Archivio mensile:Marzo 2010

volontà, etichette

ritengo migliore :
ai flussi, ESSI sono giallo cuoio che
di ciò, sotto il salotto. nessuno potrebbe misurare la commissione di polizia, la radiodiffusione sguardo nuovo.
gradisce più peso per la canzone e lo ottiene appena gli altri accoppiamenti di vittoria, sono ammessi per la gente d’esempio,
come lui durante il punto –
è la parte degli appaltatori – è il mezzo audiovisivo
durante il relativo . o r a . l e i :
disponga un impressionante.
tranne le bevande, ottenga almeno i pollici incontrati. tom profondi.
apparentemente tutto l’annuncio sta in una chiamata. lowcost dial.

alcuni elementi di descrizione – (replica)

ricevo molti inviti a reading di persone che stimo e per libri che posso non amare ma che sinceramene rispetto.

vorrei sottolineare in ogni caso che da diverso tempo la gran parte dei miei interessi è decisamente laterale e ‘decentrata’ rispetto a moltissima parte della produzione testuale italiana.

per un’idea di quel che sto dicendo si possono visitare le diverse pagine web che curo o a cui collaboro.

il mio interesse, voglio dire, si concentra sulla scrittura di ricerca, la poesia visiva, le installazioni verbali o le interazioni tra testo ‘freddo’ e arte.

non sono interessato al mainstream confessionale, lirico, neoralistico, o altro. specie se italiano.

non sto in nessun modo tentando di “convincere” qualcuno a leggere o interessarsi di visual poetry, asemic writing, conceptual poetry o googlism. do solo alcuni parametri e margini di definizione di ciò che ‘a me’ personalmente interessa. (dando per implicito e comprensibile che non mi ritrovo, quindi, nel mainstream suddetto).

(replica) – Del sognare il mondo

1.

lo sguardo asemantico che il mondo lancia agli occhi è ricambiato da tanta parte del loro sognarlo.

del sognare il mondo. il fatto di immaginarlo si sottrae al facile gesto del significato. produrlo, formarlo; così organizzarlo come diverso. (nei codici, che anticipano prassi).

2.

nella vita, nel percorso quotidiano, non tutto è dato. la massa di segnali che investe o attrae la coscienza ogni giorno, la complessità delle macchine, dei linguaggi, delle immagini, l’accumulo di voci, l’indecidibilità di parti del paesaggio, gli urti delle percezioni, non sono sempre e in tutto minutamente esaustivamente affrontati e spiegati, messi in forma e messi in riga per una cosiddetta ragionevole comprensione lineare: A, B, C, ergo D. (non sono letteralmente mai affrontati così).

un pensiero dualista direbbe: “ciò nonostante, viviamo comunque: perciò il buio ovvero l’oblio permette di esercitare le modulazioni della luce di cui disponiamo”. falso.

è possibile modulare luce (che non esiste da sola) precisamente perché e in quanto a formarla sono le sue doppie reinsistite assenze, le latenze e oscillazioni di gradi di nero o vuoto. e viceversa. i due campi si necessitano e implicano, si generano: non sono due (né coincidono). precisamente nel loro paradossale reciproco scriversi elidersi originarsi sottraendo sé risiede una chiave del movimento che è percepire.

è esattamente perché non vediamo tutto, che vediamo qualcosa.

3.

lo stesso si può dire degli oggetti linguistici. per i segni in generale.

un’installazione, un oggetto d’arte, una linea comune e ritornante del panorama, un’espressione su un volto, una storia traudita e non compresa eppure iterata ogni giorno, una strada di passaggio, possono essere – pur indecifrati – segmenti recursivi della vita. materiale percettivo, sentito come invariante nel tempo, negli anni, riverberato. ciò non solo non impedisce di vivere, ma al contrario lo permette.

così molti testi possono essere (se e dove sensatamente costruiti – da autori) elementi ancora indecifrati e tuttavia familiari e amici del commercio quotidiano con il senso-non-senso, con le cose, le persone, le parole.

