Gherardo Bortolotti, Soluzioni binarie, Roma, La camera verde, Roma 2007
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Un librino che pare un confetto, eppure di sverso, subbuglio della coscienza piana, al piano. Gherardo Bortolotti, già piuttosto noto in Rete per alcuni siti di forte e tenue impatto stilistico-descrittivo-esistenziale-umoristico, ora ci presenta Soluzioni binarie nella collanina “Felix” di 19 pagine diretta da Marco Giovenale per la cura editoriale di Giovanni Andrea Semerano per i tipi de La camera verde di Roma.
La lettura si dipana agevolissima con linearità di concretissimo dolore assimilabile al giorno per giorno di quasi tutti noi. Il lavoro del cartellino per la postazione si snoda quale faccenda di coercitiva distrazione proprio come la televisione così forte per le visioni spazzate via senza sosta. Indagine sapiente delle relazioni tra poesia e prosa, questa raccoltina timbra l’ascesi del precario tipo, cólto e senza ideali, quale una speranza di macchinetta atta alla pausa caffé con pranzo indotto, tradotto, tradito.
Librino sapienziale per il rasoterra solo apparente ma, in realtà, di contemplazione in era di Grande Rete ed immenso sgomento. Alcune frasi sono palafitte trafitte-infisse dentro un microcosmo memorabile, raro di “digerita” bile: “le sale malinconiche del suo lessico”, “Dall’attesa della morte, ci distraevano le pubblicità delle agenzie di viaggio.”, “Esaurite le occasioni di avere successo, andavamo a dormire.”, “ci guardavamo incerti sulla prossima frase da dire, mentre le condizioni meteorologiche passavano nel simbolico”, “In tangenziale, le prospettive del nostro futuro si infittivano di occasioni da sprecare, rimpianti in potenza e ragionamenti ingenui sullo stato delle cose”. Perfino la mente è slavata-valvolata dal pensiero dell’ultimo acquisto. Esempi di un impiegato (forse ancora un po’ gatto nonostante tutto) presente-assente alla straluna del ligio stare insieme alla postazione da non abbandonare pena la strada senza nemmeno più la cattività della pubblicità: “Superati gli equivoci tra colleghi, kinch finiva la sua giornata”. Di un altrove concreto e possibile nemmeno l’accenno: una tangenziale per obbligo di assenso. Anche il vestirsi in un grande magazzino significa tradirsi per ritrovarsi vestiti senza credenziali di identificazione-assunzione in testa: si rimane e si resta solo “parenti poveri”, lato di cosa in cosa. Qui l’accettazione della quieta alienazione si fa mistica e metafisica del battiscopa da osservare con la coda dell’occhio durante una telefonata di ufficio. Tutto è-al-non-è tranne il BRAND dell’immagine in obbligo da far perpetuare per un’intera vita da grafico di mercato, da “incruento” sacrificio umano.
La casa è la televisione, la giovinezza una canzone in zona canzonatoria, gli amori giovanili un occaso già da quando furono: furono? Poeta del solito-insolito Gherardo Bortolotti sa la lotta del silenzio che può diventarsi/ci silos di cari estinti-stinti segni di rivolta e garbatissima, amarognola denuncia sulla propria pelle qui ad arte resa, finalmente, finemente collettiva. Freddo umorismo di rettilinei per scarti pasquali che premettono, in zona di bolla di sapone e idee più che chiare, cara resistenza cara.
Marina Pizzi