sabato, 13 settembre 2003 [link]
Di conoscenza
Un obiettivo e valore del testo poetico – o delle strutture (nome amabile) che desiderano la conoscenza – può essere in una «leggerezza pensata all’interno della materia, prima dell’unità e prima delle separazioni» (Emilio Villa, su Burri, in Attributi dell’arte odierna, Feltrinelli, Milano 1970).
La scrittura solo-materica ha il limite di farsi “versione integrale” delle cose (non richiesta tuttavia dal tempo: ora la realtà ha già i suoi relatori e storiografi, nella politica e nella comunicazione, e nella politica-comunicazione, come nella prosa del mondo di troppa narrativa). (Vedi le recenti annotazioni di Biagio Cepollaro sul realismo, nel suo blog).
Diversamente, la scrittura “solo-inafferrabile” è esercizio calligrafico, curve su carta.
Una scrittura di conoscenza ha ancora altro statuto, e diversa mira. Ma è una fabbrica di reincisioni, sovraincisioni. Così – e per questo – non elude il pieno peso del mondo/messaggio, il male di cui dice Ashbery.
Un passo di John Ashbery, dalla poesia Friends (in Houseboat days, 1977):
On my shoulders like Atlas, never feeling it
Because of never having known anything else. In another way
I am involved with the message.
Sento come avessi portato per anni il messaggio
sulle spalle, come Atlante, senza mai
sentirlo: non avendo avuto mai
conoscenza di altro. In altri termini
io sono coinvolto nel messaggio.
Secondo la nota interpretazione di Kafka, Atlante avrebbe potuto in ogni istante deporre il peso del mondo e andarsene; nulla però oltre questa coscienza gli era concesso avere. In realtà Atlante è – come suggerisce Ashbery – non semplicemente coinvolto (traduzione italiana a cui siamo forzati) ma addirittura tessuto dal suo peso, dal mondo-messaggio. Ne è costruito. Implicato, involved with. E la sua coscienza forma messaggio.
Le parole articolano la bocca che le parla.
Lo stesso Ashbery in epigrafe cita queste parole di Nijinsky: «I like to speak in rhymes, / because I am a rhyme myself».