Si direbbe “ritorna la poesia assertiva”, se non fosse vero che non se n’è mai andata. Non chiede ma impone un’eco o ritorno di attribuzione di senso in verità pienamente già presente nei punti di trama, di sintassi, di racconto, di suono modulato, di attori grammaticalizzati (tu, voi; perfino al vocativo): non ha pause (non si era mai defilata) e allo stesso tempo non sa di essere sfondo e spettacolo, ossia il tutto, su una scena continuamente presa e disordinata da ben altre maceriacce di storia. Non lo sa, perché è linguaggio-strumento.
Ognuno dei tanti utenti che battono sul tasto “strumento”, con coerenza, usa il linguaggio. Dunque – con stretegie più o meno affilate avvertite scaltre – ognuno di loro asserisce. Armeggia e manovra con maggiore o minore fortuna al tavolo verde della retorica. Proietta sulla distanza tra testo e lettore quel che il lettore sa già di dover simulare di godere/intuire.
Se tutti stanno ai patti, ai patti stabiliti, la comunicazione passa; gli strumenti funzionano. La legge è salva. Lo spettacolo non cambia. È la tv educativa, ti mostra come si recitava, per insegnarti come si è ascoltati e seguiti, come e cosa bisogna fare.