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29 feb, h. 18:30
Mascherino Arte Contemporanea, via del Mascherino 24, Roma
ITA:
La Galleria Mascherino è lieta di annunciare l’inaugurazione sabato 29 febbraio 2020 della mostra antologica Tomaso Binga: Feminist Works 1970-1980. L’esposizione ripercorre l’attività dell’artista, performer e poetessa visiva Tomaso Binga e i suoi legami con il pensiero femminista attraverso una vasta selezione di opere appartenenti alle diverse serie da lei realizzate tra l’inizio degli anni Settanta e la metà degli Ottanta: dai Polistirolo alla Scrittura desemantizzata, dalla Scrittura vivente alla Carta da Parato, dal Dattilocodice sino al ciclo di dipinti Biographic. Nella sua ricerca Binga ha sfidato i limiti tra maschile e femminile, tra pratiche dominanti e subalterne, tra la convenzionalità della scrittura verbale e la soggettività del corpo, con l’obiettivo di trasformare le strutture simboliche e sociali della cultura patriarcale. Già nella scelta di adottare uno pseudonimo maschile, in occasione della sua prima mostra personale nel 1971, emerge la volontà dell’artista di denunciare le disparità tra uomo e donna presenti nel sistema dell’arte: “Il mio nome maschile”, scrive all’epoca Binga, “gioca sull’ironia e lo spiazzamento; vuole mettere allo scoperto il privilegio maschilista che impera anche nel campo dell’arte, è una convenzione per via di paradosso di una sovrastruttura che abbiamo ereditato e che come donne vogliamo distruggere”. Da questa consapevolezza Binga dà avvio a un lavoro di decostruzione delle rappresentazioni stereotipate del femminile, a partire dalla serie dei Polistirolo (dal 1971): piccole scatole da imballaggio di polistirolo bianco trasformate in teatrini entro cui l’artista incolla immagini trouveés tratte dal mondo della pubblicità e dei mass-media. Con un’attitudine da bricoleuse, in queste opere Binga demistifica con sguardo ironico la feticizzazione e l’erotizzazione del corpo delle donne, il rapporto tra cultura cattolica e società del consumo, l’interiorizzazione di modelli estetici imposti e omologanti.
A questa fase risale anche la ricerca sulla Scrittura desemantizzata, una scrittura “silenziosa” dove le parole vengono snervate sino a divenire segni grafici illeggibili, che conservano la memoria della scrittura, ma non significano più, evocando i tanti silenzi imposti storicamente alle donne: “La mia è una scrittura subliminale, nel senso che essa agisce (vorrei che agisse) dentro di noi senza essere distratti dal significato corrente delle parole e senza essere frastornati dal suono delle parole stesse: allora si può anche definire una scrittura silenziosa”. Con questa nuova grafia Binga testa il limite tra comunicazione verbale ed espressione gestuale, tra scrittura alfabetica e disegno, ideando una serie di opere tra le più significative del suo percorso, realizzate su carta, come Mettere bianco su nero (1972), Bianco nero con vista (1974), Lettera rossa (1974), Lettera strappata con ardore (1974), o nelle tre dimensioni, come nel caso dello Strigatoio (1974). Quest’ultimo è già all’epoca un oggetto desueto, tradizionalmente usato dalle donne per lavare i panni al fiume, scelto dall’artista sia come simbolo del lavoro domestico non retribuito delle donne, sia come simbolo del rapporto di sorellanza che si veniva a creare al di fuori dello spazio chiuso della casa.
A partire dal 1976 la Scrittura desemantizzata assume scala ambientale nell’installazione Carta da parato, in cui Binga traccia i suoi segni indecifrabili su rotoli di tappezzeria usati per ricoprire le pareti di spazi pubblici e privati: questa importante fase del suo lavoro è documentata in mostra dall’opera Guardo ma non scrivo (1977), dove con un processo di mise en abîme caratteristico delle ricerche di area concettuale del periodo, Binga incolla sulla carta da parati una fotografia a colori incorniciata che la ritrae, di spalle, davanti a un suo precedente lavoro della serie Carta da parato, nel quale, come in un gioco di scatole cinesi, è a sua volta visibile l’immagine dell’installazione da lei realizzata in occasione della mostra collettiva Distratti dall’ambiente (Riolo Terme, 1977).
