un errore diffuso

Sì, forse un errore diffuso offusca la vista di taluni italiani, statunitensi, canadesi, belgi, svedesi, australiani, francesi, di tanti europei, che – proprio come gli artisti, gli artisti visivi – sono stranamente cocciutamente persuasi che la comunicazione, le arti, la letteratura, gli scambi linguistici anche più semplici, siano – con il Novecento e in questo primo quasiquindicennio di XXI secolo – mutati alla radice, avviandosi guarda caso nelle direzioni e nel senso già indicati e prefigurati da alcune ricerche artistiche e letterarie che in tutto il mondo e perfino in Italia si erano moltiplicate dal secondo dopoguerra in avanti. Senso sbagliato e direzioni sbagliate, allora? Così dicono in tanti. Chi? (Le gazzette, le case editrici, le tv e le librerie generaliste ci spiegano tante cose).

            Saranno forse nel giusto le terze pagine dei quotidiani, le tv, le centinaia anzi migliaia e milioni di lettori e critici e autori fautori di una condizione e tradizione di trasparenza aproblematica, transitività, metro e plot classici, filmici, narrazione lineare, superlirica o libido confessionale, soggetti anzi eghi iper-coesi, ostili all’ironia? Certo. La maggioranza vince. È nel giusto chi in sintesi sostiene che il Novecento – specie nella sua seconda metà – è in buona parte un unico errore, da arginare. Pur diffuso, abbastanza diffuso, forse troppo. (Così affermano le maggioranze, raramente silenziose).

            Senz’altro Pennsound sbaglia, allora, diffonde perniciosissimi virus attraverso decine di migliaia di file audio. Se ne deduce che è in errore l’intera Università di Pennsylvania, così come sbagliate sono e saranno le iniziative della Kelly Writers House; sbaglia Charles Bernstein, docente in quell’ateneo e uno dei fondatori e curatori (con Al Filreis) di Pennsound. Bernstein fra l’altro ha ammesso e abiurato nel suo Recantorium tante eresie. Sbaglia l’Università di Chicago che gli pubblica il libro più recente; e… idem: una delle maggiori case editrici statunitensi, Farrar, Straus and Giroux, sbaglia a pubblicare All the Whiskey in Heaven. È in errore l’EPC (Electronic Poetry Center @ Buffalo, State University of N.Y., dip. di Inglese), e sbaglia la sua Library, così come sbaglia Kenneth Goldsmith che ha pensato e fondato l’archivio immenso anzi stratosferico di UbuWeb; sbagliano sia l’Archive of the Now che il Nordic Poetry Center. A che serve l’archivio di Eclipse? E il centre international de poésie Marseille? E Sitaudis? Che ci stanno a fare tutti gli inediti di Ponge all’ENS di Lione (nel dipartimento dove per anni ha insegnato Jean-Marie Gleize)? A cosa servono questi colossali mucchi di materiali, di carte, di pagine, di file? A diffondere errori. E sbaglia pure – in Canada – la Kootenay School of Writing, si dovrebbe aggiungere. (Legata al nome di Jeff Derksen). Sbagliano la riviste “W” e “Writing”.

            Sbaglia il MoMa di New York a invitare a leggere Bernstein o Goldsmith (MoMa poet laureate, addirittura) o Christian Bök o Vanessa Place; e sbaglia la Casa Bianca quando invita Goldsmith stesso e altri autori a una serie ufficiale di letture: sono tutti in errore, un errore madornale che si estende. Sono segno di una pessima caduta di stile le dozzine di iniziative e letture dedicate in tutto il mondo alla language poetry, alla scrittura concettuale [cfr. anche l’antologia su UbuWeb], al flarf, alle poetiche glitch (o simili), alla scrittura asemantica, e infine – non diversamente – cadono & sbagliano a Parigi quelli di Double Change, che organizzano reading bilingui e incontri con autori anglofoni, dato che in quella provincialissima e sbagliatissima città leggono di tanto in tanto (anche spesso, assai spesso) Michael Palmer, Tom Raworth, Kathleen Fraser, Guy Bennett, Robert Grenier, Lyn Hejinian, Vanessa Place, Lisa Robertson, Caroline Bergvall, Stephen Rodefer, e ovviamente Hélène Cixous, Éric Suchère, Véronique Pittolo, Jérôme Game, Christophe Marchand-Kiss, Anne Portugal – e i soliti Goldsmith e Bernstein.

