una breve annotazione da un thread in NI.
il libro prosa in prosa individua e segmenta – non per exempla ma per excerpta – un modo-modus-mood o tipo possibile di esperienza letteraria (come di installazione/esecuzione in pubblico di testi e oggetti estetici composti ’anche’ di testo) (come possono essere alcuni esperimenti di m. zaffarano, p. es.).
sono testi che:
[a] sono veramente ed effettivamente prosa in prosa, non versi in prosa, non poème en prose, non prosa lirica, non narrazione, non epica, non prosa filosofica, non prosa d’arte, non prosa assertiva-artaudiana (noël), non frammenti/aforismi che segmentano un pensiero (bousquet, cioran), non voyage/onirismo (michaux) ;
[b] in ogni caso prescindono quasi completamente dal panorama letterario italiano, dove un certo tipo di sperimentazione è (1) non praticata; (2) disamata spesso dagli editori; (3) in viaggio verso la costruzione di un ’pubblico’. (tuttavia, e per fortuna, permane una tradizione o linea di prosa che potrebbe esser fatta partire o passare – ad esempio – per calvino e balestrini, come suggerisce spesso bortolotti) ;
[c] hanno riferimenti quasi imprescindibili in autori tradotti da anni e per anni da scrittori come (appunto) bortolotti, raos, inglese e zaffarano ;
[d] possono condurre (o – in altri paesi – “ri”condurre) : (1) alla post-poesie su cui da anni riflette jean-marie gleize; o (2) a quella (gleiziana) littéralité e spiazzante limpidezza che (fuori di Francia) troviamo in tao lin, ida börjel, zach schomburg (l’opposto di ogni strutturalismo); o (3) al googlism di cui (attraverso k. s. mohammad per fare un nome) si fa menzione a proposito di flarf; o (4) ad alcune linee di continuità con la language poetry statunitense (bernstein, silliman, watten, hejinian, … : si pensi al loro esperimento the grand piano); o (5) a quelle forme di testualità iperframmentata e complessa che trovano in autori giovani e rigorosi come jennifer scappettone o jon leon alcuni esempi particolarmente evidenti; o (6) a forme di ’scrittura procedurale’ (espressione di zaffarano e bortolotti, penso) – o anche ’concettuale’ – a cui si può pensare in relazione al lavoro di kenneth goldsmith ; o (7) a linee di ricerca e a strumentari vicini al cut-up ma non necessariamente implicanti google (penso a pagine di rodrigo toscano, di giles goodland, o di drew kunz); o (8) a esperienze di installazione testuale come quelle di hotel stendhal; o (9) alle apparenti (in realtà sintatticamente od otticamente ’devianti’) strutture pseudoliriche [ed esperienze visive-testuali] di autori come éric suchère o ryoko sekiguchi; o, volendo, (10) suggerire (ma solo suggerire) le derive di ibridazione di immagini, poesia visiva, e/o blocchi di testo, quasi si trattasse di flow-charts di linguaggio macchina, come può (talvolta) accadere con libri di caroline bergvall o alan sondheim.