un pezzo sulla guerra di Secondigliano poteva non essere differente da una recensione d’arte, che una riflessione su Coltrane non è diversa dall’analisi sull’editoria. Questa è stata la nostra battaglia. Militare culturalmente, intelligere, unire il molteplice in un canale unico di forza e potenza dove la parola ha un imperativo nel reale, nel tempo che viviamo senza dover scadere nella cronaca o nell’immediato. Una strana e rara alchimia. Ma non saprete mai quanto si è innescato e quante tracce siamo riusciti a lasciare. Era la forza d’insieme. Il progetto molteplice, corposo, diversificato. Il Teatro I per molti di voi parrà una delle possibilità, una delle tante. Per chi, qui a sud, è malato di assenza di spazio e di possibilità il Teatro I era una forza straordinaria.”

      

       

3. La rottura

           

“Non ha più senso andare avanti assieme: i dissensi frenavano la radicalità del progetto.”
“Non ha senso separarci: i dissensi imponevano al progetto di articolarsi ulteriormente, senza perdere di radicalità.”

Una chiave di lettura di questa contrapposizione, fornita dai noi che rimaniamo mi sembra offerta da queste parole di Giorgio Vasta:

“Per quanto mi riguarda venerdì (1 luglio) si è generato e consumato un paradosso, qualcosa che ha in sé elementi tragici ed elementi comici. Quello che mi è sembrato di constatare in pressoché tutti gli interventi è un’unanimità che non riguarda specificamente gli intenti, le azioni particolari, le strategie e prima ancora la formazione e l’orientamento intellettuale (ambito nel quale credo continui a esserci una forte eterogeneità – e non penso che questo sia un male, per niente) ma che è un’unanimità di sentimento, di percezione, mi verrebbe da dire di intensità.

Che l’esito di questa unanimità sia la scissione mi sembra per certi versi una forma di autolesionismo, dall’altro il risultato dell’intrecciarsi di tante e troppe variabili che a un certo punto sono diventate incontrollabili e hanno fatto venire meno quella fiducia istintiva e inverificabile che mi sembra sia sempre stata il denominatore comune del rapporto tra i diversi indiani.

Come ho detto durante la riunione io non ho avvertito le obiezioni poste in occasione del convegno (sull’editoria) come una forma di negazione del progetto nazione indiana e come una corruzione del medesimo, ma al contrario come una sua ulteriore articolazione. Pensare di ripercorrere a ritroso la strada che ha portato all’equivoco e alla forzatura non è servito e non servirebbe neanche adesso. C’è un momento nel quale un processo diventa irreversibile e, pur con tutta la sofferenza che questo comporta, continuare a opporsi non ha senso.”

      

      

4. Chi saremo ora?

      

Helena Janeczek:

“Noi superstiti ci troviamo ora su un piano di maggiore parità, senza che in questo ci sia alcun merito. Ci sarebbe invece se riuscissimo a trasformarla in quello a cui credo mirasse Andrea Raos, usando la parola ‘fratellanza’.”
Andrea Raos:

“Vicinanze, non ne accetto (non è questo che intendevo con ‘fratellanza’): ma solo distanze – fortificanti, intensive. E queste distanze le desidero fra di noi (…) Nella mia vita di scrittore ed intellettuale sono sempre andato ad istinto, a prossimità fisica, per ricerche di accordi e disaccordi comuni che comunque apportavano qualcosa al dialogo.”

Helena Janeczek:

“Non siamo – sembrerebbe – pochissimi, almeno al momento, ma siamo senz’altro molto più deboli. Però credo che dovremo cercare di rovesciare questa debolezza, perché questa contiene per ciascuno di noi una grande possibilità di crescere, di rilanciare, di creare insieme. Perché ci chiama a impegnarci e a rimetterci in gioco di più, a confrontarci più apertamente. Tutto questo però assolutamente non in un’opposizione infantile a ciò che faranno i fuoriusciti: che per me restano compagni di strada su vie, in questo momento, divergenti.”

Cos’è che fa esistere un gruppo? Cos’è che fa esistere un gruppo di scrittori, intellettuali e artisti, oggi, provenienti da città, ambienti, formazioni tanto diverse?
Voltiamoci un attimo indietro. Che cosa ci ha fatto esistere fino ad ora?

Roberto Saviano (mail di maggio):

“La forza libertaria del sito e del gruppo risiedeva nella costruzione multiforme, non regolamentata, nella garanzia della libera scrittura. L’essere così realmente molteplice, non come un quotidiano liberale o come una trasmissione televisiva che garantisce il confronto di diverse voci per meglio far emergere vincente la propria. Non si trattava di dibattiti e confronti. Le idee e i pensieri si almanaccavano con la propria forza senza avere altra garanzia che il proprio impegno e l’articolazione delle riflessioni. Il valore aggiunto era questa capacità di seguire, di raccontare, di citare, di riversare nel vaso del sito. Attraverso le volontà e le sensibilità dei partecipanti, senza un canovaccio che garantisse tutti i tracciati ma lasciando che le scorribande, o i certosini orpelli, o le disciplinate riflessioni, o i frammenti più impuri, rappresentassero il nostro tempo e non solo. Un presente caotico che riusciva ad essere più completo dei più rigorosi composti giornalistici e dei più regolamentati luoghi di riflessione.”

Ora, è importante qui riconoscere i propri debiti. Colui che, fin dall’inizio, ha impresso all’esperienza di Nazioneindiana questo carattere libertario è stato senza dubbio Antonio Moresco. È stato lui il gran catalizzatore delle nostre solitudini. Lui per primo a scommesso sulle “distanze intensive”. Ed è stato così che, in NI, ci siamo trovati non in virtù delle nostre comuni e condivise appartenenze, ma in virtù delle nostre inappartenenze, delle nostre solitudini, del nostro statuto di orfani, disertori, infedeli. Incontrandoci in NI è come se ognuno avesse un po’ tradito il proprio gruppo d’appartenenza: editoriale, accademico, di genere letterario, di dottrina politica, ecc. Ognuno ha tradito un po’ la sua tribù, per ritrovarsi in NI con altri “barbari”, dal vocabolario e dai percorsi molto diversi. Spesso, poi, i tradimenti si erano già consumati da tempo. Come ha detto Giorgio Vasta:

“Non ho mai fatto parte di un gruppo, neppure di quello delle Giovani Marmotte quando ero bambino”.

Un gruppo di “cani sciolti”, dunque. In quest’ossimoro starebbe la nostra forza? Non solo. Io non ho mai vissuto, ad esempio, l’identità di “indiano” come qualcosa di esclusivo. Pur avendo fin da subito, e con passione partecipato alla vita di questo blog, non ho mai creduto che potesse conferirmi un’identità specifica. Ma questo non era per me un limite di NI, né un mio volermi tenere un passo indietro. Credo che sia stata la sua impronta libertaria a caratterizzare NI come un luogo d’incontro e di attraversamento, piuttosto che come un luogo di posizione e radicamento. Questa modalità di fare gruppo non è ovviamente priva di limiti evidenti, ma su questo tornerò più avanti.

(Un’esperienza simile a quella di NI, nata anch’essa con un’impronta fortemente libertaria, ha portato ad un volume collettivo uscito nel 2000, Ákusma. Forme della poesia contemporanea, per la Metauro Edizioni. Io e Raos vi partecipammo, assieme ad altri 49 poeti. Ci incontrammo tutti quanti, raccogliemmo una gran quantità di materiale teorico e critico, e completammo il lavoro con un’autoantologia di testi. In seguito organizzammo a Roma e a Milano una serie di incontri e di letture con il pubblico. Allora il gran catalizzatore di solitudini, nonché l’ispiratore “libertario”, fu il poeta Giuliano Mesa. Ricordo questo avvenimento, perché nel mondo della poesia fu davvero uno spostamento notevole, rispetto alle attitudini prevalenti nel campo (cordate compatte, intorno a qualche critico-faro, a qualche manifesto di poetica, a qualche rivista o a qualche poeta-maestro). L’anomalia delle iniziative “akusmatiche” fu punita con un meticoloso silenzio da parte degli altri addetti ai lavori. Ma questo non intaccò più di tanto la nostra convinzione che la strada era comunque giusta e che, nonostante limiti e debolezze del progetto, andava battuta. Ákusma, infatti, rinascerà presto come sito in Rete. Rispetto ad Ákusma, NI presenta comunque un ulteriore e importante punto di forza. Lo spirito libertario coinvolge e intreccia qui percorsi che vanno al di là dell’ambito ristretto della poesia. Il che, sia detto chiaramente, non è un vantaggio solamente per il poeta, che ritorna a dialogare quotidianamente, come dovrebbe essere normale, con narratori, romanzieri, registi, attori, ecc. Il vantaggio, infatti, credo sia davvero reciproco, e più in generale tocca chiunque esca dal suo campo culturale specifico, dal suo vocabolario, dal suo punto di vista di genere.)

Riprendiamo la domanda iniziale. Cos’è che fa esistere un gruppo? Un gruppo potrebbe essere tenuto assieme e rafforzato da una comune visione del mondo, un’ideologia, un’insieme di idee e valori forti intorno ai quali organizzare la propria esperienza della realtà.


Ma oggi siamo enormemente timidi, rispetto a questo. Enormemente diffidenti. Davvero pare di sentire insofferenza e scetticismo nei confronti di tutto ciò che concorre a definire statuti, principi, categorie conoscitive. Nessuno di noi ha voglia di solidificare l’identità del gruppo: essa deve rimanere fluida (per utilizzare un termine di Zygmunt Bauman), e non solo in questa fase di passaggio e metamorfosi. (D’altra parte, così è stato per NI anche in passato: il blog ha funzionato, in crescendo, per due anni, senza piattaforma dottrinaria preordinata.)

Antonello Sparzani:

“Ho spesso constatato come, /in presenza di troppa metateoria, è opportuno dedicarsi alla teoria/. Frase naturalmente troppo recisa, che però vuole proporre di parlare di e su NI lo stretto indispensabile (che non vuol dire non parlarne, sono abbastanza consapevole della situazione) e però, d’altra parte, per capire cos’è ora NI, fare delle cose, ognuno nella propria specificità. Quelli di NI che sono scrittori scrivano, postino, riportino, dicano cose riguardanti la scrittura, così come quelli che praticano altre arti, diano contributi in queste arti eccetera.”

“Chi saremo, ora?”
“Saremo quello che riusciamo a fare,che sappiamo fare, saremo il nostro fare.”


Questa risposta wittgensteiniana mi sembra la migliore. E però vorrei aggiungere qualcosa, frutto di riflessione assolutamente personale.
Il fatto che ci manchi un’articolata, esplicita, visione del mondo attuale è una debolezza, un limite. Non un punto di forza. L’analisi di Antonio Moresco e di Carla Benedetti sull’universo dell’editoria è stata da alcuni di noi percepita non come eccessivamente radicale, ma come insufficientemente articolata e approfondita. Questo non è certo imputabile agli inevitabili limiti delle analisi proposte, ma ci segnala, semmai, l’esigenza di compiere ogni volta, assieme alla denuncia polemica, un enorme lavoro di raccolta dei dati, di riflessione collettiva e interdisciplinare.

Rispetto a quanto dice Sparzani (e che mi sembra da noi tutti ampiamente condiviso), io aggiungerei questo: il fare non può essere sufficiente a definire compiutamente la nostra identità di intellettuali, scrittori e artisti. Per capire, infatti, cosa davvero abbiamo fatto, dobbiamo anche capire il destino più ampio a cui è sottoposto il nostro operare, come portatori di un progetto culturale, all’interno dell’attuale stadio di mercificazione della parola scritta e di “gratuita” diffusione della parola telematica. Detto in termini brutali: per capire chi siamo, e il senso di quanto facciamo, dobbiamo capire come viene usato ciò che noi produciamo. Dobbiamo essere il più possibile consapevoli rispetto alle forme e agli effetti che la mercificazione impone alla letteratura, all’immagine, all’arte. Lavorare assieme all’esistenza di un blog, può significare allora allargare questa consapevolezza, sollecitando anche nei lettori – spesso nostri “simili” nel campo della cultura – una riflessione in questa direzione.

La letteratura non è un fenomeno atemporale né un’invariante antropologica, se crediamo in questo modo di metterla al riparo dall’evoluzione delle società. Essa esiste, per noi, all’interno di un’articolazione storicamente determinata di una certa organizzazione sociale, governata dal sistema di produzione capitalistico. Possiamo essere scettici finché vogliamo, ma ogni volta che ci mettiamo a scrivere, ogni volta che facciamo il nostro mestiere, agiamo dentro uno spazio di possibilità che sono già state in gran parte predeterminate. Non solo, ma l’evoluzione del rapporto tra produzione capitalistica e merce culturale è in tale continua evoluzione, che intorno a noi i confini di ciò che crediamo essere “la letteratura” o “l’arte” stanno già cambiando a nostra insaputa, assumendo inedite fisionomie, rischiando di depotenziarsi ulteriormente.

Per concludere, la risposta a ciò non è certo il Ritorno al Grande Artigianato. Ma il semplice rifiuto di scindere il proprio fare dalla riflessione costante sul fine, l’esito, lo statuto sociale in senso ampio di questo fare.

    

   

5. Che faremo ora?

  

I progetti e le proposte di noi indiani superstiti sono davvero tanti e diversi. Non mi metto qui ad elencarli, per il semplice fatto che sono di giorno in giorno in via di definizione. E soprattutto perché lascio la parola ad ognuno di noi, per integrare quanto io ho detto senz’altro in modo incompleto e parziale. E poi per proporre le iniziative che bollono nel nuovo crogiolo.

Anticipo solo due intenti. Uno in perfetta continuità con la vecchia NI. Continuare cioè ad essere – uso qui l’espressione di Franz Krauspenhaar – “editori autonomi per altri, per nuovi talenti non ancora espressi perché magari lontani dalle “conoscenze”, da certe logiche, da certi aumma aumma”. E io aggiungerei: per talenti tanto nuovi, quanto vecchi: ma meno conosciuti del dovuto.

L’altro intento, ribadito ultimamente da Giorgio Vasta, ma già da tempo nell’agenda di altri indiani, rendere il blog davvero vasocomunicante con l’esterno: ossia dotarlo finalmente di una serie di link che non lo renda più inspiegabilmente monadico.

Andrea Inglese


giovedì, 14 luglio 2005   [link]

 

Su Nazione Indiana (www.nazioneindiana.com) in questi giorni: interventi di Andrea Inglese e Giuliano Mesa. Con argomenti e ipotesi nuove, itinerari possibil.

giugno 2005

martedì, 28 giugno 2005   [link]
 

Esce il n.2 di «Poesia da fare»

È in rete il n.2 della rivista «Poesia da fare», curata da Biagio Cepollaro. In formato pdf, come di consueto. Ecco l’indice:

        

Editoriale e immagine di B.C.

Paolo Cavallo, da Senza valore

Massimo Sannelli, Poesie

Biagio Cepollaro, Su Quaderni aperti, di Alessandro Broggi

    

Ricordiamo che sono online anche:

    

> il V Quaderno del blog Poesia da fare, con testi di e su Baino, Bortolotti, Bottà, Caserza, Cirilli, Di Ruscio, Paola Febbraro, Forlani, Fusco, J.Galimberti, Gambula, Genti, Giovenale, Inglese, Mascitelli, Pizzi, Sorrentino.

    

 e

    

> il Supplemento al V Quaderno di Poesia da fare, con i Blogpensieri di Biagio Cepollaro    


domenica, 26 giugno 2005   [link]

 

Un articolo di Giuliano Mesa sul libro di Marzio Pieri, Il Paratasso o La Gerusalemme Rivelata. Il poeta, le vergini e le crociate della cocacola («Autentici falsi d’Autore. Collana diretta da Giovanni Casertano»), Alfredo Guida, Napoli, 2005: in http://www.italianisticaonline.it/2005/pieri-paratasso/ 

[ anche nella pagina di News del sito dell'”Archivio Barocco”: http://www2.unipr.it/~pieri/Galeria.htm ]


È in rete la rivista quadrimestrale di scrittura creativa «Il calzerotto marrone», all’indirizzo http://www.ilcalzerottomarrone.it

La pubblicazione è diretta da Guido Baldassarri.
In redazione: Massimo Bacigalupo, Angela Babbolin, Saveria Chemotti, Laura Fabris, Nicola Gardini, Roberto Gigliucci, Gianluca Maestra, Valentina Salmaso, Franco Tomasi, Edoardo Ventura, Stefano Verdino, Alessandro Zattarin, Emanuele Zinato.

Dalla home page: «Di scrittura creativa, in questi anni, si è parlato molto, forse troppo. Al di là delle mode, forse anche nel tentativo, più o meno consapevole, di compensare una pressoché totale eclissi della letteratura e della poesia, non dal vissuto di chi scrive (moltissimi, e non di rado insospettabili), ma dalla graduatoria dei valori della società contemporanea, anarchica solo in apparenza. Il titolo, così grezzo, inameno, può compensare i lustrini del sottotitolo: perché «scrittore» non diventi necessariamente sinonimo di copywriter. Una cifra stilistica, se vogliamo: che potrebbe anche fare la differenza fra questa rivista on line e i molti siti in cui, da tempo, anche per gli esordienti, è possibile “pubblicare”».
Nel primo numero, fra l’altro, inediti di Luzi, Volponi, Sannelli.


  [link]

 

Neuropa, di Gianluca Gigliozzi

Sarà presentato giovedì 30 giugno – presso la Libreria Apuliae di Lecce – il romanzo Neuropa, esordio di Gianluca Gigliozzi (Luca Pensa Editore).

Assieme all’autore saranno presenti Stefano Donno, direttore editoriale della casa editrice salentina, Luciano Pagano, redattore della rivista online Musicaos, e Rossano Astremo, curatore del periodico di scrittura e critica letteraria Vertigine.

Per maggiori informazioni, si può visitare la pagina http://www.neuropa.splinder.com/


sabato, 25 giugno 2005   [link]

 

DAl 24 giugno su www.nazioneindiana.com una recensione di Gherardo Bortolotti alle Endoglosse (Biagio Cepollaro E-dizioni), e sette testi dalla raccolta. Su Endoglosse è leggibile una diversa versione del saggio di G.B., uscita con il titolo di Ipotesi per un nuovo realismo, in «Il Segnale», a.XXIV, n.71, giu.2005, pp.9-11.


    Promemoria: chiunque volesse acquistare & leggere l’antologia Ákusma, forme della poesia contemporanea, può visitare questa pagina: http://www.metauroedizioni.it/spazioakusma.htm e contattare la casa editrice Metauro.


giovedì, 23 giugno 2005   [link]

 

Esce «L’Ulisse» n.4

È in rete il quarto numero de «L’Ulisse» (www.lietocolle.com/ulisse), rivista monografica di poesia e pratica culturale diretta da Alessandro Broggi, Carlo Dentali e Stefano Salvi. La nuova inchiesta è dedicata al “ruolo dell’artista / del poeta nel mondo contemporaneo”.

Interventi e testi critici di Nicola Gardini, Flavio Ermini, Vito M. Bonito, Massimo Sannelli, Italo Testa, Tommaso Lisa, Alessandro Raveggi, Sandro Montalto, Mary Barbara Tolusso, Maurizio Mattiuzza, Luciano Pagano, Nicolas Bourriaud, Roberta Valtorta, Simona Palmieri, Antonio Moresco, Giampiero Neri

Traduzioni da Jean-Michel Espitallier, Christophe TarkosPierre Alferi, Yang Lian

Poesie e prose di Francesco Forlani, Stefano Guglielmin, Marco Giovenale, Vincenzo Bagnoli, Andrea Ponso, Carlo Dentali, Vincenzo Ostuni, Stefano Salvi, Tiziano Fratus, Patrizia Mari, Renzo Favaron, Paolo Fichera


sabato, 18 giugno 2005   [link]

 

«Poesia da fare»  n.1  …E SUPPLEMENTI !

Come si diceva qualche giorno fa, è in rete il n.1 della rivista «Poesia da fare», curata da Biagio Cepollaro. Questo l’indice:

   

Editoriale e immagine di B.C.