4.

la complessità dei linguaggi, dei sistemi di segni, specie verbali, è tale da sopravanzare – per variabilità e combinazioni e potenzialità – gli oggetti e le storie.

l’impressione è che ci siano molte più combinazioni tra parole e concetti e sillabe e ritmi e sfumature e frasi e opere che tra molecole in natura.

è possibile, per un lettore, abbandonarsi alla necessità inspiegabile di un testo e di un gruppo di versi prima di averne inquadrato non solo il significato, ma perfino il senso, i confini della persuasione in atto.

non diversamente, ci si innamora di una persona prima di averla descritta alla coscienza. a volte prima ancora di averne afferrato i tratti somatici, l’aspetto.

*

[ precedente versione: 27-7-2006 ]

Marco Giovenale, “I vicini (quasi non) ci guardano”

1.

il campo definito di volta in volta dalle tecnologie e dagli oggetti e soggetti di informazione [che sono sempre a mio avviso dei moltiplicatori/demoltiplicatori di una tendenza, avviata nel ‘700, a materiare in meccanismo i movimenti del pensiero e della riflessione estetica] è un campo così cangiante, metariflessivo, sfuggente, a volte irrazionale, da sottrarsi a tutte o quasi tutte le nostre velleità di definizione – come di lamentela e perfino militanza.

ogni volta che schiacciamo il tasto F5 la situazione è diversa. (cirrocumuli, strati, cristalli che continuamente migrano). essere ‘militanti’ in rete significa rischiare a ogni bit di mancare quel che di invisibilmente rivoluzionario o perlomeno spiazzante e interessante sta succedendo nell’area vicina a quella su cui si accaniscono gli sguardi.

una parte di attività – e riflessiva e filosofica e ‘relazionale’ – è svolta poi direttamente dalle macchine, in legame stretto con individui e gruppi, oggi. senza che ciò significhi pura espropriazione del pensiero da parte di strutture di vendita.

[ consideriamo Myspace o Facebook, o tutte quelle piattaforme articolate, come LiveJournal o Flickr o YouTube, che partono da un ‘servizio’ – p.es. il blog o l’hosting di immagini – per poi tenere in legame molte persone diverse, e offrire una serie di altre opportunità che possono non chiudersi nel cerchio delle ‘applicazioni’, dei ‘banner’, della ‘pubblicità’ ]

2.

la rete cambia in parte anche la percezione dell’oggetto poesia. MA in questo va ad intervenire su una situazione matura (per il cambiamento, e per le direzioni esplorabili) dove una cultura poetica nel tempo si è modellata in senso non troppo discontinuo, ossia in molti paesi del nord Europa, e certo in area francofona e anglofona.

al contrario, là dove alcune fratture hanno interrotto il corso di certe ricerche e di alcuni linguaggi (dove cioè una miserabile potatura ha lasciato solo poche forme sedicenti ‘eterne’), come in Italia, la situazione può essere disperante se non comica.

ci troviamo così di fronte a burloni che impugnano il laser per disegnare bisonti nella caverna, o si tuffano in acrobazie xhtml per miseramente calligrafare sonetti caudati su schermate in finta pergamena, con tanto di penna d’oca gif.

la lingua è la spia di questo stato di cose. relitti italiani e neoformazioni inglesi:

in inglese esiste da tempo la [ormai indispensabile, e viva=usata] parola “vispo”, che contrae “visual poetry”; come esiste “langpo”, che sintetizza “language poetry”. in Italia abbiamo ancora una splendida (ultra)quarantenne “poesia visiva”, raramente utilizzata; e per far riferimento a aree di poesia sperimentale quasi non si dispone di vocabolario.

chi dice sperimentale in Italia sembra possa dire soltanto “Neoavanguardia” o “Gruppo” (con numeri a seguire).

ytalya, paese di lotterie.

come se le straordinarie esperienze di «Testuale», «Anterem», «MarcaTre», Geiger, Zona, Lerici, Manni, D’if, Lombardelli (per citare senza completezza né ordine) non fossero esistite né esistessero.

