Per cambiare casa non è necessario andare ad abitare altrove. La si può cambiare – modificare rispetto a come è ora- rimanendoci, purché la si ripensi.
Ad esempio, con sensibilità affilata dalla fantasia, si può immaginare il luogo dove adesso sorge senza l’edificio che ora lo occupa e percorrere con la mente le fasi costruttive della casa dove si alloggia, ponendo ascolto ai rumori dei lavori eseguiti e alle voci di chi l’ha lavorata. Pensare a chi l’ha costruita e a chi vi ha vissuto prima di noi è già cambiarla, perché così la si osserva con occhi nuovi: si viaggia da prima a dopo, da un tempo all’altro, di stanza in stanza, semplicemente per il fatto di dimorarvi, standoci differentemente.
Casa cambia sempre, semplicemente vivendoci – arricchendola di proprie tracce da aggiungere alle tracce di chi ci ha preceduto, cioè abitandola. Abitare, abitudine, habitus: così la si cambia d’abito e ci si vive secondando ciascuno le stagioni della propria vita.
Per cambiare casa potrebbe esser sufficiente metterla in disordine, e poi in ordine; spostare i mobili e portare nuovi oggetti o eliminare quelli vecchi consumandoli; predisporsi all’ascolto delle risonanze delle pareti e delle cose di casa, restando così sull’usta delle esistenze di chi ci ha preceduti – usandole e noi impiegando queste stesse cose magari in contesti differenti, aumenteremmo le tracce nostre e la loro visibilità futura: così cambieremmo le cose e la casa, e forse un po’ anche noi stessi; organizzare dei micro-traslochi nell’appartamento, modificando la consueta destinazione d’uso di ciascun vano dove sono accadute cose e dove altre ne accadranno di differenti. Una danza incessante di eventi –persone e vicende- che nel tempo si susseguono senza mai incontrarsi, sovrapponendosi nella memoria spaziale, invisibili se non si interroga il posto in cui si vive per il tramite dell’immaginazione – accadimenti avvenuti in ciascun vano dell’appartamento. La casa che siamo è storia di storie, e così anche noi, che con la cicatrice che portiamo dalla nascita –l’ombelico- siamo la storia di storie precedenti.
“Cambiare l’appartamento” –un’espressione grande come una casa, questo appartamento.
“Appartamento”: lo spazio che è sottratto al resto, delimitato: è quello spazio del mondo che si sceglie e si organizza per appartarsi. Porzione di mondo in cui stare con se stessi e con chi si ama, con cui si vuole condivide la vita, che si svolge nel tempo e nello spazio di questa terra, ma che necessita di una delimitazione rituale in cui- appartandovisi- lo spazio scelto cessa di esser luogo e diventa posto, il proprio posto, con le proprie cose. Nell’appartamento si vive osservando il resto del mondo che sta fuori, e organizzando il proprio mondo che sta dentro. Il posto dell’intimità. Nell’appartamento ci si ritira…ma non ci si ritrae. E’ il luogo in cui, radicati, si fa ritorno. Anche per questo l’appartamento non è mai sempre uguale –differisce tra quando si esce e quando si entra, e si arricchisce ogni giorno di tracce – esiti del movimento, dell’andirivieni, del chiudere e riaprire: segni dell’appartarsi e dell’affacciarsi.
Nell’appartamento si vive appartati. Dal fuori indifferenziato, ci si allontana e in questo spazio ci si è spostati: nel posto che abbiamo scelto ci appartiamo.
Se il verbo appartare include la nozione di luogo, la parola appartamento suggerisce lo slittamento significativo da luogo a posto – porzione di spazio cui conferiamo significato e di cui riconosciamo il senso. Qui ci appartiamo, ci separiamo dal resto, stiamo in disparte nella nostra intimità – in qualche modo segregati. L’appartamento coincide con lo spazio del segreto, da secernere. Appartato, nascosto, custodito e mantenuto in disparte, che non deve esser conosciuto da estranei, addirittura evitando che altri vengano a conoscenza del nostro segreto. A meno che non siano invitati, messi a parte del fatto, resi partecipi del segreto, ospiti nell’appartamento.
Appartare suggerisce anche l’idea del mettere a parte, da parte. Tenere per sé, con sé, insieme- conservare. Mantenere nel tempo: trovare il modo e metter in atto gli accorgimenti necessari a proteggere e prolungare, in qualche maniera, esistenza e valore nutriente di una cosa fresca con le sue caratteristiche gustativa, e in questa proiezione temporale trovare il nostro spazio. La conserva è un investimento esistenziale dell’uomo nei termini della durata. Proiezione di vita: ci sarò quando sarà pronta, prolungamento nel tempo la fruibilità dell’alimento – frutta, carne -e di se stessi, che ci si immagina saremo vivi per gustarlo quando sarà pronto. In quel momento potremo condividerlo con chi vorremo, metterlo a parte. Parte: ciò che concettualmente e/o materialmente esita dalla separazione, suddivisione di un intero in porzioni, in elementi che possono essere tra di loro staccati.
Conservare: separare cose –porzioni, elementi- dal resto perché si attribuisce loro valore e significato differente rispetto alle altre e lo spazio che loro si destina deve esser consono per dimensioni, qualità, organizzazione, struttura. L’appartamento è la distribuzione di parti, divisione di spazio in porzioni – porzioni abitative- vuote. Ciascuna delle porzioni dell’appartamento è designata, infatti, dalla parola vano.
Vano –privo di consistenza materiale, di realtà, di sostanza effettiva, cioè internamente vuoto. Uno spazio vuoto ma definito, esito della suddivisione interna di uno spazio più grande – di un edificio che consta di uno o più appartamenti che a loro volta si articolano in parti.
Appartamento come distribuzione di parti (porzioni di spazi), ciascuno di esso è un vano, un ambiente provvisto dei requisiti necessari -adeguata cubatura, aerazione, illuminazione diurna -perché possa essere usato come abitazione, secondo quanto desiderato e prescritto. Ciascuna parte è un vano, uno spazio vuoto che si colma vivendoci – rendendolo parte della casa (appartamento) e così facendo e pensando questa la si cambia quotidianamente, anche solo restando affacciati in finestra.
PS. “Ho tanti legami, di cui sento la mancanza…”
Risiedere sulla sottile contraddizione, anzi no: abitare nella sottile sconnessione tra aver legami e avvertirne la mancanza (i legami implicano contatto e appartenenza; la mancanza è condizione di privazione -scioglimento ma non libertà- che sconfina nel vuoto, che è percepito come angoscioso: il legame colma lo spazio riannodandoti, ancorandoti; il legame riconnette, fa aderire alle cose della vita, e ti consente di abitare l’appartamento in ogni suo vano, riempiendolo).
Abitare la lontananza, solo così si possono avere tanti legami e avvertirne la mancanza nello stesso tempo– essere innamorati.