In versione riveduta/accresciuta propongo qui la
recensione uscita sul “manifesto” il 27 novembre scorso, a pag.12:
Disinstallare il “come”. Una raccolta recente di Michele Zaffarano
(recensione a Bianca come neve. La camera verde, collana Calliope. Roma 2009, pp. 24, euro 15)
Il libro esce nella collana Calliope della Camera verde, dopo alcune apparizioni in riviste, e si compone di un incipit e dieci testi (di cui due in prosa) divisi in due sezioni: Bello come un principe, la prima e Rosso come una mela, la seconda.
È evidente il raddoppiamento del gioco ironico proprio nei nomi di sezione. “Bianca-neve”, “principe”, “mela”: l’ironia del/sul candore, attraverso le chiavi svuotate della fiaba, entra all’interno del volumetto. Ed appare chiaramente intenzionata ad aggredire anche il meccanismo stesso del paragonare, della metafora, dello slittamento da segno a segno, o insomma di tutte quelle figure connettive, leganti, presuntivamente ‘poetiche’, spesso incapaci di far altro che spostare il discorso su un ‘alto’ secondo piano di senso, fatto di banalità assertive né più né meno del primo, quello letterale.
Il “come” del titolo e delle sezioni della raccolta, dunque, è esposto in evidenza per essere più facilmente revocato in dubbio – e anzi schernito – come marcatore lirico.
Non a caso Zaffarano è tra i più attivi traduttori di poesia di ricerca francese contemporanea (a partire dal lavoro di Jean-Marie Gleize), quindi vicino al ‘letteralismo’ di alcune strade della sperimentazione recente. È un fronte della ricerca che ha volentieri e recisamente smesso di abbandonare lo spessore della pagina a quelli che Christophe Hanna chiamerebbe “bibelots” (gingilli), ossia ai tropi e metri ben torniti e tagliati, alle rime mirate, alle summae di simmetria retorica, alle peripezie fonologiche, a Jakobson e al messaggio che specchia il messaggio, in definitiva.
Altro punto di riferimento di Zaffarano è la scrittura concettuale di autori come Kenneth Goldsmith, che sostituisce la procedura al textus, l’intenzione all’“ispirazione”, il rigore sequenziale o l’esecuzione di un diagramma alla “architettura” testuale.
Bianca come neve si presenta come ‘ingenua’ sequenza, intenzionale e intenzionata, di dichiarazioni di spiazzante e fredda semplicità e limpidezza. La prima sezione è su registro esortativo (verbi all’imperativo: l’imperio del “principe”); la seconda è nel segno dell’elencazione (verbi all’infinito).
Alla prima appartengono frammenti come “non fate i lupi / non fate i serpenti / non piangete per le cipolle / siate coccolati dalla nebbia / dai molti monti / dagli scorpioni / fate il bagno nelle vostre stesse lacrime / viaggiate in nave / fate piccole passeggiate”… Alla seconda sezione appartiene una inesauribile-esilarante teoria di infiniti tra cui “abitare in una fattoria / avere una tarantola oppure mezzo scorpione / avere mezzo scorpione e mezza tarantola / avere uno stallo / buttarmi giù da un castello”…
È anche a partire da oggetti testuali come questi, sagome all’apparenza semplici, e installazioni verbali, elenchi, sequenze, stringhe, che si può ragionare di nuova sperimentazione, non in senso antilirico o a-lirico, ma in uno spazio che – felicemente – ha a che fare proprio con altri problemi e orizzonti, rispetto alla medietas della poesia-poesia (italiana).