            Casi singoli, isolati. Hanno ragione le terze pagine italiane a infischiarsene. Hanno ragione gli antologisti italiani a dedicarsi ad altro.

            Sbaglia l’Università di California a stampare i saggi di Hejinian. Ha sbagliato nel 2011 la Northwestern University Press a pubblicare l’antologia di scrittura concettuale Against Expression, curata da Dworkin e Goldsmith. (Come sbaglia a pubblicare pure, di Dworkin, Reading the Illegible, saggio che tratta anche di Veil, opera di Bernstein citabile come esempio di “testo installativo”). (Analogamente sbaglia la Columbia University Press a pubblicare il testo di Goldsmith, Uncreative Writing: Managing Language in the Digital Age).

            Sbaglia la Southfirst Gallery di Brooklyn a ospitare i “language objects” di Grenier. E sbagliano la San Francisco State University, l’Università di California a San Diego, il New College of California, la Naropa University, la Brown University, e la già incriminata Università di Pennsylvania, a lasciare che un propagatore di errori come Ron Silliman tenga corsi iniziative e reading presso le loro aule. Come fin dal 1986 è stata in errore la National Poetry Foundation nel sostenere l’antologia curata da Silliman, In the American Tree, fonte di sconcerto ormai per generazioni di autori. Sbagliano le biblioteche che in tutto il mondo comprano libri di poesie e saggi di Silliman. Sbagliano le centinaia di migliaia di lettori del suo blog, ronsilliman.blogspot.com.

            Evidentemente prende una cantonata il Centre Pompidou quando invita a leggere Susan Howe o John Ashbery (chiamato anche, erroneamente, dalla Maison de la poésie di Nantes e da qualche centinaio di posti simili negli ultimi decenni: sempre per sbaglio, va da sé). Giustamente Ashbery è poco tradotto in Italia. Ci mancherebbe.

            Parigi pullula di eretici, visto che lì fanno continuamente letture e interviste, lezioni e incontri, e pubblicano libri, i citati Game, Portugal, Suchère (di cui segnalo questa intervista, sbagliatissima), e ovviamente Pierre Alferi, Olivier Cadiot, Emmanuel Hocquard, Suzanne Doppelt, Ryoko Sekiguchi (che attualmente è stata – certo per una incresciosa svista – premiata con un soggiorno a Roma, a Villa Medici). È fortemente in errore la città di Lione, dove l’ENS, École normale supérieure, grazie a Jean-Marie Gleize (come già detto), ha ospitato letture di gente come Lyn Hejinian, Virginie Poitrasson, e di qualche italiano. Grandemente in errore sono il sito The Other Room e il Text Festival di Bury (presso Manchester), che invitano a leggere e/o esporre Christian Bök, Caroline Bergvall, Ron Silliman, Karri Kokko, Satu Kaikkonen, Geof Huth, Robert Grenier, e qualche italiano. Tornando a Parigi, esecrabile è il crimine dell’Université Paris 7 (Institut d’Études Anglophones), che invita a studiare Michael Palmer. Come pieno di sbagli ormai trentennali è il catalogo della casa editrice P.O.L.: Michael Palmer, Christophe Tarkos, Olivier Cadiot, Ryoko Sekiguchi, Anne Portugal, Pierre Alferi, Suzanne Doppelt, Emmanuel Hocquard, Christian Prigent, Liliane Giraudon, Nathalie Quintane, Charles Pennequin, Danielle Collobert, Nanni Balestrini. Constatiamo che si tratta di nomi che – certo per qualche ostinato refuso – ritornano. Non è inquietante? Perfino inquinante.

            Del tutto sbagliato è il progetto The Grand Piano, di Ron Silliman, Bob Perelman, Barrett Watten, Steve Benson, Carla Harryman, Tom Mandel, Kit Robinson, Lyn Hejinian, Rae Armantrout, Ted Pearson.