La Scrittura desemantizzata di Binga, nelle sue varie declinazioni, non agisce soltanto sui limiti tra segno verbale e segno grafico, ma anche sul limite tra la convenzionalità della parola e il suo valore soggettivo, tra il carattere universale e quello personale del linguaggio. Per tale ragione, benché diversa sul piano formale, essa può essere considerata il diretto antecedente delle Scritture viventi, realizzate da Binga a partire dal 1976, in cui l’artista si fa ritrarre nuda, dalla sua amica fotografa Verita Monselles, mentre assume con il proprio corpo la forma delle lettere alfabetiche, lavorando anche in questo caso sulla soglia tra segno linguistico e immagine, tra l’universalità del linguaggio verbale e la singolarità del corpo che, fotografato, conserva i tratti unici della persona. A questa serie appartiene l’opera in mostra intitolata Lettera N come NO (1977), che da un lato richiama il celebre dipinto dei primi anni Sessanta di Mario Schifano e la recente lotta per il referendum abrogativo sulla legge sul divorzio, che nel 1974 aveva visto schierati in prima linea, insieme al Partito radicale, la gran parte dei gruppi femministi italiani, dall’altro, può essere letto come una dichiarazione di rifiuto radicale della cultura patriarcale.
Più vicina alle soluzioni iconico-verbali della Poesia Concreta è l’opera appartenente alla serie Dattilocodice, presentata nell’ambito della Biennale di Venezia del 1978 nell’ormai storica mostra di sole donne Materializzazione del linguaggio, curata da Mirella Bentivoglio, che all’epoca interpreta gli “ideogrammi miniaturizzati” di Binga, creati con la macchina da scrivere sovrapponendo due diversi segni alfabetici, come una forma di “recupero invenzione dell’archetipo linguistico attraverso la tecnologia”. Alla ricerca di un linguaggio più autentico e primigenio, Binga nel Dattilocodice mette in scena un nuovo alfabeto in cui simbolo grafico e icona si mescolano, e che pur realizzato con i mezzi dell’occidente moderno, chiama in causa la qualità originaria e arcaica del geroglifico.
Immagine e scrittura tornano a fondersi, con effetti squisitamente pittorici, nella serie Biographic, realizzata a partire dal 1984 ed esposta nel 1985 alla Quadriennale di Roma: in questi quadri di grandi dimensioni Binga si confronta con la pittura, che viene assorbita e si espande sulla trama grossa della tela formando immagini in cui, scrive Binga, “l’archetipo e il futuribile, l’arazzo e il computer, il passato e il presente si mescolano in una sorta di ballata senza fine”. Anche in questo caso, il richiamo alla biografia presente nel titolo serve a creare un ponte tra l’universalità del linguaggio verbale e la soggettività della vita, perché se il personale è politico anche il linguaggio lo è.
In occasione dell’inaugurazione Tomaso Binga terrà una performance fonetica.
ENG:
The Galleria Mascherino is pleased to announce the inauguration of the anthological exhibition Tomaso Binga: Feminist Works 1970-1980 that will be held Saturday February 29, 2020.
The exhibition retraces the activity of the artist, performer and visual poet Tomaso Binga and her links with feminist thought through a vast selection of works belonging to the different series she created between the early seventies and the mid-eighties: from Polistirolo (polystyrene) to Scrittura desemantizzata (desemantized writing), from Scrittura vivente (living writing) to Carta da Parato (wallpaper), from Dattilocodice (type-code) to the cycle of paintings titled Biographic. In her research Binga challenged the boundaries between male and female, between dominant and subordinate practices, between the conventional nature of verbal writing and the subjectivity of the body, with the aim of transforming the symbolic and social structures of patriarchal culture. What already emerged in her choice to adopt a male pseudonym, on the occasion of her first solo exhibition in 1971, is the artist’s desire to denounce the disparities between man and woman present in the art system: “My male name”, Binga wrote at the time, “plays on irony and displacement; it wants to expose the male privilege that also dominates in the art world, it is a convention due to the paradox of a superstructure that we have inherited and that as women we want to destroy.” From this awareness originates a work of deconstruction of stereotyped representations of femininity, from the series Polistirolo (which she started in 1971): small white polystyrene packaging boxes transformed into theatres inside which the artist glued trouveés images taken from advertising and mass media. With the approach of a bricoleuse, in these works Binga demystified the fetishization and eroticization of women’s body with an ironic gaze, the relationship between Catholic culture and consumer society, the internalization of imposed and homologating aesthetic models.
