Visto pochi istanti fa un video di una giovane autrice italiana. La voce di lettura è roca e “molto accattivante” (intenzionata ad accattivare), le immagini di semidistruzione. La storia senza trama. Sembrano essere frammenti accostati che sanno di darsi come tali e giocano sul non dire. MA LO FANNO IN MODO ASSERTIVO, asseverano. Si affermano come tali. E, prosa o versi che siano, corteggiano continuamente quanto ingenuamente la parola “poesia”, “poeta”, “poeti”. Eccetera.
Davvero sembra che un secolo di scrittura e di esperienze e di ricerca non sia passato affatto. Un qualsiasi clip (alcuni della BMW, ricordo, notevoli) è oggi dieci o venti anni avanti rispetto a questa produzione puerile, di autori che hanno tutti gli elementi linguisitici per non cadere nell’ennesima lirica, e tutti gli elementi di regia per non svendere l’ennesimo minifilm cliché, e però non li hanno introiettati. Non li vogliono. Sono elementi elusi. Così gli autori falliscono nel preciso arco e confine di quello che scientemente producono.
Non sanno rinunciare al narcisismo del mezzo (proiezione di un narcisismo di fondo). Non hanno un’opera. Hanno sé. Pensano a come sarà l’effetto.
Quindi usano un linguaggio. Non è il linguaggio a esser cresciuto in loro / con loro (a volte contro di loro, contro le loro “bellezze”, contro le convenienze o le effrazioni ereditate, contro la stessa “poesia” in quanto cosa già definita, che tutti pare debbano sapere cos’è, quando ne appare il nome).
Pensano a (pensano di) impugnare strumenti; non pensano che questi siano parte del loro corpo. (Non vogliono ferite, non vogliono morire, rischiare).
In un combattimento la sconfitta viene da questo. Da questa insincerità verso se stessi e verso le armi che si manovrano.
La vera arma non è un oggetto esterno al corpo; è la lotta stessa. (Che inizia nel corpo, esisteva prima di essere linguaggio).
Tuttavia anche il parlarne è sciocco, ha un alto grado di fatuità e quasi di ridicolo (che rischia perfino di sembrare autoritario: ridicolo al quadrato). Semmai l’esperienza si trasmette fisicamente, nel gesto:
La scrittura, che il lettore introduce in sé con gli occhi, non si trasmette dallo scrittore ad altri con la carta, ma ancora e sempre con gli occhi.
La scrittura si apprende – onestamente e tuttavia senza alcuna garanzia di “arte” – comunque con la frequentazione del corpo, con la disposizione del sé scrivente all’ascolto e osservazione dell’esperienza di chi è scrittore. (Non di chi “fa” scritture).