Francesco Forlani, Esilio

Marco Giovenale, testi da Shelter

Davide Morelli, Impercezioni

Biagio Cepollaro, Su L’indomestico, di Andrea Inglese

    

MA va sottolineato che: sono in parallelo in rete anche:

    

> il V Quaderno del blog Poesia da fare, con testi di e su Baino, Bortolotti, Bottà, Caserza, Cirilli, Di Ruscio, Paola Febbraro, Forlani, Fusco, J.Galimberti, Gambula, Genti, Giovenale, Inglese, Mascitelli, Pizzi, Sorrentino.

    

 e

    

> il Supplemento al V Quaderno di Poesia da fare, con i Blogpensieri di Biagio Cepollaro. (E postfazione di M.G.)

    


venerdì, 17 giugno 2005   [link]

 

da venerdì 17 giugno a domenica 19 giugno

a Castell’Arquato (Piacenza):

MACCHINE DELLA POESIA

a cura di Eugenio Gazzola e William Xerra

     

dal comunicato stampa:

« La rassegna Macchine della poesia, che inaugura una ricca stagione culturale e artistica a Castell’Arquato, sulle colline piacentine, si propone di diventare il luogo di incontro privilegiato delle varie espressioni della poesia contemporanea, attraverso letture e commenti a opera degli autori.
Azioni sceniche e performance, presentazioni di raccolte e saggi critici, esposizioni e dibattiti sui temi generati dall’incontro tra parola e suono, parola e immagine, parola e ambiente.

«L’obiettivo è quello di aprire il “congegno” poetico per mostrarne il funzionamento effettivo. […] Con il titolo Altre voci la manifestazione propone un numeroso gruppo di poeti dell’ultimissima generazione o di recente esordio provenienti da diverse regioni d’Italia: Gian Maria Annovi, Elisa Biagini, Davide Brullo, Roberta Castoldi, Simone Cattaneo, Andrea Di Consoli, Giovanna Frene, Massimo Gezzi, Francesca Genti, Marco Giovenale, Fabrizio Lombardo, Paolo Maccari, Giovanna Marmo, Daniele Mencarelli, Francesco Osti, Daniele Piccini, Laura Pugno, Jacopo Ricciardi, Francesca Serragnoli, Massimo Sannelli, Flavio Santi, Luigi Socci, Italo Testa, Sara Ventroni.

«Faranno da controcanto gli incontri dedicati all’approfondimento e al dibattito su autori storici e temi dell’attualità poetica italiana, con la partecipazione di Patrizia Valduga, Alfredo Giuliani, Alberto Bellocchio e del regista Giuseppe Bertolucci; di critici e saggisti come Aldo Tagliaferri, Andrea Cortellessa e Adriano Marchetti.

La manifestazione si svolge dal 17 al 19 giugno, sulla piazza medievale di Castell’Arquato, sotto la direzione scientifica di Eugenio Gazzola e William Xerra »

     

Info: http://www.castellarquato.net/


martedì, 14 giugno 2005   [link]

 

Romapoesia 2005

DOCtorCLIP


primo festival italiano di videoclip di poesia

concorso internazionale

 

Da tempo la poesia intrattiene rapporti con le altre arti, si mescola con loro, si modifica e le modifica in un processo di ibridazione continua che è uno dei segreti della sua longevità ed anche, paradossalmente, di fedeltà alle proprie radici; l’interdisciplinarietà del verso è stata infatti praticata sin dalle prime Avanguardie. La rivoluzione digitale ha poi permesso la diffusione di massa di una serie di tecnologie di registrazione delle immagini e del suono, dando impulso a cortocircuiti tra mondo audiovisivo e poesia e permettendo l’interfacciarsi della poesia con il cinema, la video-arte e i new media.

Nell’ottobre 2004 all’Auditorium – Parco della Musica, nell’ambito dell’ottava edizione del festival Romapoesia, MRF progettiprimo Festival italiano di videoclip di poesia: una nuova espressione poetica che fa interagire parola ed immagini artistiche; un linguaggio, inventato e praticato dai giovani, che è nato e si è affermato soprattutto nelle grandi capitali internazionali, quali Berlino, Barcellona, Chicago. Roma si è unita a queste città presentando al pubblico una selezione di lavori dello Zebra Poetry Film Award di Berlino e impegnandosi nella preparazione della 1° edizione italiana del Festival. Il lancio ufficiale del concorso, che si chiamerà DOCtorCLIP, è avvenuto il 21 marzo 2005 (Giornata Mondiale della Poesia) dai microfoni di RADIO RAI TRE – SUITE. ha presentato il numero zero del

Per partecipare al concorso, che è internazionale e mira in particolar modo a coinvolgere i paesi del mediterraneo, bisogna inviare alla redazione di Romapoesia, entro il 31 agosto 2005, un videoclip inedito in formato DVD non più lungo di 10 minuti, che abbia come argomento una o più poesie edite o inedite. Il video, a cui va allegata la scheda di iscrizione, deve essere accompagnato da una breve presentazione.

I video saranno selezionati da una giuria formata da alcuni tra i maggiori poeti, registi e videoartisti italiani ed internazionali e al vincitore andrà un premio in denaro. La premiazione si svolgerà in ottobre, nell’ambito della prossima edizione del festival Romapoesia,  in una serata interamente dedicata al videoclip in cui verranno proiettati i video in concorso ritenuti più validi dalla giuria. Questi verranno anche trasmessi da canali televisivi nazionali e satellitari.

Il bando di concorso e la scheda di iscrizione su www.romapoesia.it

 

[Il Zebra Poetry Film Award – che si svolge a Berlino ogni 2 anni contemporaneamente al Berlin Poetry Festival e con la prestigiosa Weltklang – Nacht der Poesie, organizzata da literaturWERKstatt Berlin in collaborazione con Deutsche Gesellschaft für Technische Zusammenarbeit (GTZ) GmbH e Interfilm Berlin, sotto la direzione di Thomas Wohlfahrt – è giunto alla sua seconda edizione, confermandosi come il più grande e importante contest mondiale dedicato alla videopoesia – con più di 800 opere inviate al concorso, provenienti da 57 differenti paesi.]

Info: via Giovanni Lanza 178, 00184 Roma – tel 06 48906040 – fax 06 48916756 – email info@romapoesia.it

Ufficio stampa: Monica Passoni – cell. +39 348 7374404 – email monica.passoni@mrf5.it


domenica, 12 giugno 2005   [link]

 


13 giugno
, INAUGURAZIONE

Pour la présentation de la collection Objectale aux éditions Cythère-Critique,
dont fait partie le dernier ouvrage de Luisa Gardini et Benoît Gréan, WPMT15,
rendez-vous le lundi 13 juin entre 18h30 et 21h en la librairie Cythère-Critique
via dei Banchi Nuovi, 6 – 00186 Roma

Pour plus d’informations sur la collection, cliquer sur

http://www.cythere-critique.com/collectionobjectale.html

Pour une information plus spécifique sur WPMT15, cliquer sur

http://www.cythere-critique.com/objectwpmt15.html


        

 Nous avons souhaité que cette première collection soit une continuation du travail effectué à la librairie depuis un an et demi, témoignage des collaborations et des rencontres qui en sont nées.

Pour la plupart, ces livres proposent une déclinaison ou sont le résultat, autrement mise en forme, d’une exposition que nous avons présentée ( même si nous pourrons déroger à cette règle dans l’avenir). Juste retour à notre idendité car ces expositions ont eu pour vocation première d’illustrer activement des courants contemporains à nos yeux importants (le sens des images, la représentation et ses techniques, la réappropriation des productions industrielles, le jeu de l’abstraction et de la signification).

Une petite collection donc, de livres peu explicatifs comme le sont les objets eux-mêmes ; une série de propositions poétiques confrontées à leur support.

Les autres collections, notamment littérature et sciences humaines, sont actuellement en cours de définition.

 

Cythère-Critique 

 


martedì, 07 giugno 2005   [link]

 

«Poesia da fare», n.1

È in rete il n.1 della rivista «Poesia da fare», curata da Biagio Cepollaro. In questo fascicolo:

   

Editoriale e immagine di B.C.

Francesco Forlani, Esilio

Marco Giovenale, testi da Shelter

Davide Morelli, Impercezioni

Biagio Cepollaro, Su L’indomestico, di Andrea Inglese



domenica, 05 giugno 2005   [link]

 

Venezia a/r

   

È ora online sul sito omero.it il progetto Venezia A/R, ideato da Francesca Vitale in stretto legame con alcune sue fotografie della città e con le pagine di Fondamenta degli incurabili, di Iosif Brodskij (Adelphi). La cura del progetto è di Paolo Restuccia.

    

Francesca Vitale è tornata nella città dov’è nata con in tasca un libro di Iosif Brodskij: al ritorno, ha coinvolto in questa idea di ‘opera collettiva’ amici artisti e scrittori: per le foto di Venezia a/r hanno scritto versi e prose Marco Giovenale, Massimo Sannelli, Laura Pugno, Fiammetta Cirilli, Franco Mancini. Hanno scritto dei testi Andrea Semerano ed Emilia Morelli. Ha scritto un racconto Mauro De Cillis. Carla Vasio ha donato un frammento del suo romanzo Laguna (Einaudi, 1998). Luca Conti invece ha scritto questa musica

15-29 maggio 2005

domenica, 29 maggio 2005   [link]
 

a Roma, venerdì 3 giugno 2005, ore 17:30

nell’ambito dell’iniziativa Poesia in via Giulia

 

(sagrato della Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini)

 

 

una giornata dedicata alla poesia contemporanea

 

a cura della collana

“i megamicri” (Oedipus Edizioni)

 

diretta da Alfonso Amendola e Mariano Bàino.

 

 

Coordinamento:

Massimiliano Manganelli

 

 

Interventi critici di

Giancarlo Alfano, Francesco Muzzioli, Giampaolo Renello

 

 

Letture di 

Guido Caserza, Michele Fianco, Florinda Fusco,

Marco Giovenale, Giovanna Marmo, Vincenzo Ostuni,

Angelo Petrella, Laura Pugno, Angelo Rossi, Antonello Tolve

 

 

 

 

 


mercoledì, 25 maggio 2005   [link]

 

Appunti verso risposte

all’Inchiesta internazionale sulla prosa poetica

promossa dalla rivista «YIP – Yale Italian Poetry»

(2003)

– ora anche in Italianistica OnLine

Quando nel testo poetico entrano, a fare struttura, inaggirabili, flussi di cifre, cartine, calchi paleografici, oggetti, video, voci, e ancora differenti elementi “estranei”; e se questo accade nell’arco non di pochi anni, ma per decenni ricodificandosi – regola o eccezione – in autori distantissimi tra loro; allora metro e ritmo, come sintassi e spezzatura, possono e forse devono sentirsi chiamati a un lavoro di ridefinizione e discussione, e di confronto anche mediato – ma inevitabile – con le arti. Questo lavoro, per il secondo Novecento, non è forse neppure agli inizi.

Se la pagina 11 del Conte di Kevenhüller è la riproduzione anastatica di un avviso settecentesco; se le opere di Zanzotto sono costellate di disegni, frecce, abrasioni; se quasi l’intero lavoro di Emilio Villa è uno stemma di sconfinamenti e sovrascritture reciproche fra le arti; se – oggi – un “riporto” epigrafico conclude il poemetto Spostamento, di Giovanna Frene; (per tacere – ma perché tacere? – di decenni di poesia concreta, o delle esperienze di riviste come «Testuale» e «Anterem»); può essere ancora pensata – e come? – una diversa mappa della metrica del secolo ormai concluso? E poi: della sola metrica?

In verità molti parametri sono inadatti a toccare e descrivere cento anni di letteratura segnati già dal principio dai gesti di Tzara, o dalla voracità inclusiva e anarchica dei Cantos. Le opere-mondo sono così, funzionano così.

Ma la prosa in generale, banchetto interminabile, è per sua natura così, funziona così. (Il romanzo, solida istituzione borghese, ne è brevetto: fabbrica di fabbriche).

Se è vero che la prosa fascia e trattiene tutto, era logico fosse lei, nell’Ottocento a vapore, a prendersi la briga di divorare e far sua la poesia medesima, sovrapponendosi e facendo intreccio. (Per un resoconto – estenuato – cfr. A.Berardinelli, La poesia verso la prosa). Ma questo, ormai smascheriamoci, nemmen troppo fini ironisti, è solo l’involucro del problema. La buccia. La storia.

Quel sovrapporsi e intrecciarsi è il precipitato inventariabile di una nube assai più estesa, che non si può afferrare. Non tenerne conto significa elidere dal panorama il novanta per cento dell’arte contemporanea mondiale.

Il XX secolo sancisce molte dissipazioni: tra tante, quella dell’oggetto estetico.

“Estetico”: è termine che semmai, a tutto campo, attiene all’esperire in generale, alla traccia di un passaggio di senso, o alla verifica di un passaggio possibile di senso. E: se è sulla possibilità che l’obiettivo esercita la messa a fuoco, ecco che nessun oggetto appare privilegiato, o pre/visto. Il bello “in senso estetico moderno” si scioglie in entità mutevoli, su cui sembra che solo il tempo vanti talvolta un occasionale successo, ma per mera descrizione. Dopo qualche anno, l’auctor si profila: inquadrabile. Ha modificato il paesaggio, tutto prima e dopo di lui è differenza (da lui, grazie a lui).

Questo stato di cose è il logico sviluppo, su cui qui non si indugia, di un iter tematizzato – in forma esemplare – da Kant, ma avviato secoli prima.

Ora, dal primo orizzonte di un secolo addirittura Ventunesimo, è il momento di osservare poesia e prosa non come fossero due falene attratte una dai riflessi ed enigmi dell’altra. Si può forse azzardare e suggerire che il poème en prose in definitiva non è lo sperso sistema orbitale di due pianeti che, avendo smarrito il sole dei rispettivi generi (La Poesia vs La Prosa), ruotano lanciati nello spazio.

«Poesia in prosa» è semmai uno tra i sintomi di assai più vasto movimento; o: è un segno complesso, e un’endiadi.

È traccia o puntura formale di quel tessuto delle arti che all’estremo vede spiccare – sismografo o sisma lui stesso – Emilio Villa, o il fuoritesto Carmelo Bene; o – più “classificabili” – gli spazi metrici di Amelia Rosselli, le stringhe orizzontali – «incerti frammenti» – di Zanzotto, la pagina-proteo di Nanni Balestrini. Ma pensiamo anche a un testo-gesto poetico e politico come Le descrizioni in atto (1969), di Roberto Roversi.

Del secondo Novecento è propria una sensibilità cresciuta e crescente, verso quelle che non sono più avvertite come “ibridazioni” o “doppi codici”, bensì vere coesioni (cointeressenze?), parti gemellari, di testi-nelle-arti. O controtesti. Vanno allora citati i deliri razionali di Tommaso Ottonieri (magma plastico e veglia di prosa e poesia …e cd); il flusso ininterrotto di scritto ed esecuzione, performance, in autori-attori come Rosaria Lo Russo; l’oscillazione tra generi e lingue di Gabriele Frasca; il tessuto sonoro realizzato da Giuliano Mesa con il compositore Agostino Di Scipio, per Tiresia; l’opzione “lineare” (non versale) di Florinda Fusco.

Sono solo alcuni nomi. Di autori che sperimentano si direbbe definit(iv)amente in forma normale (nel senso di: logica, non conquistata, bensì “di partenza”) i passaggi tra generi e forme e codici – e così il continuo slittamento della prosa nella poesia, e viceversa. (Ma è bene insistere: questo moto recursivo è un tassello del dialogo più ampio con le arti, sempre testualizzato; nel contesto di una ridiscussione profonda di quello che fino a qualche decennio fa si definiva “senso estetico moderno”).

Staccare poesia da prosa, o legarle in coppia cioè dualismo appena ricomposto in semiritmi, così come sciogliere il lavoro degli autori citati da musica-teatro-videoarte… non è dato. È fattibile ma costituirebbe forse un’ennesima operazione integralmente “letteraria”: non illegittima, però incompleta e imprecisa anche entro i confini della propria legittimità.

  

   

   

    

testi citati (o sottintesi):

Giorgio Caproni, Il Conte di Kevenhüller, Garzanti, Milano 1986.

Giovanna Frene, Spostamento, Lietocollelibri, Como 2002.

Franco Moretti, Opere mondo – Saggio sulla forma epica dal Faust a Cent’anni di solitudine, Einaudi, Torino 1994.

Umberto Eco, Il segno della poesia e il segno della prosa, in Sugli specchi e altri saggi, Bompiani, Milano 1985.

Alfonso Berardinelli, La poesia verso la prosa, Bollati Boringhieri, Torino 1994.

Emilio Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Garzanti, Milano 1992.

Amelia Rosselli, Spazi metrici (1962), ora in Le poesie, a c. di E.Tandello, Garzanti, Milano 1997.

Roberto Roversi, Le descrizioni in atto (ciclost.1969, poi in varie ed., l’ultima per la Coop Modem, Bologna 1990).

Tommaso Ottonieri, Elegia Sanremese, Bompiani, Milano 1998.

Rosaria Lo Russo, Comedia, Bompiani, Milano 1998.

Gabriele Frasca, Rive, Einaudi, Torino 2001.

Florinda Fusco, linee, Zona, Lavagna 2001

Giuliano Mesa (con Agostino Di Scipio), Tiresia, prima esecuzione dell’opera a L’Aquila, 12 dic. 2001, Festival “Corpi del Suono”; regia del suono, Agostino Di Scipio; voce, Giuliano Mesa; elementi visivi, Matias Guerra.

      


[ Testo già comparso a stampa in «YIP – Yale Italian Poetry», volumes V-VI, 2001-2002 (distrib. dal novembre 2003), pp.415-416 ]       


   

   

 

Giuliano Mesa: Il nuovo non può finire (due interviste a G.Mesa, a cura di Loredana Magazzeni): ora riproposte nel sito di Dissidenze

 

 


 

All’indirizzo http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/archivio_poesie.cfm è reperibile e ascoltabile una poesia da Il segno meno, andata in onda su RadioTre Rai il 23 maggio 2005 alle 17:00. 

Escono ora due recensioni: una di Stefano Guglielmin a Il segno meno, in «Hebenon», anno X, terza serie, n.4, maggio 2005; e una di Luigi Severi ad Altre ombre, in «Poesia 2005», Annuario Castelvecchi, Roma 2005.


domenica, 22 maggio 2005   [link]

 

Senso e contesto

[ appunti per una conversazione fiorentina, 2004 ]

  

Adorno, da Teoria estetica: «Esigendo la soluzione, l’opera rimanda al contenuto di verità. […] una qualsiasi opera si volge per l’indigenza nascente del suo carattere di enigma, alla ragione interpretante. Dall’Amleto non si riuscirebbe a strizzare nessuna enunciazione; il suo contenuto di verità non è perciò minore»1.

Ovviamente qui Adorno si riferisce al fatto che «Le opere, e completamente quelle di suprema dignità, attendono la loro interpretazione» (come è detto più avanti nella stessa pagina); cioè attendono in definitiva un interprete, un lettore. Ma è forse particolarmente interessante flettere i brani citati nel senso della condivisione larga di contesto che l’opera fortissimamente chiede al “fruitore”: a tutti i fruitori.

Allo studioso, e alla filosofia, l’opera offre «enigma» da indagare – o ricodificare in domanda ulteriore. Ma in generale (e credo coerentemente col suo statuto di oggetto “estetico” in senso ampio ossia non in riferimento diretto immediato al suo essere opera d’arte) l’opera ponendosi come oggetto enigmatico disegna e apre o addirittura divarica l’orizzonte del possibile senso entro il quale un qualsiasi (non un particolare) osservatore si colloca come essere costituito di (portatore di/portato dal) senso.

Il dato vivo e vitale di un’opera sta allora nella sua mozione, immessa in e formata da una tessitura di echi formali (da decifrare, anche, secondo i loro propri codici), verso l’esistenza e anche la semplice possibilità di esistenza di un contesto condiviso, di una sorta di piattaforma o sfondo di senso che rende immaginabili e contrattabili gesti e vocaboli, interpretazioni in conflitto o in pace, e insomma tutta la macchina linguistica umana intesa come base significante, sociale, politica.

