Olivier Favier, “Il guardare universale. Le lezioni di fotografia di Luigi Ghirri”


Gli amanti della fotografia  ricordano Niente di antico sotto il sole, che raccoglieva tutti gli scritti –saggi, prefazioni, articoli – del grande fotografo emiliano Luigi Ghirri. Questo libro, purtroppo esaurito e irreperibile, ha rivelato, qualche anno dopo la  morte precoce del suo autore, un uomo dalla curiosità insaziabile come un’artista rinascimentale che sarebbe sopravissuto all’epoca delle neo-avanguardie. Oltre a un discorso nuovo sul ruolo della fotografia – un rapporto  col reale non sottomesso alle regole del giornalismo –- ci faceva intravedere un lettore, un melomane, uno spettatore felice anche senza camera, circondato da amici scrittori, musicisti, cantanti, interessato sia alla pittura che all’architettura, attento anche alla generazione successiva, la quale, del resto, non l’ha dimenticato. Non a caso, dopo di lui, Reggio Emilia  è divenuta la capitale della fotografia in Italia.

Lo stesso sguardo insaziabile percorre queste Lezioni di fotografia tenute nel 1989 e il 1990 all’Università del Progetto di Reggio Emilia. La scrittura ovviamente è più quotidiana – non si tratta di un testo scritto per essere pubblicato – ma la sua voce ci risulta incredibilmente vicina. È la voce di uno che si è dato lo scopo di far scoprire a una classe di giovani poco sperimentati un mestiere vissuto come rapporto complessivo col mondo, senza nessun intento accademico. Ci si potrà stupire ad esempio che uno come Mario Giacomelli, che potrebbe essere giustamente considerato, insieme a Luigi Ghirri, il maggiore esponente del secondo novecento, anche se molto diverso, non sia citato tra i maestri della fotografia italiana. Ma la stessa irriverenza diviene luminosa quando l’autore,  per tracciare la storia della fotografia, include certi pittori settecenteschi, e spiega come, fotografando, ha rintracciato certi percorsi fatti dal Canaletto a Venezia. Con lui, la fotografia esiste prima del mezzo fotografico, e diviene un modo di percepire il mondo. In un capitolo successivo, ci ritroviamo nella sua collezione di LP. Certo, Luigi Ghirri ha realizzato numerose copertine – ne vediamo alcune nel libro, insieme a una scelta molto curata di fotografie e documenti diversi – sia per l’amico Lucio Dalla che per musicisti classici. A Ghirri però, non piace mettersi troppo in  mostra. Quindi, al di là del suo lavoro, sviluppa soprattutto un discorso intorno alla realizzazione dell’oggetto-disco, del carattere artigianale ormai minacciato del prodotto, che risulta dall’associazione sottile della musica, del testo e dell’immagine. Siamo ancora negli anni d’esordio del CD, e si pensa, per forza, alla rivoluzione digitale, a quello che sarebbe divenuta l’opera di Ghirri  nel nuovo rapporto col colore che induce l’abbandono della pellicola, per lui che considerava la fotografia un “giocattolo magico”. Quelle sono però considerazioni tecniche di cui Ghirri sottolinea chiaramente i limiti, invitando gli studenti a lavorare nella semplicità, senza troppo preoccuparsi della scelta della macchina. Ci rifaremo quindi a quello che diceva di lui un suo amico, il poeta Carlo Bordini: “Dietro a questo suo mostrare il mondo come avrebbe dovuto essere, dietro questo suo essere classico, (c’era) una fortissima polemica, una fortissima posizione politica, una fortissima protesta verso ciò che il mondo è e ciò che lo stiamo facendo diventare; ed è questa (…) la sorgente di questa sua classicità, di questa sua classicità così profondamente ‘italiana’”.

In questo senso, le lezioni di Ghirri sono anche lezioni di vita, e meritano di essere lette sia dai fotografi che dai non-fotografi, se accettiamo, con lui, l’idea che fotografia e poesia non sono nient’altro che uno sguardo semplice e acuto sul nostro mondo.


Olivier Favier



Luigi Ghirri, Lezioni di fotografia, Quodlibet Compagnia Extra, Macerata, 2010. A cura di Giulio Bizzarri e Paolo Barbaro. Con uno scrittto biografico di Gianni Celati.