La mia coscienza intellettuale mi induce a fuoriuscire dall’iniziativa dello “Sciopero dell’autore”. Non c’è alcun intento polemico con gli altri firmatari dell’iniziativa. I quali conoscono, già da molti giorni, il mio pensiero. Questa iniziativa, per come l’ho intesa io, voleva avere il valore di uno strappo, di una scossa elettrica. Una provocazione, dal valore coscientemente paradossale, nata da un istinto morale, e dunque necessariamente sprovvista di ragionamento. Questa caratteristica, che su un raggio breve di tempo ne può essere la virtù, da un certo punto in poi ne costituisce il limite. Marcata la possibilità, oggi, di una dissidenza anche radicale, persino settaria (e insomma la possibilità estrema di non fare mediazioni sempre, come invece ogni prassi sociale ci insegna), finisce il ruolo dell’iniziativa così come è nata. La formula dello “sciopero”, volutamente schematica come è (perché, ribadisco, nata da un irriflesso e condiviso istinto etico), è a mio giudizio troppo angusta per contenere dibattiti, o altre iniziative congeneri, e persino per dare sostanza a una disseminazione del gesto. A me premeva più gridare un principio, una necessità di dissidenza. Un punto-limite etico, finalmente. Tutta la disseminazione che poteva avvenire, intorno a un concetto sanamente estremo, e dunque dal respiro teorico (volutamente!) breve, è, a mio giudizio, già avvenuta. Da questo punto in poi deve accadere altro: un’analisi, una riflessione di ampio respiro, un ragionamento, meglio se a più voci. Ma insomma: altro, che la formula dello “sciopero” non basta a contenere.
Ribadisco che non c’è alcuna polemica con gli altri firmatari. C’è un punto di vista diverso; e non più. A conferma che la nostra iniziativa è tutt’altro che dogmatica, nata com’è, semplicemente, dalla sintonia istintiva su un principio. A loro auguro buon lavoro; io, per conto mio, mi ritiro in buon ordine.
Luigi Severi