In questa accezione, la posizione di enigma è, come le due facce (= l’unica faccia) del nastro di Moebius, legata alla condivisione di contesto. Il contesto dei parlanti/ascoltatori. Degli occhi scriventi.

*

Il paesaggio: può essere visto, contemplato. La radice del senso estetico moderno sta in questo non intervento, e non finalismo. La visione delle luci nel camino, il vetro attraversato e distratto dal cruciverba di fili di pioggia e fili di osservazione; oppure chiaramente il nastro e lo spiegarsi delle colline disintegrato e riaperto, procedendo il treno, nel tempo: oggetti che non sono oggetti e non chiedono asserzione, o determinato dissenso, si appoggiano sullo sguardo come pretesti per il suo funzionamento, che così – ed esemplarmente – è verificato, è fatto vero (vivo), si ri-vede.

Simone Weil: «Questo … è la bellezza. Tutto quello che è bello è oggetto di desiderio, ma non si desidera che sia diverso, non si desidera mutarvi nulla, si desidera quel che è..»2.

Non si deve esser fraintesi parlando di bellezza. (Si sarà sempre fraintesi, per questo).

Non si tratta di una passività. Già i mezzi elettronici (che non sono solo macchine) si incaricano di incarnare in meccanismo e flussi la generale condizione del percepire. La tematizzano. E questo davvero strappa fuori l’agente dall’azione. L’esperienza facendosi riflesso – perché dimostrata riflesso in origine. (Dimostrata nei meccanismi).

Più a monte, quello che accade ad alcune generazioni che adesso scrivono è che in loro riemerge e davvero rischia di «traboccar dai fossi» [Montale, Nel sonno] e farsi ancora sangue oltre la morte, la netta sovrapercezione (come qualcosa che si senta sottolineata, ed entri due volte nei percorsi neurali che essa stessa stabilisce e, come detto sopra, verifica) del senso estetico moderno. Come un sentimento sversato, ora. Cangiante. Esperibile nei contesti che l’elettronica forma.

Tutte le volte l’ondata insiste e tenta un lembo che essa stessa ha contribuito a riscrivere: e non può dirlo – o non completamente – senza stare già variandone frastagli. (Merleau-Ponty continuamente lo ricorda).

In chi scrive con questa coscienza o “sentimento”, percepire è già troppo. Un laicissimo pre-sentire le cose (o l’antivedere – citando Massimo Sannelli) sposta e forse disarma ogni azione o passione, ed è insieme il principio della spezzatura, del taglio del verso.

____________________________________________

1 cit. anche in P.Montani, Arte e verità dall’antichità alla filosofia contemporanea, Laterza, Bari 2002, p.347).

2 La condition ouvrière (1951), tr.it. di F.Fortini, Edizioni di Comunità, Milano 1952, p.285; cit. in Ingeborg Bachmann, Das Unglück und die Gottsliebe – Der Weg Simone Weils (1955), tr.it. in I.B., Il visibile e l’invisibile. Saggi radiofonici, a c. di B.Agnese, Adelphi, Milano 1998, p.102.

5-14 maggio 2005

sabato, 14 maggio 2005   [link]
 

Università di Roma “La Sapienza”

 

 VII  SETTIMANA DELLA CULTURA

 

ARTE PER TUTTI

 

Biblioteca Universitaria Alessandrina

Museo Laboratorio Arte Contemporanea

 

inaugurazione 17 maggio 2005 ore 17:00

Programma

Ore 17:00 –  Biblioteca Alessandrina, sala espositiva e corridoi

CLASSIC COMPUTER ART – Opere di computer art dagli archivi del MLAC

George Barber, Simon Biggs, John Butler, Peter Callas, Ida Gerosa.

NEWS VIDEO – Nuove opere video del MLAC

Katia Bassanini, Sukran Moral, Roberto Perciballi, Carlo Michele Schirinzi, Lino Strangis, Roma Tearne.

EVENTI PER VOCE IMMAGINI E VIDEO

Bellezza, Caproni, Corso, Ferlinghetti, Giuliani, Pagliarani, Sanguineti Spatola, Rosselli, Zeichen.

MOSTRA BIBLIOGRAFICA DI EDIZIONI E CATALOGHI D’ARTE

Volumi curati dal Museo Laboratorio di Arte Contemporanea; rivista “Luxflux proto-type arte contemporanea”, Gangemi editore, materiali degli archivi Biblioteca Alessandrina e siti web del MLAC e della Biblioteca.

Ore 19:30 Ingresso Biblioteca Alessandrina e terrazza del Rettorato

INSTALLAZIONI: Liuba, Ikeda Uemon

LETTURE DI POETI CONTEMPORANEI: Mariano Baino, Nanni Balestrini,  Carlo Bordini, Franco Buffoni, Maria Grazia Calandrone, Marco Caporali, Mario Desiati, Lorenzo Durante, Essezetaatona, Paola Febbraro, Florinda Fusco, Marco Giovenale, Jolanda Insana, Rosaria Lo Russo, Giovanna Marmo, Giulio Marzaioli, Vincenzo Ostuni, Tommaso Ottonieri, Laura Pugno,  Lidia Riviello, Gianna Sarra. Sara Ventroni
 

BIOBIBLIOGRAFIE degli autori

www.luxflux.net

 


giovedì, 12 maggio 2005   [link]

 

Ora su http://www.nazioneindiana.com/archives/001260.html#more: l’analisi di una poesia di Massimo Sannelli. Grazie ad Andrea Inglese per l’ospitalità sul sito.

*

Sul n.1/2005 de «La Clessidra» – ora in distribuzione – escono due sequenze di testi inediti: poesie da Shelter e prose da Fotosfera (pp.16-19). Inoltre: una recensione di Andrea Ponso a Il segno meno (pp.95-97).


  

Solitamente questa pagina web non riporta poesie. Piccola eccezione: al fine di correggere un minimo refuso nel primo testo di Double click (Quaderni di Cantarena, Genova 2005), propongo la poesia qui in forma esatta:

Alza la mano destra, di’ questa
è la mano sinistra. Lo specchio ragiona, ti rivolgi a una
nuvola di doppi di crani a forni di senzienti
e rotori o rasoi che confermano attraverso
lentissime lenti con i calibri con i cenni
cenni in prismi di altri è / hai raison
e che un’ombra – del tiglio – alle tue spalle mentre parli
non potrebbe
testimoniare meglio al posto tuo.

Fatto scialo dell’ultima razione, nessuno sente
il discorso. Rovesciano le sedie e cercano di divorare il ventre,
fracassano dietro scaffali, razziano con la lingua
denti, terra, aperte
le scheggiano le unghie contro intonaco, a
sangue. Vuoterebbero in un boccone il cranio
alle madri non l’avessero già fatto. Dé-jà-vu-vé-cu.
Incollanerebbero da bocca ad ano feti non ne avessero
già fatturato copyright. («Modulistica? La? Pacchi, fiumi, mari»).

È questo. È il
coetus – pensato pensante – ha distribuito i beni
– riferiti inversi. (Mano di carte).

Double click, a cura di Mario Fancello, è un’edizione fuori commercio di cento copie numerate, con immagini di Fulvio Leoncini e un saggio di Florinda Fusco. Un grazie particolare a tutti e tre, e a Massimo Sannelli, alla sua idea iniziale.


  [link]

 

Quelle riportate qui di séguito sono note pensate vari mesi fa per accompagnare Altre ombre (La camera verde, Roma 2004). Ho ritenuto poi non indispensabile includerle nel libretto. Le offro alla lettura adesso, pensando possano essere forse di qualche utilità o interesse:

Altre ombre – rispetto al lavoro in versi fin qui svolto – è raccolta ‘di barriera’, nei significati che possono normalmente esser dati alla parola confine: sbarramento a qualcosa di dato; comunicazione con quanto inizia; luogo o ‘stazione di (s)cambio’; tramite di osmosi; filtro; anche muro.

Alcuni testi vengono chiusi e risolti in questo libro: che ha così il compito di disegnare un tratto di esperienza o percorso di ricerca avviato nel 1986 e terminato nel 1998. Il ’98 è anno limite (o giunto cardanico), segna il principio di altro. La sezione conclusiva del libro, Pellicola, appartiene già alla ricerca successiva. (In effetti la scrittura materiale è collocata al 2000; ed è legata a un film – come si dirà).

Altre ombre ha questa accezione aggiunta: è l’altro rispetto a quanto scritto dopo il ’98. (E ne porta traccia).

  

* * *

 

I.  Crani di cani

  

Sezione esplicitamente dedicata a passi, tracce e ‘quadri’ cittadini (a Roma, così). Con questo titolo compare una scelta di poesie (prese in realtà da tutte le sezioni) su «Il Segnale», a.XXIII, n.67, gennaio 2004.

*

La quasi-citazione «en trois morceaux», della prima poesia, vuole essere omaggio e scherzo-sorriso per Satie (pensando a Trois morceaux en forme de poire, per pianoforte a quattro mani).

*

Da natale piove…

[edita in antologia (Tuttifruttidodici critici per dodici poeti, Le impronte degli uccelli, Roma 1999) e in rivista, su «l’immaginazione», a.XVII, n.167, aprile 2000]

*

(Cortile)

Questa poesia in tre parti – o microsequenza di tre poesie – codifica sogni o percezioni notturne: la prima guarda una discesa verso la non parola dell’origine biologica; la seconda e la terza toccano e bloccano memorie nella tarda notte.

Il primo dei tre testi è uscito in un volumetto collettivo in occasione della mostra di Gabriella Di Trani, Il viaggio di Serapide, Roma, Massenzio Arte, dicembre 2000.

*

 

Il dramma niente barocco…e Matrum proprium est…

[uscite su «l’immaginazione», cit.]

 

*

 

Cielo del cieco polvere

Si parla di Bramante in relazione al travertino bianco del Lazio, luminoso, di cui è fatto il Palazzo della Cancelleria, a due passi dal mercato di Campo de’ Fiori. L’intenzione è veder oscillare lo sguardo tra due scene: una monocroma, il cànone dell’algido; l’altra policroma, inafferrabile, sguaiata. La Cancelleria ‘cancella’; il Campo ‘infiora’. Sono due «fiere» (nelle varie accezioni).

La figura di Aracne cela un attore della tela letteraria italiana, da cui molto c’è da imparare. Ma può valere anche come icona vuota. Solo profilo.

* * *

 

II.  (Luce in meno)

 

Sette poesie di questa sezione sono uscite su «La Clessidra», a. IX, n. 2, nov. 2003. Una (la sera è al fosso orlato…) è ospitata online dal sito www.manifatturae.it .

*

Si compone il morto mentre…

Maupassant, Accanto a un morto, 1883.

*

la sera è al fosso orlato

Unica poesia ‘di tutte minuscole’. Prima, o tra le primissime, del nucleo di pagine dedicato a una casa in rovina. È la comparsa iniziale del tema del «cranio cavo», «scocca nera», traccia (mnestica) di oggetto o figura viva – e di allegoria, e dell’allegorizzare, allo stesso tempo. Ritorna per esempio come «marble head» o «cranio lasciato / ai suoi riti cavi», nel secondo testo di Minerva, ne Il segno meno (Manni, Lecce 2003, p.46), scritto molto tempo dopo (gennaio 2003).

I testi La sera è al fosso orlato… e Spento il filamento grande… tenderebbero a  profilare un umile implicito ‘dittico dell’Unheimlich’.

* * *

 

III.  Pellicola

La sezione Pellicola della raccolta è uscita in rivista con il titolo di Alter [deriva da film] (su «Il libro dell’immagine», vol. II, aprile 2003), affiancata da un ciclo di fotografie in bianco e nero, Nebbie, di Francesca Vitale. Un testo (Anche i cristalli del fiato…) è in un’antologia edita da Lietocolle nel 2003.

Il ‘clima’ mentale (emotivo, poi) della serie è quello di un indovinabile film di Tarkovskij, che ha direttamente ‘generato’ Pellicola. Il verso «il ricordo non suo lo commuove», nell’ultima poesia della sezione, fa riferimento a questo.

*

Arriva il treno, per terra…

L’ultimo verso¸ «sweet-ladies-good», fa cantilena fredda usando la conclusione della parte II del Waste Land eliotiano (già citazione di Amleto).

*

Sembra non sia niente

«La madre non riconoscerà / il figlio, il figlio la madre» (memoria di Matteo X 34-36; e Luca XII 51-53).

1-4 maggio 2005

mercoledì, 04 maggio 2005   [link]
 

Freddezza e persistenza del senso

 [ intervento su «L’Almanacco del Ramo d’Oro»,

a. II, n.5/6, nov.-dic.2004, pp.57-60. Ora anche

su Italianistica OnLine ]

 

1.

  

Una permanenza e persistenza di senso, nella forma di senso-non-senso, ossia come eco familiare dell’enigma che chiamiamo ‘oggetto estetico’, può attuarsi ancora attraverso strumenti retorici e tematici che il Novecento ha variato e rinnovato, non raso al suolo.

   La visione di una Storia che avanza come macchina e incendia le proprie orme è eredità di quel positivismo che giusto il XX secolo ha fatto saltare. La realtà del gliommero gaddiano, dei labirinti di Joyce, del tempo recursivo in Kafka, dei compiti incompìbili dei personaggi di Bernhard, dei sogni concentrici di Borges e Cortàzar, dei tagli immedicabili e sempre medicati nelle scene di Beckett, non fanno altro che disegnare un modello di quel che la percezione (l’esperire) opera già normalmente in ciascuno di noi. Almeno nella variante dell’anthropos che sembra comparsa sul pianeta nell’arco di tempo delle ‘rivoluzioni originarie’ della modernità.

[Ossia: la rivoluzione industriale e la rivoluzione filosofica (Kant, Critica della facoltà di giudizio, 1790): che ricevono prestissimo unione e sigillo, traduzione, ‘attuazione’ anzi addirittura tematizzazione in meccanismo, in virtù di un evento ‘enorme’, una callidissima inventio: la fotografia, 1839]

2. 
Lungo l’intero arco del secolo XX, l’arte – anche in qualità di forma possibile di conoscenza – ha esibito o sondato inquietanti e coerenti/utili modelli di indagine e relazione con la materia e la percezione, insomma con il reale. Diffratte nei prismi delle opere, le cose si scoprono meno ‘semplici’, meno immediatamente e sommariamente ‘gestibili’, commerciabili. Si avvicinano cioè, come immagini, a quanto di fatto già sono: complessità, tessuto-testo ulteriore.

   La violenza, l’economia di puro profitto, il potere politico, lo Spettacolo, hanno al contrario rispettato – e imposto – ben diversi modelli di realtà, di azione, rodati da millenni di sfruttamento impunito. Per esempio quel dualismo radicale di mondo e lettura del mondo che assomiglia non poco alla nuda e semplice separazione – puerilmente data per insanabile – del senso dal non-senso. Come se il reale si costituisse e nominasse solo per scacchiere.

   Appunto al persistere del senso, ma nella forma complessa e sempre interrogativa opaca e inafferrabile del senso-non-senso, alludono moltissime scritture recenti: ciascuna nella propria specifica prassi. Si tratta di pagine che, come puntatori, vettori – e mai semplici ‘oggetti’ – sanno fare saggio scialo e gioco e uso delle molte ricchezze del Novecento.

   Una simile chiave di lettura permette di indagare eventi tanto diffusi quanto – altrimenti – inspiegabili. Ad esempio il ritorno e la coesistenza – talvolta in uno stesso autore – di tensioni di ricerca, di classicismo, di poesia ludica, di scrittura ‘al grado zero’, di narrazione, di lirica; in un tempo che – secondo uno storicismo ingenuo – dovrebbe al contrario aver smarrito e ‘superato’ simili modi di inabissamento au fond de l’inconnu.

   Tra questi è ben visibile un rinnovarsi della scrittura – e modalità di conoscenza – fredda.

3. 

Una (nuova?) freddezza è percettibile in esperimenti di autori contemporanei giovani e non giovani. Senza dare al termine un connotato negativo. Al contrario. Ci sono lavori di maestri alla radice dell’ipotesi: la scrittura metaforica-metamorfica di Valerio Magrelli; le intermittenze di autoanalisi, e riferimenti ipercolti, di un autore come Giuliano Gramigna (si veda il notevole Quello che resta, Mondadori, 2003); il controllo assoluto del testo – anche nel muovere dichiarazioni addirittura ‘politiche’ e civili – attuato da Franco Buffoni; lo sguardo distaccato che viene dai ritratti a penna di Valentino Zeichen; ma pensiamo alla ricerca (al vasto laboratorio) di Amelia Rosselli, Nanni Cagnone, Giuliano Mesa (specie nei Quattro quaderni, Ed. Zona, 2000).

   Si tratta di una scrittura capace di semantizzare le aree fredde della sintassi, le singole unità grammaticali, l’inusualità delle situazioni fotografiche catturate.

   È area o àmbito di ricerca in cui non tutti gli autori nominati (o non in ogni parte del loro lavoro) possono riconoscersi. Ma si direbbe innegabile il loro influsso sull’esistenza e sul diffondersi positivo, recente, di opere orientate al freddo, con forti basi di ossessione dell’osservazione (referto, scatto b/n da morgue, o accensione cromatica) che può nascere tanto da scelte e studio rigorosi, al limite dell’ascesi, quanto – per ossimoro – dall’incandescenza di storie individuali, oppressione, lutto. Dalle linee della tradizione della ‘misura’ (Beckett, Ponge, e gli autori del segno) e da quelle indiscutibilmente ‘debordanti’ (beat, Burroughs, Artaud): questo, dovendo elencare sommariamente filiazioni solo letterarie.

   Ma è un errore: si dovrebbe semmai – o in parallelo – indagare nella direzione della musica, nel jazz, nella fotografia e negli oltraggi di Matthew Barney, di Nan Goldin, fino al gelo puro di Boltanski, agli interni ostili di Luisa Lambri, di Alessandra Tesi, ai set di David Lynch.

4. 

Quali i nomi? Mi limito solo ad alcune delle numerose e interessanti voci femminili: Giovanna Frene, Elisa Biagini, Florinda Fusco, S/z Mary, Sara Ventroni, Paola Zallio, Francesca Genti, Alessandra Greco, Laura Pugno.

   Non c’è forse una prossimità spiccata (come in fotografia diresti tra Lambri e Tesi) fra le pagine di Biagini e quelle di Pugno e Fusco? Non parlano un linguaggio simile, i corpi esposti nel freddo/bianco autoptico della pagina? E nel calore (ancora bianco, assoluto) che nei loro testi sillaba rapporti, sesso, cibo, dolore?

   Ha o non ha senso leggere L’ospite, di Biagini, il poemetto Spostamento, di Giovanna Frene, o i racconti di Sleepwalking, di Pugno, avvertendo il medesimo ronzio albino ostile sottile e penetrante (necessario come un nuovo lessico), che viene dagli spazi cavi limpidi – o ‘sparati’ in cybachrome – di Lambri e Tesi?

   Se questa traccia minima di ipotesi di lettura è pertinente, è desiderabile che la critica letteraria inizi o riprenda a progettare studi in grado di legare con decisione i linguaggi della poesia e delle arti contemporanee. Se la poesia – ma la letteratura in generale – ha uno spazio di ascolto e incidenza ristrettissimo, ciò è in parte dovuto anche al sonno in cui è caduta precisamente la critica (non solo quella letteraria). Non è fuori luogo pensare che solo da un suo accrescimento drastico possa venire una (ri)costruzione di ruolo incisivo – ovviamente sul piano gnoseologico – della ricerca artistica. 

   All’opposto, ogni diverso strumento di indagine, creativo come analitico, ogni linguaggio che ceda alla deriva semplificatoria che profitto, potere e spettacolo chiedono, accentua la debolezza (genetica, ineliminabile) della parola articolata, e rende in più volgare e straordinariamente falso e dilettantesco ogni percorso che senza mai revocarsi in dubbio pretenda di lavorare su un piano di alta formalizzazione linguistica: ossia, in definitiva, sul piano letterario ampio: critico e creativo. 


lunedì, 02 maggio 2005   [link]

 

Mi scuso con chi non ha (ancora) ricevuto Double click. Ne ho alcune copie, nei prossimi giorni saranno inviate.


