1.
il campo definito di volta in volta dalle tecnologie e dagli oggetti e soggetti di informazione [che sono sempre a mio avviso dei moltiplicatori/demoltiplicatori di una tendenza, avviata nel ‘700, a materiare in meccanismo i movimenti del pensiero e della riflessione estetica] è un campo così cangiante, metariflessivo, sfuggente, a volte irrazionale, da sottrarsi a tutte o quasi tutte le nostre velleità di definizione – come di lamentela e perfino militanza.
ogni volta che schiacciamo il tasto F5 la situazione è diversa. (cirrocumuli, strati, cristalli che continuamente migrano). essere ‘militanti’ in rete significa rischiare a ogni bit di mancare quel che di invisibilmente rivoluzionario o perlomeno spiazzante e interessante sta succedendo nell’area vicina a quella su cui si accaniscono gli sguardi.
una parte di attività – e riflessiva e filosofica e ‘relazionale’ – è svolta poi direttamente dalle macchine, in legame stretto con individui e gruppi, oggi. senza che ciò significhi pura espropriazione del pensiero da parte di strutture di vendita.
[ consideriamo Myspace o Facebook, o tutte quelle piattaforme articolate, come LiveJournal o Flickr o YouTube, che partono da un ‘servizio’ – p.es. il blog o l’hosting di immagini – per poi tenere in legame molte persone diverse, e offrire una serie di altre opportunità che possono non chiudersi nel cerchio delle ‘applicazioni’, dei ‘banner’, della ‘pubblicità’ ]
2.
la rete cambia in parte anche la percezione dell’oggetto poesia. MA in questo va ad intervenire su una situazione matura (per il cambiamento, e per le direzioni esplorabili) dove una cultura poetica nel tempo si è modellata in senso non troppo discontinuo, ossia in molti paesi del nord Europa, e certo in area francofona e anglofona.
al contrario, là dove alcune fratture hanno interrotto il corso di certe ricerche e di alcuni linguaggi (dove cioè una miserabile potatura ha lasciato solo poche forme sedicenti ‘eterne’), come in Italia, la situazione può essere disperante se non comica.
ci troviamo così di fronte a burloni che impugnano il laser per disegnare bisonti nella caverna, o si tuffano in acrobazie xhtml per miseramente calligrafare sonetti caudati su schermate in finta pergamena, con tanto di penna d’oca gif.
la lingua è la spia di questo stato di cose. relitti italiani e neoformazioni inglesi:
in inglese esiste da tempo la [ormai indispensabile, e viva=usata] parola “vispo”, che contrae “visual poetry”; come esiste “langpo”, che sintetizza “language poetry”. in Italia abbiamo ancora una splendida (ultra)quarantenne “poesia visiva”, raramente utilizzata; e per far riferimento a aree di poesia sperimentale quasi non si dispone di vocabolario.
chi dice sperimentale in Italia sembra possa dire soltanto “Neoavanguardia” o “Gruppo” (con numeri a seguire).
ytalya, paese di lotterie.
come se le straordinarie esperienze di «Testuale», «Anterem», «MarcaTre», Geiger, Zona, Lerici, Manni, D’if, Lombardelli (per citare senza completezza né ordine) non fossero esistite né esistessero.
è ovvio che in una situazione del genere, nella generale miopia o indifferenza verso sedi e siti di sperimentazione, l’arrivo della rete dà o rischia di poter dare soltanto una manciata di bytes a una gabbia mentale ancora e sempre immarcescibilmente petrarchesca, petrarcaica (quando va bene).
da tale status viene quello che leggiamo nel 90% (o più) dei siti che sembrano occuparsi di scrittura.
3.
la mia è allora una “lamentela” ? contraddico quanto detto al principio del § 1 ?
se è lamentela, è divertita. per niente accigliata. anche perché uno dei vantaggi della rete consiste nel mostrare del tutto chiaramente e felicemente che una cosiddetta cultura cosiddetta nazionale quasi non è necessaria. si possono passare mesi estremamente proficui senza aprire una sola volta siti italofoni.
chi voglia sbizzarrirsi e verificare quanto scrivo trascorra qualche giornata a esplorare le centinaia di link (con percentuale minima di .it) raccolti nella comunque incompletissima rassegna su http://gammm.org/index.php/links/
4.
ancora. a monte.
mi trovo del tutto d’accordo con un’osservazione fatta da Gherardo Bortolotti in altra sede (che non rintraccio: ma forse si tratta di conversazione via mail, privata), che dice: mentre negli USA e in parecchi paesi europei i lettori [si intenda la categoria generalissima] esistono, e dunque creano un pubblico, un insieme eterogeneo ma non inafferrabile e anzi consistente di sguardi, in Italia accade che la scarsità di lettori, nonché la ‘depressione’ del segmento individuato come poesia, e il mercato librario tarato sugli input televisivi, sul pietismo pop, sul fast food delle grandi (e attestate) catene distributive, siano dati di fatto determinanti.
dunque, mentre negli USA la presenza della poesia in internet è una sorta di volano aggiunto, un distributore-diffusore in più per qualcosa che esiste già ed ha forze e un pubblico (che si occupa di sperimentazione e non solo di quella), in Italia la rete assume l’aspetto – non esclusivo ma incisivo sì – di un’alternativa, di un canale sostitutivo o, se va bene, correttivo e quasi ortopedico per le cadute le malattie le disfunzioni e i collassi dell’editoria, della distribuzione, delle librerie, dei lettori (scarsi in due accezioni). è o può risultare insomma un farmaco, non un integratore.
le riviste e i libri non vendono? si spostino online.
scherzando si potrebbe allora dire: nel nostro paese dovrebbero ancora accadere, sovrapposte o nell’ordine, le seguenti cose: creazione del soggetto lettore (onnivoro, aperto), sua moltiplicazione e crescita quantitativa, arrivo degli anni ’70, feste & abbondanza di esperimenti, passaggio di questi esperimenti nel sentire (letterario, artistico) comune, superamento di alcuni codici e invenzione di altri, ulteriore moltiplicazione e crescita quantitativa di lettori e scrittori che hanno introiettato (non prelevato da archivi) tali codici, e infine movimento e migrazione e intrecci di codici e lettori in rete. (immaginare qui un emoticon sorridente).
in sostanza abbiamo bisogno forse di una storia che non c’è. chi se l’è procurata (per vicenda personale) fa già il suo lavoro, se vuole o può, come può, e pesca negli esteri. (Emilio Villa, ovviamente e non casualmente, docet).
l’invito di Rimbaud, l’esortazione a essere assolutamente moderni, non è una prescrizione medica. chi vuole può vivere benissimo senza. è quello che da oltre trent’anni fa la stragrande maggioranza degli scrittori italiani. i blog – quasi tutti – ne sono traccia chiara.
cambieranno forse. ma non è importante. la rete è molto più ampia dell’orizzonte (della lingua) nazionale; e anzi in un certo senso ne è proprio il positivo superamento. è anche per questo che, con gli amici di gammm, abbiamo inventato anche the flux i share.
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da “Carte nel vento” (n.8, anno IV, novembre 2007)