M.Sannelli su “Superficie della battaglia”

Superficie della battaglia  [2006][Marco Giovenale, Superficie della battaglia. La Camera Verde, Roma 2006]

L’inusualità trasformata in uso è coerente con l’enorme presenza della morte. In un certo senso, è “superficie della battaglia” ogni spazio in cui l’accesso alla sopravvivenza sia differito, anche attraverso una legislazione su misura (e non, paternalisticamente, “a misura d’uomo”: ammesso che esista veramente un uomo in Occidente). La stessa superficie può essere considerata come l’esplosione dei nessi affettivi, all’interno e all’esterno della famiglia (che non è quasi mai adatta all’utopia sanguinetiana di una “cellula di resistenza” politica).

“Generare poca parola” è inquietante, nel suo riferirsi ad uno stato naturale (figliare, riprodursi: che viene limitato) e ad uno stato mistico (“generare il Verbo”, che viene parodiato, a freddo, senza posture irrispettose; ma la distruzione è attuata comunque). Lumen de lumine è vero nella lode di Dio, e la luce è generante, sul piano umano, solo se assumiamo la prima Luce come divinità e obiettivo; mentre l’ignoranza dell’”inverso” (da parte della stessa luce, che fu la sapienza non laica) significa morte dell’orientamento, anche come consapevolezza della propria origine. “la luce non sa l’inverso, / non sa tornare indietro” e “la luce non fa il percorso inverso. / non è in grado” . Così la disfatta della luce, ignorante (non sa) e incapace (non fa) diventa un argomento, non facile e non comodo.

Il “bello” si riduce alla condizione del “prato nella luminescenza”, su cui rimangono “due morti” – e la bellezza è un giardino in cui i cadaveri si ambientano e sono visti o vedono se stessi (ma “già ricaduti” non possono o non potrebbero); oppure “è bello che rischino la vita / per riportare indietro gli impiccati. / verso il campo”. Giovenale è immune dalla retorica che esalterebbe, anche giustamente, la storia delle vittime o tutti i comportamenti non disumani in un campo disumano; mentre i gesti – pochi – vengono solo additati, con il minimo dello sforzo sintattico e lessicale. Quindi la violenza verbale è controllata, o è l’oggetto di una sprezzatura che si attiene alla necessità: “parlare e parlarne è così: la cifra / avuta si eccede. sa dovere”.

Ma l’elemento che fa vibrare la retorica ‘fredda’ è il corredo iconografico, a cura dello stesso Giovenale. Le macerie e i relitti sono veramente morti e dislocati in contesti in cui sono inutilizzabili (mentre furono, prima, le cose della vita e della casa: orologio, sedia, grata). Tutti in inquadrature commoventi, alle quali manca la volontà di istituire una centratura rigorosa e simmetrica: perché nessuno sospetti, illudendosi, la riducibilità del disordine ad una struttura che sappia e faccia. In caso contrario, quegli oggetti si tradurrebbero in simboli, assolutizzandosi in qualcosa che riguarda già la ricerca di nessi e luoghi invisibili: cioè, in qualche modo, per chi crede, una fede.

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[ Massimo Sannelli, Microcritica, 10 sett. 2006 ]

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