  

Due importanti lezioni di laicismo, con proposte che meriterebbero seri
interlocutori politici, vengono da Franco Buffoni : link a Nazione Indiana :
http://www.nazioneindiana.com/archives/001161.html#more

http://www.nazioneindiana.com/archives/001163.html#more


  [link]

 

Una nota di lavoro, 2004

[pensata per i coordinatori del progetto ‘Klandestini’]

   

Ho scritto Double click tra 2001 e 2002, ma solo negli ultimi due anni ho potuto mettere a fuoco con precisione alcuni testi che lo formano, e percepire le linee del libretto, sentirlo – diciamo così – risolto. In questo è stato assai utile il fatto di legare la sua architettura (la progettazione della struttura, e la scelta di cosa accogliere e cosa no) al pensiero dei temi di fondo di «Klandestini».

L’esperimento ampio che vado seguendo dal 1996 è quello di Delle restrizioni: una opera-di-opere, ancora in scrittura, che di fatto mi impegna da (e mi impegnerà per) parecchi anni. Lateralmente rispetto a questo percorso maggiore, si creano talvolta degli spazi e testi-identità a cui mi lego, e che posso facilmente sentire in grado – più di qualsiasi altra pagina – di portare e trasmettere il segno della ricerca generale che in altre opere vado svolgendo.

Double click ha tale caratteristica. E si connette quindi a Shelter, serie ancora inedita di poesie dedicate al ‘riparo’, al luogo di difesa dal dolore e però di prigionia, alla chiusura in ospedali, recinzioni, spazi bianchi. Vorrei dire che Double click e Shelter formano idealmente un dittico, di cui il primo testo offre la dimensione dell’ampiezza, orizzontale, e il secondo la dimensione della profondità, verticale. Il primo è dedicato alla città, ai luoghi della violenza, al viaggio imposto, all’ingiustizia del tempo sequestrato. Il secondo è invece centrato su figure specifiche, singoli ritratti di malattie circoscritte, casi, individui feriti.

*

  

Nato come voce anarchica, a suo modo perfino ‘politicamente connotata’ (ironia nel sottotitolo: «Addressed to English Crowds»), Double click ha forse il pregio di tenere insieme più fili del tessuto generale di tutte le scritture che nel tempo mi impegnano:

– il tema della doppiezza delle percezioni (impossibile percepire oggetti se non raddoppiandoli, moltiplicandoli: in specchi progressivi: è poi la logica che presiede al doppio click che fa funzionare i mouse che normalmente usiamo);

– il tema del dolore e della fuga e viaggio, dell’abbandono e del disfarsi delle cose, dei rapporti umani, soprattutto dei rapporti con i luoghi, che si dissolvono prima nel tracciato biografico (dover lasciare un’abitazione, non poter contare su alcune persone care, non avere sostegno economico) e poi in quello memoriale (iniziare a dimenticare una casa d’origine, e a esserne dimenticato);

– il tema della violenza, di una certa quantità di energia resistente, come indispensabile per non soccombere;

– il tema dei supporti o strumenti (fotocopie, immagini virtuali, specchi, fotografie) che si imprimono e si cancellano; che aiutano e fermano e smentiscono e tradiscono i gesti della memoria.   

*

  

L’ultimo testo della raccolta, Dentro il peso del mondo, è una sequenza onirica in parte dettata dall’immagine della morte di Pasolini. Chiusa com’è tra una citazione da Char e una da Ashbery, la raccolta Double click ha necessariamente a che vedere con il peso del reale: non con il realismo però. Semmai con l’identità originariamente deformante dello sguardo. Del suo doppio tocco sulle cose. 

 


domenica, 01 maggio 2005   [link]

 

Massimo Sannelli

Lettera su Double click    (da www.microcritica.splinder.com, 29-5-2005)

  caro Marco, non avrei mai pensato ad una lettera in forma di saggio, come le lettere – bellissime – di Gio Ferri o quella (un capolavoro) di Marzio Pieri in coda all’antologia ákusma, ma per Double click[1] faccio un’eccezione (alla regola; e a me!). Il microcritico e la microcritica potrebbero essere accusati di lavorare per amicizia: allora ho pensato di dichiarare sùbito l’amicizia e di scrivere una lettera, che sarà pubblica. E non voglio avere un filo logico. Non voglio essere ‘intelligente’; né ideologo. Non voglio preludere a nulla.  Ti scrivo da quello che dovrebbe essere, se Dio vuole, il penultimo giorno di lavoro, e l’ultimo pomeriggio, di lavoro nell’Azienda – qui non vorrei nominarla – prima di rientrare a tempo pieno nell’Università. E così voglio: lì si portano i panni curiali, qui si sentono i dipendenti – metà operai metà impiegati – dire “schizzo!”, con accenti genovesi pesanti. Tra i curiali, anche se “di sinistra”, non c’è molta comprensione per questo tipo di lavoro: per loro si vive cresce muore all’interno dell’Accademia, e se io ne sono fuori è un limite – io stesso sono a me un limite. Nell’Azienda gli uomini ostentano la propria virilità, e ne soffro; la frase “sono ignorante” è pronunciata con dignità, quasi con orgoglio. Qui si incontra bene il popolo, ed è una delusione vederlo non o pochissimo ‘popolare’; anzi feroce, contro altri pezzi di popolo. Il denaro è un veleno e lottare per averlo è un dramma e una rovina: in questo siamo tutti uguali, contemporaneamente homines e lupi.  Quasi tutto il tempo è dedicato alla sopravvivenza: tu lo sai bene, e scrivi che “Quaranta minuti non sono molti / per l’immortalità dell’anima prima / del lavoro” (p. 20; dopo i primi tre versi, che costituiscono una strofa, ed è un’isola di sensi sull’immortalità dell’anima, appaiono molti versi sul molto che manca e il poco che c’è, e che non è sacro). Infatti la precarietà di “atipico” del figlio di p. 22[2] è tua, mia, di quasi tutti: e questa precarietà aspetta, dal punto di vista della critica letteraria, una contestualizzazione seria. Qual è il rapporto – se esiste – tra l’insicurezza biologica e gli stili? Ipotizzo che questo rapporto esista[3]; e che produca più chiusura intra moenia che apertura, più rapporto con la musica e il dolore che con la cronaca e la prosa prosaica. Eppure il linguaggio ‘duro’ non è una fuga: qui sta il gioco. E qui sta, per te, un itinerario mistico (pensa all’etimologia di mistica): “ha una curvatura ovvero non / inizia, non è iniziato, non / c’è – dice – / creazione, ma solo l’arco – ripreso / daccapo e più // piegato critico a sguardo / chiusa, cripta /  che alla fine fonda, lo fonda, eppure o perciò / non rimargina” (p. 23). Mark Strand, che hai studiato bene, scrive: “I have a key / so I open the door and walk in. / It is dark and I walk in. / It is darker and I walk in” (Seven Poems).  Hai scritto un libro che ha una sua voce particolare, e che contrasta con la levità fonico-ritmica di Curvature e del Segno meno. Per te, come per me, il Medioevo è un punto di riferimento forte (per me, addirittura, è una specie di scenario su cui si proietta tutto o quasi il non-Medioevo); e nel Medioevo la scrittura è anche, automaticamente, un’interpretazione dei fatti da dire: a un tipo di fatto corrisponde un tipo di dire. Ogni enunciato sta in una Tradizione e in una Metalingua, esplicita o implicita. Se “mai non vo’ più cantar” come ero solito, è perché il mio rapporto con Amore cambia; e se Amore sono io, per il mio sentimento – il cap. XXV della Vita Nova docet, insegnerà sempre – ‘io’ sono la radice delle lingue letterarie che sperimenterò. Potrò costruire piccoli sistemi, che sono analisi e descrizioni della realtà: “(Voce che dice di mancare)” (p. 15). Quindi testi, ma poi libri, ovvero descrizioni. Da un altro maestro, che non a caso compare in Double click, impariamo che la recensione di un libro è la descrizione di una descrizione.  Non alludo per caso a Pasolini. L’ultima riga del tuo testo è per lui: in nota, a p. 46, scrivi che le due poesie conclusive “chiudono la figura – che l’intero Double click sottintende e non ‘svolge’ – del viaggio, sullo sfocarsi dell’immagine (su tutte) della morte di Pasolini”. Perché Pasolini è importante? E’ importante perché ha avuto un cuore, prima di tutto, e non un muscolo. Sai a chi mi riferisco. Ma per noi, per l’anno 2005, i testi delle Ceneri di Gramsci o di Poesia in forma di rosa non sono più così fondamentali. Lo sono altri testi, invece: per me, e credo anche per te, Trasumanar e organizzar (anche dal punto di vista delle soluzioni formali) e quella costellazione di inediti o semiediti (le poesie per Medea, ad esempio) che testimoniano che qualcosa stava accadendo, nel senso del nuovo: proprio nel momento in cui l’autore capiva che il mondo non lo voleva più. La morte di Pasolini è commovente; ma a me sembra sempre uno scandalo intellettuale: nel senso che è difficile capirla, e chiede di essere capìta; e nel senso che è una specie di performance totale, che aspetta ancora la sua ermeneutica (che non dovrà essere né completamente giudiziaria, né completamente metapoetica; né agiografica). C’è stata una ‘poesia’ di Pelosi? Proprio nel momento in cui forse obbediva ai Poteri o, inconsapevolmente, agiva anche a loro vantaggio, meritandone la copertura? Forse sì. E questo omicidio è un testo, non a caso preceduto da autoprofezie. Uomini e donne come Pasolini non hanno né idee né veri e propri progetti: i progetti sono concepiti e abbandonati, e a volte realizzati; ma questi autori non credono, letteralmente, in nulla, e non sperano nulla. Sono pieni e vuoti. Solo la carità li seduce, e di carità muoiono.  “Replicano, riapplicano” (p. 18). In effetti la descrizione è un argomento fondamentale, quanto i sensi e la lingua. “Vieni a vedere il / vedere” (p. 16) è quasi un motto logico, e (apparentemente) tautologico. E che cosa si veda è importante, e la stessa poesia che inizia, significativamente, con Double click, lo descrive e lo testimonia: una violenza che ha come origine la violenza, come risultato la violenza, come sviluppo la violenza. Ci sono argomenti che possono essere trattati solo anaforicamente e martellando: l’ho fatto ora, e lo fa Florinda Fusco nell’ultimo capoverso della sua postfazione, dove dice (e martella, giustamente): “Violento è il non ascolto. Violento è il muto controllo socio-politico su tutto. I ritmi imposti. Violenta è l’inarrestabile compravendita di oggetti e persone, il trading divenuto tradizione. Violenta è la perenne lotta per il possesso…”). Ci sono argomenti, dunque, che ‘invocano’ l’enfasi: l’enfasi stessa è, da un lato, una bestia nera, e, dall’altro, un modo come un altro.  Dunque “l’ombra è coperta dalla propria ombra” (p. 18). E anche i testi sono ombre, concrezioni ad altissima tensione, con versi-massa, plurilinguistici, oppure direttamente in inglese, se è vero che tutto il libro è “addressed to English Crowds”. L’inglese è una lingua neoimperiale (ricordo un’intervista in cui Boff si rifiutava di parlarlo, in quanto tale; mi dispiace di non poterla citare con più precisione). Nella lingua in cui si uccide si ricordano gli uccisi, come a p. 33: “Consider that enormous stack of shells’ / ashes […]. / Billions of bodies – kids women men – down / eyeless”.  L’epigrafe di Char, all’inizio, è un marchio, che ‘segna’, se il lettore è sensibile, tutta la comprensione che verrà. Il reale è devastato ma l’irreale (gli ideali? le virtù? sì, forse proprio le virtù) è intatto. Una situazione alternativa costituisce un desiderio, da appagare: “Essere lontani dalla realtà, in riva al mare, per esempio (p. 29; interessante, tra l’altro, la non-realtà del mare: un’altra allusione a Pasolini, al suo volersi ritrovare sul mare-madre, come in Una disperata vitalità?). E di questa sopravvivenza dell’irreale si soffre, immancabilmente. Auschwitz, e le sue infinite repliche, uccidono uomini, ma non la humanitas. I segni e i sensi possono continuare – ma lo scandalo è qui. Dover ancora vedere pensare parlare – e farlo con tanta precisione da poter produrre anche metavisione metapensiero metalinguaggio –: è questo che forma la speranza, ma anche il dramma. Edipo avrebbe preferito non sapere… Eppure non si uccide. La vista scompare, ma la storia è nota.   Esiste, ed esisterà con forza, un nuovo filisteismo contro il quale non varranno le reazioni satiriche di Heine. La prima obiezione filistea sarà: “Non si capisce”; la seconda: “La poesia non deve essere un muro, ma una porta”; la terza: “La poesia è fatta di cose poetiche”; la quarta: “La poesia deve essere per tutti”. Non si può rispondere: chi non capisce non può. E tu conosci bene questa disperazione, l’hai provata, ne abbiamo parlato e scritto, pubblicamente e no. Per capire servono una chiave (quella di Strand nel dark) e molta carità. Ma anche così non si capirà mai del tutto; soprattutto se si identifica la comprensione con il controllo (del testo)… Ho paura, lo sai, di quella finta ingenuità che cerca cose chiare nei testi e in tutto, e reclama la Ragione. Il fatto è che le famose “radici cristiane dell’Europa”, ad esempio, non sono un patrimonio ‘razionale’.  Il Cristianesimo è infinitamente approfondibile dal punto di vista culturale, ma vuole, nello stesso tempo, un’estrema umiltà nell’uso del sapere e nel comportamento quotidiano. Da un lato ci chiede di capire l’impossibile (il parto della Vergine, la transustanziazione del pane e del vino, la resurrezione del Cristo e dei morti, l’effusione dello Spirito Santo, la Trinità); dall’altro ti ricorda che devi essere umile, (come) un bambino: studiare teologicamente ciò che adori e non sapere nulla, nello stesso istante. Assumere contemporaneamente la coscienza dei sapienti, l’ingenuità dei più piccoli, la miseria dei più poveri, ha molti punti in comune con il ruolo del poeta e con il suo difficile, ma bellissimo se si realizza, interpolarsi con tutti e con tutto.  Mi chiedo, e ti chiedo: il particolare otium delle humanae litterae, poesia compresa, è solo un sabato da santificare? O è tutto? E’ lecito dedicare ad esso tutta la vita, come in un sacerdozio? E’ lecito, sapendo che la forma di Double click e di altri libri che gli sono fratelli potrebbe essere non capìta? Dico: violentemente non capìta… Oppure la dedizione chiede elasticità? Se sì, fino a che punto? Con citazioni: “La poesia – è forse così poco nella mia vita? Senza poesia io non esisterei”[4], “Amo e capisco una cosa sola al mondo, ed è la poesia”[5]. Tu sai che cosa vorrei per me… Sai a che cosa credo quando non credo a nulla. E di che cosa vivo, “dopo tanti schiamazzi in rottami di sanscrito, / e chilometri cubi di sangue” (p. 35).

Le cose si stanno rivelando ossimoricamente, dentro e fuori; in un certo senso, la nostra vita, nonostante tutti gli scompensi e gli sforzi, ha un suo “fondo dell’anima” assolutamente sereno, perché “chi è, ha fatto” e si stampano “little signs, snowy filth, squares or – or – / mere circles, mere / tiny circles in the air” (p. 33; e si pubblica nella lingua dell’Imperium!); nello stesso tempo, ci sono “al portone i magri colpi, aritmici. / Non esce nessuno. L’angoscia (nome / ridicolo, iridato) sale. Sa che / vale”, come tu scrivi (p. 31). Hai scritto anche, per Mark Strand e per tutto/tutti, che “per fedeltà a Eraclito” bisogna precisare: “fissità derisa e mutamento umbratile non sono che due versanti dell’unica realtà”[6]. E lo stesso Strand: “If I say it, it cannot be. / If I said it, I didn’t” (The Sargentville notebook). Tutto è (in) tutto; eppure non ci si capisce ancora. Ma la sfida è proprio questa…

  (Genova, 29 aprile 2005, Santa Caterina da Siena)

               


    

  [1] Marco Giovenale, Double click, Cantarena, Genova, s.d. [ma 2005], con una postfazione di Florinda Fusco e due opere di Fulvio Leoncini. I testi sono stati scritti tra il 2002 e il 2003.

[2] “Il figlio che li assisteva ha preso i mesi di aspettativa. / Al trenta per cento di stipendio. / Stanno adesso sotto terra, può tornare a lavorare. / Ma, fino a fine agosto, non a tempo pieno. / A quella data scade l’accordo. // L’accordo è tutto in queste cose”. Sul brutto August – “the worst / month to die” – v. anche la poesia, in inglese, di p. 38, quasi un rovesciamento dell’April cruellest month.

[3] Le citazioni adatte non mancherebbero. Cfr. la quarta di copertina del Mare a destra di Massimo Gezzi (Atelier, Borgomanero 2004), in cui sembra di intuire una storia di difficoltà nel lavoro e di dignità, sempre: “E’ dottorando di ricerca (senza borsa) in Filologia Moderna all’Università di Pavia, città in cui vive lavorando in una libreria-copisteria”.

[4] Marina Cvetaeva, lettera del 25 settembre 1923 a A.V. Bachrach, da Parigi: in Il paese dell’anima, a c. di Serena Vitale, Adelphi, Milano 1988, p. 253.

[5] Natalia Ginzburg, Le piccole virtù, Einaudi, Torino 1974, p. 53, nella prima pagina del racconto Lui e io (1962).

[6] Mark Strand, La linea di coscienza dello sguardo, a c. di Damiano Abeni e Marco Giovenale, “Poesia”, 192 (2005), pp. 2-22: p. 3.

aprile 2005

giovedì, 28 aprile 2005   [link]
 

Il blog di Biagio Cepollaro, Poesia da fare (www.cepollaro.splinder.com), diventa Poesia da fare rivista mensile on line, in formato pdf. È già in linea un Numero Zero, maggio 2005, sempre per le edizioni di Poesia Italiana E-book: www.cepollaro.it/poesiaitaliana/E-book.htm  

«La rivista sarà articolata nelle seguenti sezioni: Editoriale, Testi, Letture, Immagine, accomunate dal tema dell’attenzione. Attenzione ai testi poetici, al senso, presenza a sé, disponibilità alla poesia di questi anni e, nel rumore della società dello spettacolo, allo specifico di una sola immagine: pochi testi, poche letture, una sola immagine. Quasi una dieta della mente o una sua ecologia all’inizio del millennio. Il condensato di questo flusso continuerà a precipitare nei Quaderni di poesia da fare, fin qui giunti al IV numero. 

Il Numero Zero è già in linea e comprende inediti di Luigi Di Ruscio, Jacopo Galimberti e Giorgio Mascitelli; la postfazione al libro di Sergio La Chiusa, I sepolti, LietoColle 2005 e un’immagine» (B.C.) 


lunedì, 25 aprile 2005   [link]

 

Solitamente questa pagina web non riporta poesie. Piccola eccezione: al fine di correggere un minimo refuso nel primo testo di Double click (Quaderni di Cantarena, Genova 2005), propongo la poesia qui in forma esatta:

Alza la mano destra, di’ questa

è la mano sinistra. Lo specchio ragiona, ti rivolgi a una

nuvola di doppi di crani a forni di senzienti

e rotori o rasoi che confermano attraverso

lentissime lenti con i calibri con i cenni

cenni in prismi di altri   è / hai     raison

e che un’ombra – del tiglio – alle tue spalle mentre parli

non potrebbe

testimoniare meglio al posto tuo.

Fatto scialo dell’ultima razione, nessuno sente

il discorso. Rovesciano le sedie e cercano di divorare il ventre,

fracassano dietro scaffali, razziano con la lingua

denti, terra, aperte

le scheggiano le unghie contro intonaco, a

sangue. Vuoterebbero in un boccone il cranio

alle madri non l’avessero già fatto. Dé-jà-vuvé-cu.

Incollanerebbero da bocca ad ano feti non ne avessero

già fatturato copyright. («Modulistica? La? Pacchi, fiumi, mari»).

È questo. È il

coetus – pensato pensante – ha distribuito i beni

– riferiti inversi. (Mano di carte).