            È in errore, dal 2001, l’International Digital Poetry Festival. Sono in errore l’ensemble e rivista BoXoN, come le riviste “Action Poétique”, Nioques (diretta da Gleize), Les cahiers de Benjy, Milk, Letterbox, Otoliths, Moria, rivista online, quest’ultima, a cura dello stesso Bill Allegrezza che è editor del volume dedicato a Charles Bernstein da Salt Publishing, casa editrice che – come P.O.L. – è piena di mostruosità, che rispondono ai nomi di Tom Raworth, Ron Silliman, Caroline Bergvall, Ben Friedlander, Rachel Blau DuPlessis, Bruce Andrews, Loss Pequeño Glazier (parte in causa del progetto EPC), Giles Goodland, Anselm Hollo, Alan Sondheim.

            Sbagliano le edizioni Le Bleu du Ciel, che pubblicano Suchère, Blaine, Mauche, tra tanti altri. Sbaglia, la statunitense (residente in Svizzera) Susana Gardner, a portare avanti da anni il progetto Dusie. In Svezia sbagliano in molti, per sintesi cito solo la rivista OEI.

            Altrettanto – e daccapo in USA – sbagliano la Poetry Foundation e Harriet a dare spazio a tutti o a moltissimi degli autori fin qui citati. (Daccapo penso a Goldsmith, Bök e Bernstein, fra troppi che non ricordo). Per non dire di Jacket2, e del suo direttore, il già nominato Al Filreis, che atrocemente sbaglia a inventare un nutritissimo nutrientissimo corso gratuito online sulla poesia statunitense da Dickinson e Whitman a K.S.Mohammad (e sbagliano i 36mila iscritti attivamente frequentanti che hanno seguito l’iniziativa – ormai alla sua seconda edizione – in tutto il mondo). E ha sbagliato, evidentemente, il “Chronicle of Higher Education” a premiare questa idea. Che assurdità: un corso universitario con 36mila iscritti. Se non è degenerazione questa…

            Sbagliano Hocquard e Alferi a occuparsi (dal 1989) dei poeti oggettivisti americani, prima ancora degli stessi studiosi statunitensi. Così come è evidente che abbiano sbagliato a occuparsene poi gli studiosi e autori coinvolti dall’Università Roma Tre in un convegno del 2012. Sbaglia l’ensemble di Questions théoriques a pubblicare Hanna e Gleize. Gleize pubblicato da Fiction & Cie, come Denis Roche. Mentre Flammarion sbaglia a pubblicare Jean-Michel Espitallier (un link sul nome e uno diverso sul cognome, addirittura). Sbaglia il collettivo che a New York pubblica la Belladonna Series, stampando testi di Lyn Hejinian, Nathalie Quintane, Jean-Michel Epistallier, Ryoko Sekiguchi, Kathleen Fraser, Jennifer Scappettone, Leslie Scalapino, Rachel Zolf, Rae Armantrout, Susan Bee, Cara Benson, Caroline Bergvall, Brenda Iijima, Lee Ann Brown, Rachel Blau DuPlessis, Nada Gordon, Tracy Grinnell, Laura Moriarty, Lisa Robertson. Sbaglia la Litmus Press a pubblicare Scappettone, e poi Julian Brolaski, Stacy Szymaszek, Kari Edwards, Amy King, Leslie Scalapino.

            Il St. Mark’s Poetry Project è poi un caposaldo degli errori della Grande Mela, da decenni. (Uno dei moltissimi esempi può essere questo). Tanti errori attribuibili a Claude Royet-Journoud si possono trovare qui e qui (perpetrati anche da Gallimard, come si vede).  Un unico decennale errore è stato l’impegno editoriale di Inventaire/Invention. Per non parlare di Al Dante, che negli anni si è permessa di pubblicare (daccapo e daccapo) Blaine, Espitallier, Game, Michot, Pennequin, Pittolo, Prigent, Tarkos.

            In Italia un gomitolo di errori è La camera verde, che ha tradotto e pubblicato tra gli altri Virginie Poitrasson, Kathleen Fraser, daccapo Suchère, Sekiguchi, Gleize, e poi Angela e Christian Sanmann, Jon Leon, Pascal Leclercq, Joe Ross, Jennifer Scappettone (traduttrice, fra parentesi, di Amelia Rosselli in USA).

[ … continua … ]

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N.b.: una precedente versione di questo post è stata rimossa perché faceva riferimento ad articoli usciti in due specifiche riviste cartecee che non ritrovo e che dunque non posso citare nel dettaglio (in un caso ho qualche incertezza perfino sull’identità dell’articolista, mea culpa). Non m’è parso sensato né utile citare vagamente.

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