è ovvio che in una situazione del genere, nella generale miopia o indifferenza verso sedi e siti di sperimentazione, l’arrivo della rete dà o rischia di poter dare soltanto una manciata di bytes a una gabbia mentale ancora e sempre immarcescibilmente petrarchesca, petrarcaica (quando va bene).

da tale status viene quello che leggiamo nel 90% (o più) dei siti che sembrano occuparsi di scrittura.

3.

la mia è allora una “lamentela” ? contraddico quanto detto al principio del § 1 ?

se è lamentela, è divertita. per niente accigliata. anche perché uno dei vantaggi della rete consiste nel mostrare del tutto chiaramente e felicemente che una cosiddetta cultura cosiddetta nazionale quasi non è necessaria. si possono passare mesi estremamente proficui senza aprire una sola volta siti italofoni.

chi voglia sbizzarrirsi e verificare quanto scrivo trascorra qualche giornata a esplorare le centinaia di link (con percentuale minima di .it) raccolti nella comunque incompletissima rassegna su http://gammm.org/index.php/links/

4.

ancora. a monte.

mi trovo del tutto d’accordo con un’osservazione fatta da Gherardo Bortolotti in altra sede (che non rintraccio: ma forse si tratta di conversazione via mail, privata), che dice: mentre negli USA e in parecchi paesi europei i lettori [si intenda la categoria generalissima] esistono, e dunque creano un pubblico, un insieme eterogeneo ma non inafferrabile e anzi consistente di sguardi, in Italia accade che la scarsità di lettori, nonché la ‘depressione’ del segmento individuato come poesia, e il mercato librario tarato sugli input televisivi, sul pietismo pop, sul fast food delle grandi (e attestate) catene distributive, siano dati di fatto determinanti.

dunque, mentre negli USA la presenza della poesia in internet è una sorta di volano aggiunto, un distributore-diffusore in più per qualcosa che esiste già ed ha forze e un pubblico (che si occupa di sperimentazione e non solo di quella), in Italia la rete assume l’aspetto – non esclusivo ma incisivo sì – di un’alternativa, di un canale sostitutivo o, se va bene, correttivo e quasi ortopedico per le cadute le malattie le disfunzioni e i collassi dell’editoria, della distribuzione, delle librerie, dei lettori (scarsi in due accezioni). è o può risultare insomma un farmaco, non un integratore.

le riviste e i libri non vendono? si spostino online.

scherzando si potrebbe allora dire: nel nostro paese dovrebbero ancora accadere, sovrapposte o nell’ordine, le seguenti cose: creazione del soggetto lettore (onnivoro, aperto), sua moltiplicazione e crescita quantitativa, arrivo degli anni ’70, feste & abbondanza di esperimenti, passaggio di questi esperimenti nel sentire (letterario, artistico) comune, superamento di alcuni codici e invenzione di altri, ulteriore moltiplicazione e crescita quantitativa di lettori e scrittori che hanno introiettato (non prelevato da archivi) tali codici, e infine  movimento e migrazione e intrecci di codici e lettori in rete. (immaginare qui un emoticon sorridente).

in sostanza abbiamo bisogno forse di una storia che non c’è. chi se l’è procurata (per vicenda personale) fa già il suo lavoro, se vuole o può, come può, e pesca negli esteri. (Emilio Villa, ovviamente e non casualmente, docet).

l’invito di Rimbaud, l’esortazione a essere assolutamente moderni, non è una prescrizione medica. chi vuole può vivere benissimo senza. è quello che da oltre trent’anni fa la stragrande maggioranza degli scrittori italiani. i blog – quasi tutti – ne sono traccia chiara.

cambieranno forse. ma non è importante. la rete è molto più ampia dell’orizzonte (della lingua) nazionale; e anzi in un certo senso ne è proprio il positivo superamento. è anche per questo che, con gli amici di gammm, abbiamo inventato anche the flux i share.

*

da “Carte nel vento” (n.8, anno IV, novembre 2007)