  

 

Double click, a cura di Mario Fancello, è un’edizione fuori commercio di cento copie numerate, con immagini di Fulvio Leoncini e un saggio di Florinda Fusco. Un grazie particolare a tutti e tre, e a Massimo Sannelli, alla sua idea iniziale.


sabato, 23 aprile 2005   [link]

 

Da segnalare l’articolo di Giovanna Frene, Prime ipotesi sui “contemporaneissimi”, uscito inizialmente in «L’Ulisse», rivista online (ed. Lietocolle), n.1, 29 giu. 2004 (http://www.fucine.com/corporate/lietocolle/index.php?module=subjects&func=viewpage&pageid=612), poi ripreso e modificato in Prospezioni sui contemporaneissimi, in «L’almanacco del ramo d’oro», nn. 5/6, febbraio 2005, pp. 181-206, e nel sito di Lietocolle: all’indirizzo http://www.lietocolle.com/index.php?module=subjects&func=viewpage&pageid=1037, dall’11 aprile 2005.

    


martedì, 19 aprile 2005   [link]

 

Grazie a Mario Fancello (e alla proposta di Massimo Sannelli), esce ora per le edizioni genovesi dei ‘Quaderni di Cantarena’ la plaquette di poesie Double click: edizione fuori commercio di cento copie numerate, con immagini di Fulvio Leoncini e un saggio di Florinda Fusco. Alcune pagine erano state anticipate qualche tempo fa dalle pagine del progetto “Klandestini”, nel sito del British Council.


domenica, 17 aprile 2005   [link]

 

La Camera Verde ha cambiato numero telefonico: chi volesse ordinare una copia di Altre ombre o di Curvature, o di altri testi èditi da Andrea Semerano, può chiamare il numero 06-6572894540, tutti i giorni (tranne il lunedì) dopo le 18. Oppure scrivere al consueto indirizzo: via Giovanni Miani 20, 00154 Roma.


  [link]

 

la fotografia rovescia il campo inquadrato in alterazione – generale. in verità alterata del momento. (ma: in sé ogni momento è alterato: così qualcosa come un’obiettività si riattesta).

(il fatto di alterare ciò che già nella percezione – per via della percezione stessa – è oscillante e continuamente cambiato, è un modo dell’oggettività. o meglio: è un modo del generale riferirsi al percepire, che fontalmente è alterato, ha e dà alterazione).

l’interruzione fotografica, il riquadro, taglia nel tempo quello che il tempo brucia, sì, ma anche quello che annuncia. sono percettibili i movimenti futuri, tutto quello che lo scatto non riesce a tener dentro


sabato, 16 aprile 2005   [link]

 

alla prosa breve può essere dedicato un discorso legato da una parte ai caratteri antilirici del Diario ottuso rosselliano, dall’altro al senso-non-senso convocato sulla pagina dalla ricerca intera di Beckett.

fare tutt’ora riferimento a due ‘luoghi’ del pieno Novecento ha valore solo se e in quanto viene sentita ed esperita una vera e propria piccola comunità (finalmente anche italofona) che lavora con una non-narrazione e una non-lirica. questa comunità esiste.


mercoledì, 13 aprile 2005   [link]

 

A interpretare e chiarire la terza Critica kantiana [contro varie misletture offerte recentemente da pamphlet tanto agili e abili quanto superflui] contribuiscono egregiamente quattro libri di Emilio Garroni, nodali anzi imprescindibili anche per decifrare e ri-cifrare molti aspetti dell’arte del Novecento. Non mi stancherò mai di raccomandarne la lettura:

Immagine, linguaggio, figura. Osservazioni e ipotesi (Laterza)

L’arte e l’altro dall’arte. Saggi di estetica e di critica (Laterza)

Estetica. Uno sguardo-attraverso (Garzanti)

Senso e paradosso. L’estetica, filosofia non speciale (Laterza)


mercoledì, 06 aprile 2005   [link]

 

è riproposto qui di séguito un testo uscito su www.pseudolo.it nel giugno 2002 (indirizzo completo: http://www.pseudolo.it/CL10Giovenale_Sensocaos.htm):

  

SENSO, CAOS

 

 

 

            

Beckett citato da Shainberg: 
 

La confusione non è una mia invenzione, ne siamo circondati e l’unica possibilità che abbiamo è lasciarla entrare. La sola possibilità di rinnovamento è aprire gli occhi e vedere il disordine. Ci sarà una nuova forma e questa forma sarà tale da ammettere il caos e da non tentare di spacciarsi per qualcos’altro.

(L. Shainberg, Samuel Beckett, 1992, ed. it. Minimum Fax, Roma 1996)

Può esser detto che la scrittura contemporanea – se è scrittura – è confronto più o meno conscio con lo sguardo di cui Beckett parla. È, allora, di ricerca (Naturaliter).

      

 

Dunque (e si dice qui non per acquisizione che marcia verso un ‘progresso’ ma semmai perché linguaggio e coscienza sono nella storia, e il Novecento è esistito): non c’è scrittura che in qualche modo non sappia – e sia pure per poetiche conflittuali – che l’ammissione di caos è discorso continuamente riaperto

      

 

È un dato, pietra d’inciampo che vale come profit and loss. Acquisto-perdita, meglio ancora.

      

 

L’accoglienza verso l’opzione caos – o verso quel dato diremmo antropologico che è la significazione novecentesca  del caos – non è un elemento che entra nella scrittura da un qualche ‘fuori’ miracolosamente cristallino, vergine.

      

 

La parola, qualsiasi parola, anche perfettamente incosciente di pregresse realtà/acquisizioni ‘letterarie’ (novecentesche  o meno), è una parola-caos. Miniata e minata dai propri limiti-rilanci di senso. Ciò non è prescrittivo, è semplicemente l’acqua in cui nuotiamo. L’aria che ci respira.

      

 

Al contrario, una visione o versione di delirio aristotelico (una lettura pre-saussuriana del mondo), o una considerazione  del linguaggio ‘come strumento’, tuttora misinterpreta il parlare come azione ‘di volta in volta’ sottoposta a perdite  o acquisti di senso. I quali formerebbero così – nella mente di chi ci crede – una specie di sinusoide o teatrino su cui  un qualche oggetto evidentemente definito, come una luna o un pulcinella, ora è accolto su sfondi dorati ora è calciato  giù dalle scale.

      

 

Non si tratta di afferrare o perdere ‘qualcosa’, tantomeno attraverso mezzi di significazione – o quant’altro (gli attributi  sono moltiplicabili, una volta ammessa la qualita’ di ‘strumento’ del parlare).

      

 

È importante sottolineare (in sede critica, dove c’è sordità; ché in sede creativa, e di linguaggio quotidiano, non è necessario: sarebbe come ripetere ogni giorno che il sole sorge a est): la centrale, fontale individuazione del linguaggio – della percezione – come luogo del problema (e problema a/per se stesso).

      

 

Lingua-luogo. È nella parola che precisamente si forma-demolisce la forma demolita dell’interrogazione sulla parola. La parola che si disegna con un colpo di gomma, o che scompare in inchiostro (la parola del limite, in sostanza).

      

 

Solo inesperienza, dilettantismo e nuove esilaranti peristalsi petrarchesche, o tossi da secolo decimonono, oggi tengono troppi intellettuali legati alla lettiga del senso inteso come opposto al non senso. Quasi si galleggiasse in un vero mondo dualista, del resto già dotato o dotabile – vediamo – di un’ecclesia o apparato gestionale di baronie pronto a passare in mano a chi detiene politicamente i poteri effettivi, economici, o li appalta.

      

 

Ma lo spirito soffia dove vuole. La ‘cosa’ estetica è imprescrittibile. Perché non è definit(iv)amente oggetto, cosa.

Di conseguenza non ha bisogno di preti che la amministrino. 
 
 
 

 

 


martedì, 05 aprile 2005   [link]

 

Cinquanta milioni di persone prima o poi si accorgono se complessivamente stanno male, vivono male, viaggiano verso la miseria. Allora hanno paura, per fortuna, e reagiscono, per fortuna


lunedì, 04 aprile 2005   [link]

 

Un articolo di Andrea Raos sulla poesia italiana contemporanea (e su BINA!): in Nazione Indiana


Un’annotazione di Massimo Sannelli su alcuni versi di Altre ombre, ora in www.microcritica.splinder.com


domenica, 03 aprile 2005   [link]

 

non

Slow-forward è un riquadro, una specie di telemetro, che mostra segmenti di attività di un personale laboratorio di scrittura e studio. Tenta inoltre di configurarsi come luogo utile per incontrare link, scovare intrecci, suggerimenti. A volte microsaggi o note. Non ha alcuna stabilità e periodicità. Non è un esperimento di critica, tantomeno militante.

A questo punto è noioso ma forse onesto e indispensabile ripetere e sottolineare un invito fatto più volte attraverso questa pagina: l’invito a non inviare in nessun caso alcun file o libro o testo alla mia casella elettronica, o all’indirizzo postale. Almeno ora. Il ‘momento biografico presente’ è complesso – anche se spero possa variare dopo l’estate. Ad oggi, non ha uscita. Pertanto non è in nessun modo possibile fare alcun tipo di recensione, né leggere testi; ma nemmeno archiviarli. La fase (che come ripeto è decisamente critica) sicuramente non cambierà per un lungo tratto di settimane, rischiando anzi di peggiorare. Pagine inviate in formato elettronico o cartaceo non potranno essere lette. Potrebbero anzi andare perse, nel caos dei giorni, dei mesi.

 

 


sabato, 02 aprile 2005   [link]

 

Un saluto di amicizia a Robert Creeley, scomparso mercoledì 30 marzo.

Due pagine web:

http://www.ildikos.com/2005/03/robert-creeley-1926-2005.html

http://www.wwnorton.com/nd/welcome.htm


venerdì, 01 aprile 2005   [link]

 

lo spostamento del linguaggio ‘poetico’ fuori dalla fascia significante (ma costantemente nell’area del senso-non-senso) dovrebbe essere prassi anche storicizzata. e plausibile e raggiungibile per lettori mediamente colti anche perché storicizzata.

la smentita di questa ipotesi è continua, e continuamente sorprendente

marzo 2005

lunedì, 28 marzo 2005   [link]
 

Cythère-Critique & Sud: Philippe Pogam intervista Francesco Forlani: su http://www.cythere-critique.com/interviewfrancesco.htm

Francesco Forlani bonjour,

À vous de même

De ces deux définitions : vous êtes le correspondant à Paris de la revue Sud, ou plutôt un Italien vivant à Paris qui a en charge la rédaction parisienne de la revue Sud, quelle est la plus appropriée ?

Dans un dîner peu mondain il y a trois jours de cela, Peter Handke dans un échange “amical” mettait en touche mon désir de “définir” les choses citant Goethe : “laissons les phénomènes tranquilles”. Mais, par souci de clarté, je vous répondrais que  j’ai réalisé en 2002 qu’une revue historique, Sud, pouvait traverser mon destin et celui de mes amis. Je suis Hermès, donc surtout pas de pieds par terre et un profond sens de l’amitié.

Question large qui en appellera des plus précises : D’où vient Sud ?

Le sud peut venir de partout. Du nord-est de l’Italie (Trente, Venise) ou des grandes capitales. De toute banlieue confondue. Ce n’est pas l’espace qui compte mais le temps. Peut-on aujourd’hui se définir moderne ? À quel prix ?

Le format, le titre et ses compléments -nous allons-y revenir-, la liste des collaborateurs en Une semble témoigner d’un souci  de visibilité et d’une ambition non déguisée

La spontanéité ce n’est pas le spontanéisme. Je garde précieusement la définition (encore elle) que Luis de Miranda m’avait proposé :  « bravo à l’un des rares situationnistes non fielleux de la place parisienne.. ».

A propos des compléments de titre justement, “Revue européenne” déclinée en cinq langues mais les textes ne sont qu’en Italien, vous-même êtes traduit (“Cul-de-sac” pp32)

Cinq, voir plus, ce sont les langues d’origine. Peut-être que dans le futur nous allons avoir une revue Sud on-line qui proposerait les textes d’origine (con testo a fronte).  Notre organisation graphique, le grand format (il ne permet pas un nombre important de pages) et les frais de fabrication ne nous permettent pas de répéter les interventions…

Ou encore « Périodique de culture, d’art et de littérature »…. mais à lire le numéro 3, Forza/lavoro, avec une réflexion qui court sur la notion de “métier” n’avez-vous pas oublié le mot politique ?

Ce n’est pas nous qui avons oublié le politique, c’est plutôt le contraire. C’est le politique qui nous a oublié. Cela dit, parler de mortes blanches sur un numéro consacré au travail à travers les images d’Ernest Pignon-Ernest ou le voyage de Calvino dans les usines ou celui d’un écrivain, Roberto Saviano, dans la camorra napolitaine, ça c’est à mon sens de la politique. Un dessin d’Altan parle politique plus que n’importe quel pamphlet confectionné par la nouvelle gauche ou pire la vieille. Nos auteurs politiques, Jean Claude Michéa ou Wu-ming, Antonio Ghirelli ou Lakis Proguidis, Pajak ou Muñoz, ce sont des descripteurs de la polis, d’abord et puis de ses tics. Parfois le contraire et c’est bien quand même

Comment se font les choix des textes, leur liaison à l’iconographie : par des comités éditoriaux, techniques, ou le par le libre jeu des associations entre contributeurs ?

La revue pre-existe. L’idée deleuzienne du rhizomatique s’actualise chaque fois par le biais des passions bonnes. Akusma ( projet décennal avec les poètes Giuliano Mesa, Biagio Cepollaro, Andrea Inglese, Marco Giovenale, Mariano Baino, Piero Cademartori, massimo rizzante) l’atelier du roman à Paris (Stanko Cerovic, François Taillandier Beatrice Commengé Milan Kundera Lakis Proguidis, jean philippe Domecq) Paso doble (Philippe Schlienger, Chantal Nau, Franck Lassalle, Esteban Buch, José Munoz, ) et puis les rencontres, qui sont aussi de coups de vent dans des fils d’herbe. Aucun souci de visibilité. C’est de l’amitié et de l’admiration pour certaines visions qui emmènent au bouclage du numéro. Pas de réunion de rédaction mais de textes qui circulent dans une communication préétablie, et très rarement on “refuse” de publier un texte. Celui qui nous parviendra de cythere sera publié, certes, avant qu’on le voit. Et c’est  justement parce qu’on l’a déjà vu, entendu, senti, à travers la rencontre avec Philippe (Pogam). Jusqu’ici personne ne nous a contacté pour faire la une…

Pour en revenir à l’internationalisme – avec une forte prépondérance littéraire italo-française – des contributeurs, quel en est le pacte ?

On va s’ouvrir de plus en plus à d’autres réalités, mais la question à poser c’est aussi une autre. Yasmina Khadra, c’est un écrivain français, ou arabe? Et Kundera? Arrabal? Je crois que c’est une fausse question. La littérature ne doit pas avoir de frontières. Thème du prochain numéro.

Comment voyez-vous le développement de Sud

Le mot développement ne suffit pas aujourd’hui à expliquer l’état et surtout le devenir des choses. Pour le sud comme pour le nord, à nos jours on devrait parler de “enveloppement”, s’envelopper (voilà une idée sensuelle et donc politique) à son authenticité. Tout cela pendant que l’ouest et l’est se font la guerre…

[ Cythère-Critique ]


sabato, 26 marzo 2005   [link]

 

In libreria il nuovo libro di Emilio Garroni, Immagine, linguaggio, figura. Osservazioni e ipotesi (Laterza).

Riporto qui la descrizione presente sul sito delle edizioni Laterza:
“Questo breve libro si presenta come una costellazione unitaria di alcuni temi di fondo. Innanzi tutto vi si affronta l’‘enigma’ della percezione: le immagini che essa produce sono internamente mobili e sono capaci di interpretare gli oggetti. Pur non essendo ancora linguaggio, esse sono focalizzate su oggetti determinati, ricomprendendone l’intero contesto fino ai limiti dell’indeterminato. Ci si occupa poi del linguaggio in quanto la percezione è ad esso correlata e gli offre i precedenti indispensabili per una significazione. Infine si distingue l’immagine dalla figura, spesso confusa con quella. Si delinea su questa base, in forma discorsivamente osservativa, una semantica, un abbozzo di epistemologia, una propedeutica alla considerazione delle figure – in particolare quelle artistiche – e della configurazione della cultura in tutti i suoi aspetti, operativi, tecnici, mitici, emozionali, conoscitivi”.


domenica, 20 marzo 2005   [link]

 

Nuove uscite per Biagio Cepollaro E-dizioni:

Niccolai, Baino, Forlani, Fusco, Inglese, Mascitelli

Nella collana ‘Poesia Italiana E-book‘, raggiungibile dal sito www.cepollaro.it, sono disponibili dal 19 marzo sei nuovi testi:

– la ristampa di

Giulia Niccolai, Poema & Oggetto (1974)

Mariano Baino, Camera iperbarica (1983)

– e gli inediti di

Francesco Forlani, Shaker (2005)

Florinda Fusco, Linee (testo integrale: 2005)

Andrea Inglese, L’indomestico (2005)

Giorgio Mascitelli, Città irreale (racconti, 2005)

 


Si riproducono qui di seguito due annotazioni sulla collana, di A.Inglese e G.Bortolotti (leggibili anche su www.cepollaro.splinder.com):

Andrea Inglese, Sul IV Quaderno di POESIA DA FARE e su Poesia Italiana E-book

commento su Nazione Indiana al post di B.Cepollaro del 16 febbraio 2005:

.

Al di fuori di ogni sollecitazione editoriale, di ogni conclamata richiesta del pubblico, di ogni canonizzazione della critica, Cepollaro lavora a trasmettere un’eredità quanto mai “minoritaria” ed eterogenea. Spatola, Di Ruscio, Niccolai, Mesa, Baino. Qui non ci chiediamo neppure se è popolare, se vale la pena di occuparsene, piuttosto che leggersi il fenomeno editoriale del momento. Qui alcuni poeti giovani e giovanissimi hanno semplicemente capito che questi testi parlano a loro in modo decisivo, indubitabile.

L’atto di lettura individuale esiste ancora ed è a partire da esso che si organizza la consistenza “sociale” di un testo. Anche se tutto ciò non è sincronizzato con “lo spirito del giorno”, con “i fondamentali dell’epoca”, con i temi del giorno.
Che questi libri, ora trasmessi in formato “elettronico”, siano una faccenda di numeri irrilevanti in termini di pubblico, non cambia nulla. Ciò che qui conta è la “forma” della trasmissione: il modo e la libertà attraverso cui dei testi sono proposti e attraverso cui vengono fatti propri. Questa forma sarà di minoranza, ma è sociale nel senso più forte del termine. Un’associazione di individui intorno ad un testo-valore.

Cosi succede ovviamente anche per i romanzi o per i dischi che improvvisamente acquistano un grande successo, al di fuori di ogni previsione di marketing. Sotto strati e strati di mediazioni di natura ideologica ed economica, la consistenza “sociale” del testo letterario sta nella sua possibilità di rispondere anche intempestivamente, in ritardo, e sulla lunga durata.

*

Gherardo Bortolotti, Sull’intervento di Andrea Inglese

Ho letto l’intervento di Andrea Inglese su Nazione indiana e quelle che seguono sono le considerazioni a cui mi spinge. Il punto, mi sembra, è che quando ti rendi conto che le forme che il mercato ti offre, e su cui il dibattito culturale continua a ritornare, non sono sufficienti a mettere insieme i pezzi dei tuoi giorni, i tuoi guai, la tua vita, l’unica cosa che puoi fare è rivolgerti altrove. Anche a costo della marginalità – dell’irrilevanza, in effetti – dato  che l’unico “altrove”, in questi casi, è l’esclusione. La (bella) sorpresa, piuttosto, è che anche altri sentono i tuoi bisogni e trovano nelle tue scelte una conferma – come tu nelle loro. È allora che si forma quella che Inglese chiama “un’associazione di individui attorno ad un testo-valore”. E questo perché solo una forma può coagulare una comunità ed è lì che trova il suo fondamento.