Research on Scrittura desemantizzata, desemantized writing, also dates to this phase, a “silent” writing that dismembers words transforming them into illegible graphic signs, which preserve the memory of writing, but no longer mean anything, thus evoking the many silences historically imposed on women: “Mine is a subliminal writing, in the sense that it acts (I would like it to act) on us without being distracted by the current meaning of words and without being confused by the sound of the words themselves: which is why it can also be defined as silent writing.” With this new handwriting, Binga tests the limit between verbal communication and gestural expression, between alphabetical writing and drawing, creating a series of works that are among the most significant in her career, made on paper, such as Mettere bianco su nero (white on black) (1972), Bianco nero con vista (white black with a view) (1974), Lettera rossa (red letter) (1974), Lettera strappata con ardore (letter torn with ardour) (1974), or as three dimensional works, as in the case of Strigatoio (washboard) (1974). The latter was an obsolete object already at the time, traditionally used by women to wash clothes by the river, chosen by the artist both as a symbol of women’s unpaid domestic work, and as a symbol of the relationship of sisterhood that was created outside the closed space of the house.
Beginning in 1976, Scrittura desemantizzata took on an environmental dimension with the installation Carta da parato, in which Binga traces her indecipherable signs on rolls of tapestry used to cover the walls of public and private spaces: this important phase of her work is documented in the exhibition with the work Guardo ma non scrivo (I look but don’t write) (1977), where a process of mise en abîme, characteristic of the research carried out in the conceptual field of the time, Binga glues on the wallpaper a framed colour photograph that portrays her from behind, standing in front of a previous work part of the Carta da parato series, in which, as in a game of Chinese boxes, the image of the installation she created for the group exhibition Distratti dall’ambiente (distracted by the environment) (Riolo Terme, 1977) is also visible.
Binga’s Scrittura desemantizzata, in its various forms, not only acts on the boundaries between verbal sign and graphic sign, but also on the boundaries between the conventionality of words and their subjective quality, between the universal and personal character of language. For this reason, despite formal differences, the series can be viewed as the direct antecedent of her Scritture viventi, created by Binga starting from 1976, in which the artist is portrayed naked by her friend photographer Verita Monselles, imitating with her body the shapes of the letters of the alphabet, also in this case working on the boundaries between linguistic sign and image, between the universality of verbal language and the singularity of the body which, photographed, retains its unique and personal features. Also displayed is Lettera N come NO (letter N as in NO) (1977) that also belongs to this series; on the one hand it recalls the famous painting of the early sixties by Mario Schifano, the then recent struggles for the abrogative referendum on the law on divorce, which in 1974 brought together most of the Italian feminist groups, alongside the Radical Party, while, on the other hand, it can be read as a declaration of radical rejection of patriarchal culture.
The work belonging to the Dattilocodice series is closer to the iconic-verbal solutions of Concrete Poetry. The series was presented in the context of the Venice Biennale in 1978 in the now historic women’s-only exhibition Materializzazione del linguaggio, curated by Mirella Bentivoglio, who at the time interpreted some of Binga’s “miniaturized ideograms”, created with the typewriter by superimposing two different alphabetic signs, as a way to “recover and invent the linguistic archetype through technology”. In search of a more authentic and primitive language, with Dattilocodice Binga stages a new alphabet in which graphic symbols and icons mix, and which, though created with means belonging to western modernity, alludes to the original and archaic quality of hieroglyphs.
Image and writing merge again, with exquisitely pictorial effects, in the series Biographic, created starting in 1984 and exhibited at the Rome Quadrennial in 1985: in these large-scale paintings Binga addresses the pictorial technique: painting is absorbed and expands on the coarse texture of the canvas forming images in which, as Binga writes, “the archetype and the future, the tapestry and the computer, the past and the present mix in a sort of endless ballad”. Also in this case, the title’s reference to biography serves to create a bridge between the universality of verbal language and the subjectivity of life, because if what is personal is also political, the same is true for language.
On the occasion of the inauguration Tomaso Binga will stage a phonetic performance.
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