ripropongo qui un saggio sul lavoro di J.-P. Kervinen uscito su gammm alcuni mesi fa
1.
È significativo il nickname che Jukka-Pekka Kervinen usa nel blog http://selfsimilarwriting.blogspot.com/: asemic. Il sottotitolo del blog è “asemic texts in fractal dimensions”.
“Asemic” (in dimensioni di moltiplicazione indefinita: frattali) è un termine che positivamente sintetizza un buon numero delle strade stilistiche che l’artista ha intrapreso e organizza e costruisce/disfa: un percorso asemico, prima che asemantico. Attraverso accumuli orientati di ’soluzioni’, demolisce e complica e dunque rimette in gioco la stessa più ampia categoria del ‘risolvere’.
(Non troppo diversa è la prassi di accostamento e accumulo di variabili seguita da Jim Leftwich, che non a caso ha fittamente collaborato con Kervinen: cfr. http://telephonepoles.blogspot.com/, http://jimleftwichtextimagepoem.blogspot.com/ e i vari link legati).
I testi ‘quasi’ intraducibili di Kervinen raccolti in ow oom [pdf 64 Kb] per gammm vanno in questa direzione. In ow oom le lacune suggeriscono e ritraggono senso. Spostano e deviano e dislocano e slogano segni alfabetici e nessi semantici sulla pagina ogni volta un istante prima del riconoscimento, generando in questo modo molte false/possibili tracce, in accumulo così fitto da portare a quel conclusivo effetto-eco da “nessuna traccia” (e “nessun segno”, asemìa) che persuade il lettore ad affinare la ricerca, a ricostruire/tentare e sciogliere daccapo i legami spezzati.
Molte frasi e segmenti di senso sono ricostruibili colmando (o sentendo di dover colmare) le lacune, i tratti bianchi, le ambiguità, le sospensioni e anfibologie. Inoltre – elemento non secondario – proprio quell’eco finale vuota sottintende la necessità di una indagine non superficiale sulle più ampie promesse e sugli irraggiamenti di significato che una prassi asemica paradossalmente innesca, può innescare.
2.
A chi visiti le numerosissime opere-blog di Kervinen (spesso e significativamente nate senza intenzione di trasformarsi in ‘libro’: veri oggetti elettronici dunque) appare chiaro come si generi una sorta di energia complessiva dalle sue strutture e sculture – risultante da un poliedro di linee e forze date da immagini videopoemi testi sovrapposizioni interazioni e collaborazioni con altri autori.
Questo, di fatto, non avviene in virtù della singola pagina o del singolo lavoro grafico, ma direi all’interno della prassi ampia, del ventaglio aperto di tutte le sue operazioni, nell’accumulo parossistico delle stesse, in innumerevoli post, anche solo grafici o con labili tracce alfabetiche (cfr. http://codes-writing.blogspot.com/).
E il carattere del lavoro complessivo si rintraccia a sua volta in singoli esperimenti.
Pensiamo ai monumentali blocchi di sequenze coese in http://tc44.livejournal.com/: ci si rende conto che nessuna competenza linguistica umana potrebbe tener dietro alla piramide di rapporti aggettivali e nominali che lì viene attivata. Dopo due-tre righe fitte di nomi che fungono da apposizioni di altri nomi in sequenza interminabile, il filo è perso. Il dato e dado “asemico” è lanciato: le sue facce si moltiplicano, il poliedro tende alla sfera.
Anche questo è un modo di fare scrittura – e più in generale arte – installativa. Il lavoro di Kervinen dimostra di poter essere – in definitiva ed essenzialmente – VISTO. Sondato, scorso, non ‘letto’, non linearmente scansionato. (Cfr: http://nonlinearpoetry.blogspot.com/: “bifurcations, state machines and nonlinear dynamics”).
Il discorso installativo (non sempre: ma in alcuni casi) letteralmente disintegra e disperde attese semplificate e sguardo, aggredisce le decodifiche facili man mano che queste si tendono sulla pagina, e così obbliga il lettore a riletture e diversioni, a una filologia accanita nell’invenzione/ritrovamento di nessi semantici. (Che non ‘mancano’: piuttosto, sono esplosi in latenze, moltiplicati in ’segni meno’, negazioni).
Sfido chiunque a rimanere legato a un’idea di lettura lineare di questi blocchi, di queste vere e proprie sculture nominali.