Scrivere/leggere, infatti, al di là del piacere, al di là della tecnica, rimane sempre un problema di produzione di senso, e dei termini secondo i quali produrlo, ed è nei testi, solo nei testi, che lo scrittore / il lettore trova alcune concrete, formali soluzioni. Questo discorso, di per sé, è valido in generale e, giustamente, Inglese fa riferimento anche ai successi inaspettati di libri o dischi, costruiti dalle comunità che vi si riconoscono. Nel caso del tuo sito, però, nell’operazione di pubblicazione e ri-pubblicazione che hai intrapreso, mi sembra che ci sia un carattere specifico.

Si tratta del poderoso rimosso che ha coperto la stagione degli anni ’60-’70 e che, nei discorsi correnti, ha ridotto quella che fu la sede di una ricchissima elaborazione formale ad un periodo di manifesti. Questo rimosso costringe noi alla marginalità, alle eredità minoritarie, lasciandoci come unico orizzonte, anziché un dibattito condiviso, la sola “possibilità di rispondere anche intempestivamente” del testo letterario. Non solo. Mi sembra che l’esperienza del tuo blog sia una delle poche realtà in cui si prende coscienza di un aspetto del fare letteratura ai nostri giorni (nel mondo globale, come si dice). Parlo della marginalità (diversa da quella di cui sopra, ma analoga) in cui vive la letteratura, una marginalità che mi sembra sfugga alla maggior parte delle persone che con la letteratura hanno, a diverso titolo, a che fare. L’immaginario, il senso, gli strumenti che abbiamo a disposizione per mettere insieme i nostri casi e quelli degli altri (dalla vicina che ha perso il gatto alla guerra in Iraq tuttora in corso) vengono prodotti da centrali ben più forti, attrezzate e diffuse della letteratura ed il cui spazio e ruolo “usurpano” in vari modi.

Sto parlando, ovviamente, della televisione, del cinema, dei videogames, dell’industria musicale e così via, rispetto ai quali la letteratura è veramente una realtà troppo povera. Che sia questa povertà la sua forza, è un discorso che qui non posso affrontare, ma non cambia lo sbilanciamento che si è prodotto e da cui, per forza di cose, bisogna ripartire. Di nuovo, a partire da una forma e da un ragionamento sulla forma (non sulla tecnica) che, forse, solo dai margini si può fare.

 

                                            

              


Sono ovviamente sempre online gli altri titoli di ‘Poesia Italiana E-book’: Luigi Di Ruscio, Le streghe s’arrotano le dentiere (1966), Adriano Spatola, Da La composizione del testo (1964-1971), Massimo Sannelli, Le cose che non sono (inedito, 2004), Marco Giovenale, Endoglosse (inedito, 2004)



giovedì, 17 marzo 2005   [link]

 

Chi desidera acquistare una copia di Altre ombre può scrivere a: Camera Verde, via G. Miani 20 (00154 Roma); o inviare sms al numero 3386761065

                      


                        

Giulio Mozzi segnala «bina» n.42 (poesie di Sergio Rotino) su http://www.vibrissebollettino.net/  (6 marzo 2005)

                      


                        

non è cambiata solo la geografia/geometria della città esteriore, non i soli palazzi, gli spostamenti, i luoghi di passaggio.

hanno subíto mutazioni anche i luoghi elettronici e immaginari, matematici, che formano e forzano la struttura – sempre riscritta e variante – delle percezioni, e la riconfigurano. non c’è bordo, margine. ogni spazio è pieno o riempito e tende a sovrascriversi e affollarsi ancora. le voci. cose graffiate, di gruppi sonori, di persone che parlano, di appuntamenti di cui prendere note sovrapposte. la somma è il primo segno imparato e insegnato


lunedì, 14 marzo 2005   [link]

 

M.Cucchi segnala Altre ombre – citando il primo testo – sulla pagina de La Stampa Web: http://www.lastampa.it/_web/_RUBRICHE/poesia/notiziario/notiziario_050314.asp


sabato, 12 marzo 2005   [link]

 

conoscenza e connessione formano lo sfondo di senso su cui si stanno disegnando molte scritture contemporanee.

persone si conoscono, affiancano i progetti, la ricerca. senza scrivere critica (‘militanza’), semmai praticandola in concreto, in stili.

molte iniziative (alcune in attesa di nascere, anche) allora si legano. costruiscono: resistenza. (nei fatti).

ecco per esempio Cythère-Critique e SUD, e Cythère-Critique+SUD.


 

:  riepilogo di link recenti  :

segnalo cinque testi di Michele Zaffarano, da post-it, in www.nazioneindiana.com : il percorso completo è

http://www.nazioneindiana.com/archives/001109.html#more

una recensione di Alessandro Broggi ad Altre ombre è ora leggibile in www.dissidenze.com, sito curato da Giampiero Marano. indirizzo:

http://www.dissidenze.com/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=178&mode=thread&order=0&thold=0

Su «Poesia» di marzo : Mark Strand. La linea di coscienza dello sguardo, a cura di D.Abeni e M.Giovenale : http://www.poesia.it/Archivio/2005/somm_03_05.htm

link a «bina»  sul sito di Nuovi Autori http://www.asaland.com/naut/viewtopic.php?t=1238 

una recensione al libro di R.Baracchini e G.Giovannetti, su www.italianisticaonline.it : link completo

all’indirizzo http://www.italianisticaonline.it/2005/03/01/paroladelpoeta/



venerdì, 11 marzo 2005   [link]

 

la distruzione della vita individuale è anche la distruzione della separazione.

ancora negli anni Cinquanta Debord poteva pensare a una Critique de la separation. quanto ai contenuti di quella critica, nulla delle parole di G.D. ha perso senso. ne ha anzi acquistati di nuovi e inediti (purtroppo).

quanto alla realtà delle vite compattate e annichilite insieme dal lavoro e dalla sconcia ideologia della “trasparenza” indotta dal mercato, ogni acquisto di separazione è una ricchezza


giovedì, 10 marzo 2005   [link]

 

la distruzione della vita individuale non è descritta. non si è in grado, da dentro


domenica, 06 marzo 2005   [link]

 

Su «Poesia» di marzo : Mark Strand. La linea di coscienza dello sguardo, a cura di D.Abeni e M.Giovenale : http://www.poesia.it/Archivio/2005/somm_03_05.htm


link a «SUD» + Cythère-Critique: qui: http://www.cythere-critique.com/documents/quidmars05.html



link a «bina»  sul sito di Nuovi Autori http://www.asaland.com/naut/viewtopic.php?t=1238 


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sabato, 05 marzo 2005

lettura e scrittura lineari costituiscono un problema che il XX-XXI secolo non avverte sempre come problema.

 

è anzi vero l’opposto. la percezione del problema è occasionale, è indesiderata.

 

ora, nel tempo ben consolidato in cui la realtà si sottrae a retoriche lineari e teleologiche, queste organizzano difese puerili (dunque vincenti giusto perché puerili).

 

le difese, naturalissime, coincidono con il perdurare di trama e intreccio e scioglimento, spettacolo poematico, scrittura ‘rappresentazionale’ (realista o iperrealista), e insomma con tutte quelle forme morte che – proprio in quanto tali – hanno gioco facile in una società cimiteriale.

 

il romanzo è la forma predatrice per eccellenza. nel confine della letteratura, anche se non ovunque nella comunicazione, la forma romanzo e ‘il romanzesco’ scalzano e divorano le forme ritenute minori – la fiaba l’aneddoto il mito la prosa non narrativa e la stessa poesia, anche se narrativa.


martedì, 01 marzo 2005   [link]

 

una nuova recensione su www.italianisticaonline.it :

all’indirizzo http://www.italianisticaonline.it/2005/03/01/paroladelpoeta/

febbraio 2005

domenica, 27 febbraio 2005   [link]
 

più la persona è fatta oggetto di aggressione, più ha valore negare le bugie della rappresentazione. sbarrare cioè quel ricorrente teatro che millanta di saper compilare mappe in scala 1:1.

ogni linguaggio ‘realista’ è un regresso dei segni.

che sono segni umani proprio perché sempre si alterano


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il lavoro e la realtà bastano.

la distruzione del ‘solo’ tempo individuale è – per alcuni ‘oggetti’ – cancellazione riuscita, integralmente: niente margini di resistenza. (come? sarebbe da ridere). la mano non pensa mica, spazza le briciole di gomma via dal tavolo


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Il centro della possibilità

Arretrare ovvero risalire fino al limite significa arretrare ovvero risalire verso il verbo arretrare, risalire. Verso il gesto-parola del risalimento. (Logico: in Escher: le due mani si disegnano a vicenda).

Questo atto è paradossale, o è il paradosso. Dunque il centro non del parlare, ma del poter parlare.

Lo status di paradosso della parola sembra non integralmente condiviso da Tagliaferri, che inclina a una conservazione del dualismo (p.es. materia/parola) in quanto tale. Utilissime sono però le sue note su Il labirinto di Cnosso:

«La Sfinge, l’altra figura di questa doppiezza e di questo trapasso, non ancora del tutto nata, emerge con il capo di fanciulla dalla matrice dell’essere, e conseguentemente ha volto umano e corpo teriomorfo. All’inverso, simmetricamente, il Minotauro ha corpo umano e testa di animale, perché viene forzato a rientrare nelle tenebre della caverna-utero e la sua nascita viene cancellata e ricacciata indietro verso l’indicibile. La cosa riesce solo per metà e solo il capo si reimmerge nella Grande Madre, parallelamente al fatto che il labirinto ne risulta in parte sotterraneo, come si è detto, e in parte scoperchiato verso l’alto, vero intreccio di luce e oscurità, esattamente come l’enigma».

 

[ Aldo Tagliaferri, L’invenzione della tradizione. Saggi sulla letteratura e sul mito, Spirali, Milano 1985: p.68 ]

Zumthor:

 «È strano che la più antica composizione che ci è rimasta in lingua romanza sia un enigma, tracciato a margine di un libro di preghiere copiato a Verona verso l’800, e il cui oggetto è la scrittura stessa di chi lo annotò: metafora fondamentale, ormai da molto tempo tradizionale […:] boves se pareba / et alba pratalia araba / et albo versorio tenebat / et negro semen seminabat»

 

[ Paul Zumthor, Lingua, testo, enigma, Il Melangolo, Genova 1991, p.35 ]

Come il minotauro (e come la struttura stessa dell’enigma, che ha ragion d’essere proprio nell’«intreccio di luce e oscurità», di detto e non detto) anche il soggetto da indovinare qui agisce tra bianco e nero, «albo» e «negro».

La scrittura scrive [sé] attraverso l’enigma: che è dunque il centro del suo poter essere (anche storicamente: è alla radice delle lingue romanze, ci dice Zumthor). (Daccapo le mani di Escher).


sabato, 26 febbraio 2005   [link]

 

Si prega di non inviare files né libri al mio indirizzo. Non è in nessun modo possibile fare alcun tipo di recensione, né leggere testi ora; ma nemmeno archiviarli.

La situazione (che in questo momento è a dir poco CRITICA) sicuramente non varierà per un lungo tratto di tempo. Testi inviati ora, in formato elettronico o cartaceo, non potranno essere conservati.


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quello che la realtà impone prescinde dalla sociologia. prima dello sguardo esiste l’oggetto. il suo taglio.

ci sono delle retoriche che hanno imparato da altre retoriche, e decidono di fare a meno delle condizioni oggettive di vita che presumono di descrivere


domenica, 20 febbraio 2005   [link]

 

Il dominio dell'”estetico” 

Giuseppe Montesano ha scritto su «L’Unità» del 19 gennaio un interessante intervento sul libro di Tiqqun, Teoria del Bloom (Bollati Boringhieri, 2004), inserito poi da Helena Janeczek sul sito di Nazione Indiana. A mio parere il testo è da leggere in parallelo e in dialogo con Contro la comunicazione, di Mario Perniola (Einaudi, 2004).

Da queste basi, si può affrontare una ulteriore linea di lettura della (post)modernità: l'”estetico” non è da confondere con il “dominio dell’estetico”. Ciò che banalmente si definisce “l’estetico” domina precisamente perché non ha UN “dominio” inteso come campo (che si millanta sia solo “il bello”), ma riguarda semmai l’INTERO ambito del nostro esperire, come si è configurato nella variante occidentale dell’anthropos nata all’incirca nel XVII-XVIII secolo.

Quando un ambito della percezione (e della sensatezza attribuita alle percezioni) si rivela essere non “un” ambito bensì “tutti” gli ambiti, naturalmente domina.

Se intendiamo (iuxta Emilio Garroni, come insisto a ripetere) che l’estetica è una filosofia non speciale, intendiamo che essa riguarda ogni ambito dell’esperire: e della sensatezza dell’esperire.

In occidente l'”uomo” (in questi ultimi 3-4 secoli) è o è diventato – insomma – una raggiera di campi semantici tutti compresi dall'”estetico”. (Che li eccede).

Su questo non si sono ancora spese abbastanza parole.

[ Rif.: Emilio Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Garzanti, 2004 ]


Una nuova recensione al Segno meno (Manni, 2003), scritta da Mimmo Cangiano, è ora nel sito di FuoriCasa. Poesia



venerdì, 18 febbraio 2005   [link]

 

Le mancanze

 


Alessandro Spina (Conversazione in piazza Sant’Anselmo, Morcelliana, Brescia 2002): «Uno dei modelli letterari più straordinari è stato fin dal secolo scorso il Bildungsroman – o romanzo di formazione. Sembra che adesso abbia lasciato il posto al romanzo di congedo, di cui La recherche du temps perdu è esempio eccelso. Romanzo dettato, scrive la Campo, “dalla passione di un estremo commiato”. / Proprio per questo viene naturale annoverare alcune opere di antropologia fra i grandi romanzi del nostro tempo. Il personaggio non accumula più: ma guarda un’ultima volta prima di abbandonare. […] Si salva nei libri, ciò che più non riesce a sopravvivere: “Un tempo il poeta era là per nominare le cose: come per la prima volta, ci dicevano da bambini, come nel giorno della Creazione. Oggi egli sembra là per accomiatarsi da loro, per ricordarle agli uomini, teneramente, dolorosamente, prima che siano estinte”. È un passo che abbiamo già citato, ma sembra il motto, la divisa della Campo».

 

Sottraendo a questa pagina quanto di ‘mitizzante’ sottintende (in senso completamente astorico), non si può che concordare. La scrittura (termine preferito a «l’autore») non istituisce solo nomi né soltanto oggetti, tantomeno miti; semmai fa continuo riferimento a un più ampio e generale istituire (nomi e nessi e senso): è la storia del percepire, dell’esperire: ricondotto alle sue condizioni di possibilità.

 

Un ampio e indefinito senso di mancanza si genera dal continuo poter prescindere da oggetti (e tuttavia incarnare in oggetti tale mancanza).


lunedì, 14 febbraio 2005   [link]

 

Esce «L’Ulisse» n.3

 


È in rete il terzo numero de «L’Ulisse» (
www.lietocolle.com/ulisse), rivista monografica di poesia e pratica culturale diretta da Alessandro Broggi, Carlo Dentali e Stefano Salvi. La nuova inchiesta è dedicata a “Arte e realtà”/”Scrittura e realtà”.

 

 


Testi critici di

Giancarlo Majorino, Andrea Cortellessa, Francesco Manacorda, Joshua Decter, Giorgio Verzotti, Niles Eldredge, Giampiero Neri, Amedeo Martegani, Gherardo Bortolotti, Alessandro Broggi, Eraldo Affinati, Pietro Spirito, Andrea Inglese, Giampiero Marano, Marco Giovenale, Giuseppe Cornacchia, Angela Diana Di Francesca, Giulio Mozzi, Camillo Pennati

 


E pagine di

 

Edoardo Erba, Jenny Holzer, Barbara Kruger, Charles Simic, Nelo Risi, Fabio Pusterla, Luigi Di Ruscio, Biagio Cepollaro, Claudio Damiani, Ennio Cavalli, Mario Desiati, Angelo Rendo, Pietro Berra, Corrado Paina, Sergio La Chiusa, Domenico Cipriano, Francesca Moccia


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è incomprensibile che ancora si debba (come si deve) parlare di ‘non rappresentazione’ in poesia. parlare cioè di non realismo. così come: parlare di scrittura di ricerca.

la gran parte della scrittura italiana contemporanea è contemporanea al 1940. (la politica non è da meno, va da sé).

se gli artisti visivi lavorassero come lavorano i poeti italiani, si esporrebbero solo iris à la De Pisis. e trash dismesso dalla Francia di circa centoventi anni fa.


sabato, 12 febbraio 2005   [link]

 

in concreto è via via meno possibile condividere la comunicazione e il linguaggio della comunità italofona. ci sono buone ragioni per negarsi alle forme sia retoriche sia antiretoriche che questo paese sta organizzando (in dominio violento sui parlanti, e da questi perfino accolto come necessario).
non solo per prassi, ma anche e proprio per poesia, la comunicazione può e in certi casi deve venir aggirata. la creazione di ostacoli semantici non ha niente di eticamente necessario, ma ha rapporto con una necessità etica (da costruire in altre sedi, e nei fatti), in maniera diversa e tutto sommato culturalmente sensata rispetto alla presunta limpidezza del discorso, o alla ‘condivisione’ di codici e materiali linguistici attestati.


mercoledì, 09 febbraio 2005   [link]

 

dividersi dalla ‘dimensione pubblica’ della scrittura può essere non una scelta ma un modo di incarnare o ricodificare le forme/strutture testuali. le forme della letteratura – le retoriche – sono (anche) divise dai loro ‘atti sociali’, o effetti.


domenica, 06 febbraio 2005   [link]

 

il cosiddetto dominio estetico non si fa circoscrivere da una poetica o definire/dire come un campo (delimitato: il bello vs il brutto). è semmai il movimento ampio dove in maniera contortamente esemplare si dà il senso-non-senso di ogni e qualsiasi percezione e azione.

già la ruota di Duchamp non è proprio immaginabile al di fuori di quella ‘nuvola di possibilità’ che orienta il tipo di anthropos sviluppatosi tra 1790 e 1915.

l’invenzione della fotografia, a meno di 50 anni dalla Terza Critica kantiana, tematizza in meccanismo quel che precisamente Kant scriveva.

la fotografia è la filosofia fatta dalle macchine, ma senza poter prescindere in nessun caso dall’esperienza linguistica anzi semiotica umana. (integralmente considerata: ecco perché non escludo nessuna poetica, nemmeno petrarchesca, né leu né clus, dal campo del possibile. il possibile è veramente un vapore di variabili non ancora condensate. solo sulla loro condensazione possiamo poi esprimerci, lavorando con le poetiche, discutendone, discutendole: anche conflittualmente. mai tuttavia prescrittivamente).

in sostanza: è essenziale considerare e tenere ben distinte poetichE ed esteticA. l’estetica è (Garroni docet) una “filosofia non speciale”. ossia non si occupa in maniera privilegiata del bello. (nonostante piaccia a molti millantare che sia così).

ogni poetica che tenta di sostituirsi all’estetica – e di rendersi addirittura ‘normativa’ – è fuori registro.

l’esperire (sensato-insensato; ed esemplarmente a sua volta esperito come tale) è molto più ampio e sfuggente delle griglie [di] poetiche che si incaricano di organizzarne aree. 


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È qui trascritto il brano preparato all’inizio dell’aprile 2003 in risposta alla redazione de «Le Voci della Luna» (per il Premio Giorgi), che in attesa dell’uscita de Il segno meno chiedevano un brano sintetico (e logicamente impersonale) in grado di illustrare il lavoro e il senso del libro.

 

Una nota

 

Il segno meno include – quasi nella tradizione del prosimetro – anche brani non in versi. Affronta l’argomento dello sfaldarsi degli oggetti, delle tracce della memoria, il crescere dell’ombra, la perdita e cenere e sparizione dei legami, dei rapporti, dello stesso linguaggio che li istituisce. Torna più volte il tema della perdita di possesso e della fine dei luoghi cari.

 

Il libro è parte di un progetto testuale articolato, sul discorso della dissipazione.  (La natura morta barocca?). E costituisce segmento in sé completo di una più ampia opera, tuttora in fieri, intitolata Delle restrizioni.

