lost in translation

per dire.

una volta c’era (dodici anni fa circa) il sito Lost in translation, che usava Babelfish per tradurre e ritradurre un tot di volte (passando per varie lingue) un testo base in inglese e riportarlo daccapo infine in inglese, distorto battuto sfigurato trasformato.

tutti ci abbiamo lavorato o lavoricchiato (su differx io nel 2006, mi pare: cfr. le varie uscite del testo La signorina dell’ortottica). (installazione testuale, non testo in senso stretto).

adesso ecco:
http://gizmodo.com/5977267/listen-to-call-me-maybe-after-its-been-put-through-google-translate-over-and-over-again.

anche chi traffica non per forza con la letteratura e la ricerca letteraria ma generalmente si muove e gioca nel sistema rete (http://www.gizmodo.it/ non mi pare altra cosa) logicamente fa uso in forma del tutto normale di cut-up, traduzione multipla, frammentazione del testo. magari per divertirsi, per mettere insieme un passatempo, senza peso, ma insomma: non ha bisogno di ‘rispondere’ a intellettuali dubitosi. o di ‘giustificare’ una prassi. magari nemmeno di ‘produrre senso’.

semplicemente è già dentro un certo modo di percezione. (come tutti).

un’intera generazione e area (di mondo occidentale: sì) da oltre dieci-dodici anni è addirittura nata nel clima mentale che rende possibili certe scritture e (anti)strutture. (alcuni autori anticipavano di quasi mezzo secolo tale clima).

quando dico che molte scritture o prassi o atteggiamenti post-paradigma sono già naturalmente in uso, quotidianamente ovunque e fuori della letteratura (la digitazione di messaggi, il rapporto con un nuovo videogioco, l’avviarsi di un qualsiasi lavoro su un tablet, il nostro dialogo con la memoria, la visione, la strada) non intendo niente di diverso, in linea di massima.

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http://slowforward.wordpress.com/2012/09/29/riambientarsi-ma-anche-difendersi/
http://puntocritico.eu/?p=4446
http://puntocritico.eu/?p=4406
http://puntocritico.eu/?p=952