 

Una delle cifre essenziali di queste pagine è l’allegoria, intesa non come meccanismo di rinvio a significati rigidi, predeterminati, pre/visti; bensì come modalità generale del pensiero, a cui si fa riferimento quando viene avvertita familiare (anche se non suadente) la semplice possibilità del senso. “Al di là” e insieme “attraverso” ogni singolo circoscritto significato.

 

Questa ricerca poetica desidera in tutta umiltà dialogare con le (e quasi rispecchiarsi nelle) osservazioni che Emilio Garroni, nel suo Estetica. Uno sguardo-attraverso (Garzanti, Milano 1992), ha dedicato alla terza Critica kantiana, in direzione di un «risalimento» – sui casi esemplari di Bernhard e Beckett – delle interrogazioni sul senso-non-senso poste dal secolo che (non) si è chiuso.


sabato, 05 febbraio 2005   [link]

 

Da Ingeborg Bachmann, Das Unglück und die Gottsliebe – Der Weg Simone Weils (1955), tr.it. in I.B., Il visibile e l’invisibile. Saggi radiofonici, a c. di B.Agnese, Adelphi, Milano 1998, p.91: «[Simone Weil] non lottava per un’utopia, ma per il presente. Né credeva a un programma ideale in grado di risolvere la questione operaia, credeva piuttosto a una soluzione dei problemi passo dopo passo. Si poneva [sul] terreno della realtà, o meglio, come lei stessa avrebbe detto, della “sventura”». E ancora (p.117): «A noi però, se ad essa siamo sensibili, resta la bellezza insita in tutto quanto è stato pensato e vissuto in modo puro. Da questi illuminati [=S.Weil e pochi altri], scorgiamo di continuo ciò che l’oscurità occulta alla nostra vista, il volto indistruttibile dell’essere umano in un mondo che cospira alla sua distruzione».


martedì, 01 febbraio 2005   [link]

 

Appunti in margine alla poesia II di

Curvature (Camera Verde, Roma 2002)

 

L’inizio di frase «Nisi dominus custodierit civitatem» (con «dominus» minuscolo, laicizzando e “politicizzando” il discorso, con ironia) è parte del salmo 126:

Nisi Dominus aedificaverit domum,

In vanum laboraverunt qui aedificant eam.

Nisi Dominus custodierit civitatem

Frustra vigilat qui custodit eam.

Vari i significati del verso nella poesia. Annoto solo, qui, che non è senza valore che la citazione sia spezzata. C’è un «Se non» lasciato in sospeso. Come la città/civitas è incustodita, e il dominus latente (corrotto o dissipato), così la frase che ne dà conto. Nemmeno si accede all’espressione del timore dell’inutilità del vigilare, nemmeno al «frustra vigilat». La frase, prima dei puntini di sospensione che occupano e formano tutto un verso, si spezza su una civitas in accusativo. Ponte rotto. Che non si percorre nemmeno – appena si nomina.

  

*

  

Il piccolo “tableau della fiammiferaia”, che compare negli ultimi versi, fa riferimento (ciò che spiega l’epigrafe in parentesi quadre) a una nota fotografia di Atget: Suonatore d’organetto con giovane cantante, datata approssimativamente 1898-99. Gli occhi e il viso assolutamente ridenti della ragazzina in posa, che nella volontà dell’immagine – in virtù della bocca schiusa – dovrebbero alludere a un canto, sono il punto di concetrazione di quello che è la linea di senso complessiva della foto per me: miseria sversata in urlo, una macchina di dolore per la realtà, gli occhi.

Su questo si spende, con i suoi mezzi, un senso della poesia, attraverso il dialogo fra distruzione e dichiarazioni ironiche: la frase «concima la neve» (muore) si appaia alla dichiarazione in corsivo «ho! tutto è buono.    rifiorirà». (Dove, per inciso, quell’«ho!» può logicamente essere sia interiezione che verbo: dunque alludere al fatto che solo l’avere comporta una riflessione “positiva”: solo chi ha può dire che tutto è buono e/o che tutto rifiorirà – nonostante il seppellimento).

Dico senza pudore che neve e sepoltura hanno due referenti obbligati in Eliot e nella inaggirabile «neve fradicia» di Dostoevskij.

 *

  

La poesia si chiude con la citazione «et super nivem dealbabor», che viene dal fin troppo noto salmo 50: 

Asperge me hyssopo, et mundabor;

Lavabis me, et super nivem dealbabor

La dichiarazione “E risplenderò più di (= al di sopra della / a spiccare sulla lucentezza della) neve” viene ad avere significato chiaramente ironico, legato al dolore materiale della donna.

Ma, anche in senso letterale, il verso ha un valore: non nasconde che il «dealbabor» (tempo futuro) possa alludere al durare della fiamma allegorica. Possa cioè riferirsi al persistere di una traccia o sfondo di significato possibile, per le parole che di dolore in qualche modo danno narrazione o cenni, comunque in scrittura.

gennaio 2005

domenica, 30 gennaio 2005   [link]
 

Clus e leu non possono essere distinti solo in termini di oscurità e chiarezza. E allo stesso tempo non è del tutto legittimo – sul piano della critica – far riferimento al discorso ben noto della ‘commerciabilità’ del ‘materiale’ letterario. Ma il piano della critica (letteraria) è precisamente quello che meno entra in campo, nel definire ciò che è vivo e ciò che viene ucciso sulla scena della scrittura.

In ogni caso una intera generazione di autori sta scrivendo pagine momentaneamente semi-invisibili che giusto per via di questa loro condizione avranno peso: e ‘rimarranno’.


domenica, 23 gennaio 2005   [link]

 

(una parte di spiegazione)

l’uscita è lentissima. in certi momenti si sente ogni circoscritto granello cadere dall’ampolla superiore e fare boato ed eco sul mucchio della (scarsa) energia.

poi con le ore riprende a fluire una riga meno avara di mattoncini, di chicchi, di pacchetti di senso. allora il sangue e l’ossigeno (soprattutto il non sapere, il non pensare: ossia l’indispensabile rimozione del buio) riprendono a muoversi.


venerdì, 21 gennaio 2005   [link]

 

Lo stile è sempre una parziale assenza del corpo. Un testo riuscito è una latenza di autore. I classici sono gli assolutamente distanti.

Un secolo che ha mentito una facile fisicità, continua lo spettacolo.

Una delle prassi più difficili di questi anni è: sottrarsi a tutti gli spettacoli senza per questo rinunciare al dialogo con chi legge, scrive, pubblica.


domenica, 16 gennaio 2005   [link]

 

Il testo che si intitola Delle restrizioni nasce, come somma di frammenti e brani (e probabilmente con altro titolo) prima del novembre ’99. All’inizio “pensa” di essere un libro. Verrà presto disilluso, e ricondotto a un ruolo determinatissimo: quello di funzionare da “condensatore” di opere. In definitiva: Delle restrizioni ambirebbe o ambirà a strutturarsi come “opera-di-opere”: raccolta fatta da raccolte. In sostanza una raggiera di stili dove si implicano sperimentazione e classicismi piuttosto contorti. Il rispetto per l’opera di Emilio Villa e l’attrazione per quella di Cristina Campo.


domenica, 09 gennaio 2005   [link]

 

A Roma recentemente

Dopo non pochi anni di vuoto e assenze, ci sono ora forse le condizioni per dire che a Roma sta cambiando qualcosa. La città inizia a offrire idee persone riviste e insomma ‘cose’ nuove. Non è retorica. Sono eventi sensibilmente migliori di quelli che l’orizzonte presentava all’inizio del decennio scorso. Incontri differenti, cresciuti nella qualità: e in quantità. (Basti pensare soltanto alle gallerie d’arte che stanno aprendo – anche se non tutte dello stesso livello – negli ultimissimi anni o addirittura mesi).

Stanno convergendo qui (o si stanno ritrovando) autori che erano separati e distanti o che non si conoscevano. Visibilità e lavoro comune di molte persone concorrono a questo clima: la cura attentissima di uscite recenti di «Nuovi Argomenti» da parte di Mario Desiati e di tutta la redazione; le iniziative del “Piccolo Apollo”, a San Giovanni; la rassegna di incontri svolta nel 2001-02 da àkusma (“forme della scrittura contemporanea”); le innumerevoli attività della Casa delle Letterature, della Fondazione Baruchello, di RomaPoesia, della Casa delle Donne (con il premio Rosselli); l’esperienza (anche se per ora interrotta) di «Accattone»; le proposte di Fazi, MinimumFax, Luca Sossella, Empiria, Nottetempo, DeriveApprodi. La nascita di una libreria e galleria come Cythère-Critique. Riviste come «Il caffè illustrato», di Gabriele Pedullà. Centri culturali come La Camera Verde (che è anche cineclub, casa editrice: esperienza multiforme), di Andrea Semerano.

Non so: vorrei essere ottimista. Pensare che qualcosa stia cambiando. Senza mettere in secondo piano la rete, le reti, i dialoghi a distanza e i siti; ma dicendo che la città – questa città – è diversa, felicemente inafferrabile; gli incontri crescono; e tutto ciò accade paradossalmente nel tempo più cupo sul piano politico ed economico. Un tempo in cui il paese e la ‘capitale’ sono percorsi dalle scorrerie della peggior classe politica (in tutti gli schieramenti) che l’Italia abbia conosciuto dopo quella fascista.

In quel che qui scrivo su Roma non indulgo in alcuna mitologia da Bateau-lavoir, ma insomma… basta dare uno sguardo a quel che (ci) succede, agli incontri moltiplicati, per rendercene conto: molto lavoro può essere fatto, esperienze avviate, in un contesto simile. Se ne può discorrere.


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È ora in rete il sito di Laura Pugno: www.laurapugno.it  


venerdì, 07 gennaio 2005   [link]

 

Dalla giustizia 

 

Cristina Campo: «La pura poesia è geroglifica: decifrabile solo in chiave di destino. Per anni tornare estatici alla bellezza delle anatre, degli arcieri, degli dèi con testa di cane o di nibbio, senza neppure sospettarne la fatale disposizione. Quante volte mi sono ripetuta certi versi o versetti: “O città io t’ho scritta nel palmo delle mie mani”, “This day I breathed first, time is come round…”, “L’essere morti non ci dà riposo”. Ma intorno alla loro posizione segreta, finché la mia stessa sorte non me ne diede la chiave, giravo ciecamente […] Poesia geroglifica e bellezza: inseparabili e indipendenti. Sentire la giustizia di un testo molto prima di averne compreso il significato, grazie a quel puro timbro che è solo del più nobile stile: il quale a sua volta nasce dalla giustizia» (Parco dei cervi, in Fiaba e mistero (1962), ora in Gli imperdonabili, Adelphi, Milano 1987, p.145).
 

 

 

 

È scorretto – impreciso e ingeneroso – attribuire all’autrice un distacco integrale dalla storia. Certo, nella sua scrittura – ed esperienza – alla parola «storia» va legato l’aggettivo «individuale». Ma un brano come quello citato dimostra come non fosse, lei, innamorata del semplice brillare irrelato delle forme («anatre», «arcieri», «dèi»): è assai poco casuale che il testo inizi nominando la «pura poesia», e non la «poesia pura».

 

 

 

Dice che le forme brillano indefinibili e però compiute: e che gli osservatori attenti avvertono netta quella compiutezza, anche se non sùbito la spiegano a se stessi. È necessario il tempo: è necessaria la storia – individuale – perché la «giustizia» appaia chiara. Questo a dire (secondo me): quando un testo ha, per sua costruzione ‘sapiente’, la capacità di attivare i vettori e meccanismi della possibilità del senso, è detto (ed è) testo riuscito: opera. Chi lo affronta ne percepisce così la giustizia «molto prima di averne compreso il significato»: molto prima di averne verificato per propria esperienza diretta l’esattezza.

zza, anche se non sùbito la spiegano a se stessi. È necessario il tempo: è necessaria la storia – individuale – perché la «giustizia» appaia chiara. Questo a dire (secondo me): quando un testo ha, per sua costruzione ‘sapiente’, la capacità di attivare i vettori e meccanismi della possibilità del senso, è detto (ed è) testo riuscito: opera. Chi lo affronta ne percepisce così la giustizia «molto prima di averne compreso il significato»: molto prima di averne verificato per propria esperienza diretta l’esattezza.


martedì, 04 gennaio 2005   [link]

 

La Camera Verde : à Paris Giovedì 6 gennaio alle 18:30 rassegna/retrospettiva dedicata alla Camera Verde e ai suoi cinque anni di mostre e pubblicazioni: al 112 di Rue du Faubourg Poissonnière, presso l’Atelier AE (diretto da G.Coadou).

L’ATELIER Æ reçoit LA CAMERA VERDE le 6 janvier 2005, à 18 heures 30, à l’Atelier Æ (112, rue du Faubourg Poissonnière, 75010 Paris): Tél: 01 48 74 14 02, ledansla@wanadoo.fr

Une présentation des Éditions La Camera Verde (Via Giovanni Miani, 20 – 00154 Roma) et une exposition collective : Alfredo Anzellini, Alain Clerc-Ourgan, Aram Kebabdjian, Pierre Martin, Andrea Pacioni.

Les Éditions La Camera Verde sont nées à Rome dans un cinéma-galerie et ont investi tous les domaines de l’expression : photographie, peinture, littérature et poésie, dans des collections telles que catalogues d’exposition, port-folios et livres d’artiste, livre & disque de jazz inédit, anthologies d’artiste, et une revue trimestrielle. Paris vient accomplir cinq ans de rencontres, de livres, d’expositions, de festivals de cinéastes.

L’Atelier Æ dirigé par Nicolas Marailhac reçoit La Camera Verde dirigée par Giovanni Andrea Semerano du 6 au 15 janvier 2005 de 9h à 19h30. Les Éditions La Camera Verde restent disponibles en permanence à L’Atelier Æ. 

Une exposition organisée par Élise Gruau


Una recensione di Ermanno Guantini a Altre ombre (Camera Verde, Roma 2004) compare sulla pagina di  www.ex04.splinder.com


sabato, 01 gennaio 2005   [link]

 

Gli ultimi due libri (ri)acquistati nel 2004 sono stati di Emilio Villa e di Beppe Fenoglio. Attestarsi su due discorsi di scrittura di ricerca e di sostanziale – non occasionale ma programmatico – antifascismo, è un augurio per gli anni che ci aspettano, non solo per questo che si apre.

dicembre 2004

giovedì, 30 dicembre 2004   [link]
 

Le strutture e prismi tra lavoro intellettuale e vita oggettiva sono modelli di molte frantumazioni interne a vita e identità – innanzi tutto – materiali.
La domanda non è se la forma-frammento (r)esista, in scrittura, ma se essa stessa non (si) sia spostata in una variata irraggiungibilità: nuova. In uno stato ancora differente, in una differenza che non ha più modo di essere dotata di codice – quale che sia.
Ci sono latenze di linguaggio che non sono altro linguaggio.


domenica, 26 dicembre 2004   [link]

 

Importante

Si prega di non inviare files né libri al mio indirizzo. Non è in nessun modo possibile fare alcun tipo di recensione, né leggere testi ora; ma nemmeno archiviarli. E la situazione sicuramente non varierà fino alla fine di gennaio. Testi inviati ora, in formato elettronico o cartaceo, non potranno essere conservati.


sabato, 25 dicembre 2004   [link]

 

Altra nota.

 

Quella stessa generazione che produce ‘la’ storiografia (e fa mercato, soprattutto mercato) degli anni Sessanta e Settanta, delle avanguardie e delle ricerche linguistiche e artistiche di due decenni-asse del XX secolo italiano e mondiale, condanna se stessa. Da un lato le sue misletture sono e saranno esposte ed evidenti. Dall’altro si vedrà quali responsabilità essa ha o ha avuto nel prodursi di differenze vergognose tra ciò che era possibile in quegli anni, e tutto quel che invece è accaduto.


La differenza

 

È palese la differenza tra quelli che solo trent’anni fa erano i concetti di curatela, di saggio, di introduzione critica, e quello che invece da circa dieci anni questi ‘luoghi’ sono diventati.

Tutto sommato il reale è sotto gli occhi di tutti: quanto è scritto rimane. Esiste ora; e resterà negli anni che seguono. Non sarà giudicato in base ad altri criteri che non siano la qualità, la serietà e severità di sguardo.

L’assenza di filologia non è una filologia alternativa ma solo miseria. Se esisterà ancora una storiografia letteraria con attributi di decenza, saprà osservare e giudicare la narrativa e la poesia e soprattutto la critica e il mercato editoriale che l’Italia degli ultimi dieci-quindici anni ha prodotto. (Gli stessi anni – guarda caso – della decadenza politico-sociale di questo paese; gli anni dei processi saltati, del suicidio della sinistra, della distruzione irreversibile del welfare; della peggiore televisione del mondo; del Partito-Azienda).

Sulle piccole sciocche laterali infinite scene del delitto della scrittura contemporanea sembra che si muovano solo primi attori. Alte tirature, altissime. Dunque il disastro e il collasso qualitativo della letteratura italiana contemporanea saranno certificati da documenti ultradiffusi. È un po’ come un assassino che stampi e distribuisca decine di migliaia di manifesti con la propria foto segnaletica. Prosegua così. L’aria è trasparente, il paesaggio nitidissimo.


mercoledì, 22 dicembre 2004   [link]

 

Un appunto (riproposto)

La visione di una Storia che avanza come macchina e incendia irreversibilmente le proprie orme è un’eredità di quel positivismo che giusto il XX secolo si è incaricato di far saltare. La realtà del gliommero gaddiano, dei labirinti di Joyce, del tempo recursivo in Kafka, dei compiti incompìbili dei personaggi di Bernhard, dei sogni concentrici di Borges e Cortàzar, dei tagli immedicabili e sempre medicati nelle scene di Beckett, non fanno altro che disegnare un modello di quel che la percezione (e l’esperire sensato-insensato) opera già normalmente in ciascuno di noi. Almeno nella variante dell’anthropos che sembra comparsa sul pianeta nell’arco di tempo delle ‘rivoluzioni originarie’ della modernità.

[Ossia: la rivoluzione industriale e la rivoluzione filosofica (Kant, Critica della facoltà di giudizio, 1790): che ricevono prestissimo unione e sigillo, traduzione, attuazione anzi addirittura tematizzazione in meccanismo, in/da un evento enorme, una callidissima inventio: la fotografia, 1839]

A una persistenza del senso, nella forma sempre interrogativa e inconclusa (incompiuta e critica) di senso-non-senso, alludono – proprio nella loro prassi – tutte le scritture recenti. Come puntatori – mai semplici ‘oggetti’ – che delle molte ricchezze del Novecento sanno fare saggio uso, scialo, gioco.

Credo abbia senso richiamare daccapo l’attenzione sulla centralità di una nuova freddezza, oggi presente in esperimenti di autori contemporanei. Giovani e non giovani. Senza dare a “freddezza” un connotato negativo. Rientrerebbero in questo possibile àmbito o ipotesi: la scrittura metaforica-metamorfica di Valerio Magrelli; le intermittenze di autoanalisi, e riferimenti ipercolti, di un autore come Giuliano Gramigna (si veda il notevolissimo Quello che resta); il controllo assoluto del testo – anche nel flettere verso dichiarazioni addirittura ‘politiche’, e civili – attuato da Franco Buffoni; lo sguardo algido, distaccato, che viene dai ritratti a penna di Valentino Zeichen; la superfetazione di immagini e storie, eccessive e ‘ciniche’, della poesia di Simon Armitage; la crudeltà fotografica e però narrativa di Robin Robertson.

Si tratta di una scrittura con basi di sana ossessione dell’osservazione (il referto, lo scatto b/n da morgue, o l’accensione da stampa cybachrome) che può nascere indifferentemente da scelte e studio rigorosi – al limite dell’ascesi – come dall’incandescenza di storie individuali, oppressione, dolore, lutto. Dunque dalle scritture per eccellenza fredde (Beckett, Ponge, gli autori ‘del segno’: di «Tel Quel» e «Anterem», anche) e da quelle per eccellenza calde (beat, Burroughs, Artaud): questo, dovendo elencare filiazioni solo letterarie. (Ed è un errore: si dovrebbe semmai – o in parallelo – cercare nella direzione della musica, nel jazz, nell’hip hop, nella fotografia e negli oltraggi di Matthew Barney, di Nan Goldin, fino al gelo puro di Boltanski, agli interni ostili di Luisa Lambri, di Alessandra Tesi, ai set di David Lynch).

Quali i nomi? Certo, molti esempi sono di voci femminili: Florinda Fusco, Elisa Biagini, S/z Mary, Sara Ventroni, Paola Zallio, Alessandra Greco, Laura Pugno, Giovanna Frene.


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Lieta notilla.

Non è difficile pensare che al fondo dell’Unheimlich sia una coscienza o memoria di quanto, all’inizio, nella madre, anche ed esattamente lì, non esistesse casa, proprio essendo.
Forse, cioè, il termine “heimlich” è esso stesso autonegazione, traccia o memoria di un passo falso, di un “non essere (mai) (stati) veramente a casa”, che taglia. Il prefisso “Un-“, allora, è solo il segnale indicatore, la freccia puntata su quella disavventura iniziale che è stata essere.
Il perturbante di non trovarsi nel luogo giusto coincide con il perturbante di riconoscere un tracciato bruciato, un contorno di errore, proprio in quel luogo presuntivamente caldo che era stato origine. Unheimlich allora non significa «ciò che non può rassicurarmi perché – pur familiare – non è il mio luogo», ma semmai «ciò che non può rassicurarmi perché brevissimamente – in un lampo di familiarità esatto – indica che il “mio” luogo era quello ossia non c’è ossia non c’è stato mai». (E che dovevo saperlo).


lunedì, 20 dicembre 2004   [link]

 

Premessa ad assenze imminenti (e scritti mancati)

Nella comunicazione, tecnicamente possibile e di fatto realizzata, semplicemente entrano dentro più cose – infinitamente di più – di quelle che una biologia riesca non solo a ricevere gestire e organizzare, ma anche semplicemente a sospettare. La chiusura del XX e il principio del XXI secolo comportano il non ascolto e il rumore di fondo (e dunque una crescita di arbitrio e violenza e insensatezza anche nelle arti) perché la mappatura del reale è [divenuta] di fatto più dettagliata e ramificata di quanto i cartografi potessero mai immaginare. La macchina in corsa eccede le capacità mentali – e il tempo di vita – dei progettisti, dei piloti, dei viaggiatori, dello stesso paesaggio attorno. Non c’è maniera di gestire né di osservare tutto ciò ‘dall’alto’: perché, rispetto a questo stato di cose, un alto non c’é.


domenica, 19 dicembre 2004   [link]

 

Un paese politicamente ed economicamente in bancarotta non può che produrre dei testi ‘rovinati’.
E anche: il ‘secolo del restauro’ produce la restaurazione? Plausibile.
Molti ottimi testi vengono scritti, in e contro ogni condizione, comunque.


lunedì, 13 dicembre 2004   [link]

 

Si è svegliati dal jingle delle merci, si è montati spostati smontati e rimontati dalle merci, e parlati e pronunciati da loro. Come persone.
Momento difficile per la scrittura ‘clus’. Anche perché l’estrema chiarezza del desiderio parla in tutte le bocche e da tutti gli occhi. Pago e acquisto; mi viene detto cosa c’è e allora la voglio.
Nessuno si aspetta di trovare un oggetto che chiede azione, lettura, indagine.
Se per anni il mondo viene incontro, incontrarne un frammento che chiede di essere invece raggiunto è sconcertante. Rifiutato, poi.
Gli oggetti in giro sono insomma già parlati e timbrati, ‘schiariti’. Ogni ombra è pensata come uno scarto.
(Immagini: milioni di insetti nel buio non sanno che farsene di opacità e variazioni di densità del nero. Ma reagiscono guizzanti con gusto sotto il fascio della luce indotta).


mercoledì, 08 dicembre 2004   [link]

 

«Nuovi Argomenti» n. 28: Questo non è un romanzo
(in tutte le librerie da martedì 7 dicembre 2004)

Nel numero in libreria dal 7 dicembre, «Nuovi Argomenti» si occupa di quei romanzi definiti scoppiati e massimalisti. Esistono libri che terrorizzano editori e lettori: opere cosmologiche, frammenti narrativi (a volte geniali, altrimenti prolissi e velleitari), cui uno scrittore affida, a volte in modo addirittura patologico e vanaglorioso, tutte le proprie energie e conoscenze. In Questo non è un romanzo c’è un piccolo campione di tale fenomeno: con testi di David Markson, Marco Mantello, Massimiliano Parente, Daniele Boccardi, Alessio Caliandro, Giovanni Heidemberg, Francesco Macrì, Giordano Meacci.

Nelle altre sezioni di questo numero della rivista:

Emanuele Trevi racconta una Laura Betti completamente inedita.
Nella sezione Scritture, nuove poesie di Mario Benedetti.
Marco Mancassola in un lungo racconto (o forse un piccolo romanzo) viaggia nella generazione dei ventenni e dei precari con una delle sue prove più belle.
La sezione chiamata La ragazza dal cappello rosso è il tributo a una voce interessantissima della nuova poesia italiana, Claudia Ruggeri, autrice leccese scomparsa nel 1996 a 29 anni e quasi del tutto inedita.
Giuseppe Genna e Flavio Santi scrivono del romanzo italiano di questi tempi, mentre Marco Giovenale con le foto di Francesca Vitale scava nella Sicilia tragica meno conosciuta (quella del terremoto del Belice, anche).
La sezione Cantiere contiene tra gli altri i saggi narrativi di Leonardo Colombati sul caso Thomas Pynchon e sul perché piaccia tanto, e di Vittorino Curci su Rocco Scotellaro.
Infine, continua l’esilarante e ‘inattendibile’ reportage di Alessandro Piperno. Il suo racconto dai luoghi bellowiani è giunto all’ultima puntata.

«Nuovi Argomenti», serie V, n.28, ottobre-dicembre 2004. Mondadori. Euro 10,00.


domenica, 05 dicembre 2004   [link]

 

Nuova serie della rivista «Frontiera»

Da settembre 2004, grazie a Gallo & Calzati editori, è tornato in edicola e in libreria il semestrale «Frontiera. Rivista di scritture contemporanee» Continua a leggere

novembre 2004

domenica, 28 novembre 2004   [link]
 

In una mail Gherardo Bortolotti parla assai correttamente delle Endoglosse in termini di ‘testo che genera il contesto o paesaggio in cui pure si inscrive’.

E mi sembrano da lui esattamente disegnate e circoscritte due ulteriori caratteristiche di quelle prose:

1, dissipazione della voce narrante (forse è in qualche modo anche ricodificata sempre nelle poesie: dall’esclusione assoluta della prima persona grammaticale); e
2, riferimento a un testo implicito di cui le narrazioni sono ‘resto’.

Ho in mente un tipo di narrazione (e di poesia) che sollecita con energia l’irrelata (e indistinta) facoltà di allegorizzare (e di sentir pertinenti e funzionanti determinate allegorie). Non tanto mi interessano le allegorie (o una scrittura di allegorie) per se stesse: quanto il flusso possibile di semiosi che attivano, le energie e possibilità che un (cauteloso e non enfatico) allegorizzare è in grado di indurre.

L’azione è: disegnare forme non casuali (ma nemmeno pre-scrivibili) su uno sfondo (infine e perciò) condiviso di senso-non-senso, specchiandomi e con umiltà seguendo in qualche modo la lezione kantiana che Emilio Garroni ha da tempo consegnato alle pagine conclusive del suo Estetica. Uno sguardo-attraverso.


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Quarto Quaderno di Poesia da fare,
e supplemento Attività scultorea, di B.Cepollaro

È uscito il IV Quaderno della serie Poesia da fare, raccolta di testi usciti sul blog di Biagio Cepollaro. In contemporanea, esce il supplemento Attività scultorea.

Indice del IV Quaderno :

Luciano Anceschi, Testo su Adriano Spatola, La composizione del testo, 1978
Antonella Anedda, da Il catalogo della gioia
Cecilia Bello Minciacchi, Su Andrea Inglese: Per una poesia dell’appercezione e della responsabilità etica
Sergio Beltramo, da Poesie scelte e dialoghi metafisicali
Gherardo Bortolotti, Città divisibili 1. Tamara
Alessandro Broggi, da Quaderni aperti
Biagio Cepollaro, Su A.Spatola, La prossima malattia, 1971; e su P.Tripodi, Vivere malgrado la vita
Carlo Dentali, L’oscillazione elettorale
Luigi Di Ruscio, da Le streghe s’arrotano le dentiere, 1966
T.S.Eliot, Morning at the window, traduzione di Marco Giovenale
Francesco Forlani, Divinitad; Esili narranti
Andrea Inglese, Poesie
Sergio La Chiusa, Lotte di confine
Fabrizio Lombardo, Frammenti da una stagione di pioggia
Stéphane Mallarmé, Tre sonetti, traduzione di Massimo Sannelli
Giorgio Mascitelli, su P.Tripodi, Vivere malgrado la vita
Giulia Niccolai, da Orienti Orients
Giovanni Palmieri, Su Andrea Inglese
Massimo Sannelli, Poesie
Lucio Saviani, Su Osvaldo Coluccino
Marco Simonelli, RAP(e)
Adriano Spatola, La prossima malattia, 1971


mercoledì, 24 novembre 2004   [link]

 

Segnalazione: importante:

Per la casa editrice Edgewise esce ora un nuovo libro di Nanni Cagnone: Index Vacuus. Poesie con testo inglese a fronte.


domenica, 21 novembre 2004   [link]

 

Un Informale Freddo. (Qualche nota da Fortini)

Franco Fortini ha scritto, con I cani del Sinai, un testo d’avanguardia? Probabilmente sì, anche se avrebbe rifiutato l’azzardo di una definizione simile (e si vedrà presto, quattro righe avanti, da un suo tocco polemico).
Quelle pagine avevano la pretesa dichiarata di «suggerire l’esistenza di alcune macchie lutee, insensibili alla luce normale. La forma autobiografica, dovrebbe capirlo anche un critico di avanguardia, non è che modesta astuzia retorica. Parlo anche dei casi miei perché certo che anche miei non sono. Della mia “vita” non me ne importa quasi nulla» [1].

Non sostengo che un finalismo (come quello che presiederebbe a una fantomatica usefulness della letteratura) controlli o pre-scriva l’elaborazione di un libro come I cani. Ma certo un intento conoscitivo si forma durante la costruzione materiale del testo, l’itinerario che immagina. Allora in Fortini il «suggerire l’esistenza di alcune macchie lutee» significa cercare non un’illuminazione di parti non chiare in una storia dolorosa che è di tutti e di un individuo, né forse la delimitazione del loro perimetro, ma semmai l’operazione di offrire o ricomporre l’esperienza-certificazione del fatto che esse esistono. E fanno resistenza. (In ciò che è reale). (Eco parlerebbe di linee di resistenza dell’essere).

Nei Cani si vede in azione non un realismo, né una costruzione allegorica, o anzi puramente memoriale, né la narrazione dei fatti del ’67; non l’architettura del pamphlet politico. Il Fortini che sul piano religioso, negli anni Quaranta, durante la discriminazione razziale e la guerra era «costretto ad aprirsi sui due versanti delle cose invisibili» [2], non è – scrivendo – schiacciato in un angolo di dualismo di forme. (Ammesso che nella fede lo fosse). Allora I cani del Sinai è un testo d’avanguardia anche perché dimostra che ci si può misurare con la violenza del tempo (storico) senza impedirsi di imporre al tempo una forma che non è la sua.

La forma del libro di Fortini non è attesa né desiderata né pre-scritta dal periodo storico che essa in parte osserva e cifra. E, altro elemento considerevole: il suo valore letterario – conoscitivo nelle intenzioni e non prescrizioni dell’autore – ha una durata che sorprende. (O forse sorprende solo quelli che pensano – e magari anche Fortini lo avrebbe pensato – che le opere di avanguardia si inscrivano per statuto in ciò che brucia, non dura, sfuma).

Dopo il film realizzato da Straub e Huillet (1976) sui Cani – con l’autore che legge passi del testo – Fortini sente il bisogno (1978) di scrivere una nota che, per esattezza e spietatezza, quasi supera le pagine che chiosa.
Pone innanzitutto sullo sfondo il libro; lo osserva «attraverso un’altra guerra e poi episodi innumerevoli di stragi, di assassinii, di trattative e di paranoia politica», e attraverso dieci anni (dieci ‘altri’ inverni) italiani e internazionali. E dichiara: «Avevo guardato, come avevo potuto, con occhi abituati a guardare; ma proprio per questo mi pare oggi meschino avere ancora voluto, nel 1967, interrogare insieme, con una sola domanda e su una stessa pagina, gli avvenimenti arabo-israeliani e la mia vicenda biografica» [3].
È, questa, un’affermazione di chiusura di (uno) sperimentalismo? Era, lo sperimentalismo, anche l’affanno di dichiarare/fare vitalmente (non mortalmente) fredde, e ‘superate’ ossia mutabili (in quanto) ritessute in una Forma, le vicende storiche e individuali? Il 1978 è tempo di terrorismo. Da tre anni è morto Pasolini. Da due uscito I diecimila cavalli, secondo e ultimo romanzo di Roversi. Né la Forma né alcun tipo di Informe sopravanza – in un qualche modo che emetta anche senso spendibile – quel che cattura, la storia che prende.
Il presente «è di diserzione, non tanto dalla “politica” quanto da ogni finalità; e [questo] si traduce in un accorciamento della previsione, in un rifiuto del progetto, insomma in una affascinata contemplazione della morte, propria e altrui» [4].

«Attraverso lo sguardo della macchina da presa che guardava me, ho anche potuto comprendere meglio alcuni insegnamenti formali che avevo ricevuto, in tanti anni, da alcuni pochi e assoluti maestri. Uno è la regola del morto-vivo, dello zombie. Vitalità, passione, immediatezza: in loro assenza non si fa nulla. Ma nello stesso tempo, se non muoiono, se non sono allontanate, ammutolite, guardate come beni perduti per sempre e non a noi destinati, non possono diventare “cibo di molti”. Fra qualche anno, ad esempio, nessuno comprenderà più che cosa sono stati la guerra del Vietnam e il conflitto arabo-israeliano. Abbiamo dimenticato ben altro. Non rimarranno che le commemorazioni televisive e i libri di storia. Questo è detto, in tutte lettere, nelle mie pagine dei Cani e la mia voce è ivi stridula proprio perché nell’atto medesimo in cui parla di “realtà” è soverchiata dall’assenza; e se Straub ha capito e ha detto tutto questo, come un musicista dice la sua musica a proposito di un libretto, ciò è stato perché è lui stesso soverchiato dall’assenza, perché sa come me che possiamo sperare di disegnare il futuro solo segnando a dito, con esattezza, le fosse di quel che non c’è, le lacune del reale» [5].

È il lavoro che si sta facendo in questi anni? Ha senso (nel diversissimo – ma non stravolto in tutto – contesto storico politico) prendere a sigla di una pensabile serie di operazioni critiche e artistiche il segnare a dito le fosse di quel che non c’è, le lacune del reale? Nelle molte accezioni (eccedenti Fortini)?
«Nelle istruzioni che Danièle e Jean-Marie mi proponevano, il testo mi si estraniava sotto gli occhi; la mia difesa era debolissima, lasciavo che liaisons inattese alterassero la punteggiatura e la sintassi. Capivo che l’operazione filmica, proprio modificando quanto recava la mia firma, proprio disfacendo il tessuto dei miei pensieri, li sormontava, li conservava» [6].

Eccedere e – continuamente – oltrepassare i bordi del lavoro di Fortini, di Pasolini, delle avanguardie, è quanto conserva e insieme altera (vitalmente) le forme, in un contesto comunque cambiato e ostile? L’attraversamento-oltranza dei testi (Bene, Villa), la loro ‘devozione all’alterazione’ (Cacciatore, Rosselli), e dunque daccapo le riscritture (anche di opere di un Novecento ormai ‘classico’), e un nuovo Informale Freddo, se una formula non è eccesso di parzialità, hanno questo senso? prendono quella direzione? (Che magari Fortini disapproverebbe, ma che i suoi testi non possono non suggerire).

«Oggi so che possiamo guardare a un reale senza fantasmi di consolazione. Della continuità atroce di sopraffazione e di violenza che abbiamo di fronte a noi, in Israele e qui e ovunque, possiamo parlare senza lirismo e senza autobiografia. […] “la tentazione del bene è irresistibile” e quanto più un destino sembra distrutto tanto più comincia ad assomigliare a una libertà. La resistenza, in lotta col presente, esiste già, ignota anche a se stessa» [7].

[1] Franco Fortini, I cani del Sinai, De Donato, Bari 1967; poi Einaudi, Torino 1979(2): pp.29-30. (Cfr. anche l’ediz. Quodlibet, Macerata 2002).
[2] Ivi, ediz. Einaudi, p.44.
[3] Ibid., p.69.
[4] Ibid., pp.70-71.
[5] Ibid., p.72.
[6] Ibid., p.73.
[7] Ibid., p.74.

[Testo pubblicato su «bina», n.35, 10 novembre 2004]


domenica, 07 novembre 2004   [link]

 

E di nuovo: 11 e 13 novembre

L’11 novembre si festeggiano i cinque anni di attività della Camera Verde (Roma, via G.Miani 20). Dalle 18 in poi, mostra collettiva di 33 artisti, e (molteplici) brindisi. Per l’occasione, esce un nuovo numero della rivista-programma «Il libro dell’immagine», con una ricchissima rassegna di opere esposte, poesie, edizioni, eventi.
SABATO 13 NOVEMBRE si (ri)legge il libretto Altre ombre, a partire dalle 21. Chi vuole intervenire è il benvenuto.


La Camera Verde, di Giovanni Andrea Semerano: tel. 06.5745085
In questi giorni potrebbero esserci problemi di connessione telefonica. Per qualsiasi informazione si può mandare un sms al cell.3386761065.



mercoledì, 03 novembre 2004   [link]

 

Oggetto, parola

Per RomaPoesia 2004, sabato 6 novembre 2004, presso la Fondazione Baruchello (Roma, via di Santa Cornelia 695), evento espositivo e lettura di poesie, dalle ore 12:00 in poi:

Scegliere un oggetto scegliere una parola e raccontare perché

Negli spazi esterni e interni della Fondazione, artisti e poeti sono invitati a “portare” un oggetto o una parola e a “raccontare” il perché di quella scelta attraverso azioni, letture, recitazione, installazioni, video o in qualsiasi modo ritengano di farlo. Usati come pretesti, l’oggetto e la parola tendono all’imprevisto, al paradosso, al potenziale “poetico” ma anche all’ovvietà e all’ evidenza: una circolazione di spunti e di idee tra arte e non arte, tra definizione e ridefinizione dell’uso.
In un insieme di suoni, voci, immagini, azioni, (ma anche cibi e vini selezionati), la giornata si prolungherà fino al tramonto.

Partecipano:
Campo, Campus, Cignini, D’Agnese, Echaurren, Esposito, Fantin, Folci, Giovenale, Levini, Lim, Mocellin, Ostuni, Palladini, Pellegrini, Piangiamore, Pietroiusti, Pugno, Rossi, Rovigatti, Sebaste, Silli, Sparajuri, Sponzilli, Stalker, Teodori, Tribbioli, Umbaca, Ventroni, Zanazzo.

In occasione di questo progetto viene presentato il libro Verso, l’immagine. Sulla soglia tra arte e poesia, che raccoglie immagini e testi della manifestazione realizzata dalla Fondazione Baruchello, nell’ambito di RomaPoesia 2003 (Edizioni Loplop, Roma 2004).


Progetto a cura di Carla Subrizi e Tommaso Ottonieri. Con il sostegno e il patrocinio di Regione Lazio, Comune di Roma, Casa delle Letterature. Assistenza alla cura degli eventi: Benedetta di Loreto, Verunska Nanni, Alice Trippi.

info:
info@fondazionebaruchello.com
www.fondazionebaruchello.com
www.romapoesia.it

Per raggiungere la Fondazione: strada statale Cassia bis – uscita Castel de’ Ceveri.