remo bianco: “la dittatura della fantasia. collage autobiografico”

Sandro Ricaldone

REMO BIANCO
La dittatura della fantasia
Collage autobiografico
Johan & Levi, 2022

Un lungo ricovero in ospedale costringe Remo Bianco a fermarsi e fare il punto della propria vita, «come certi marinai in mare fanno il punto esatto della rotta, calcolando la distanza dall’obiettivo». Siamo nel 1982 e l’artista sente che il termine di questo tragitto, iniziato nel famigerato 1922, è prossimo. Alle sue spalle, un multiforme corpus di opere sempre al passo con la più audace avanguardia: dal periodo spazialista sotto l’ascendente di Fontana fino alle serie e alle performance più concettuali ideate nell’orbita dei fratelli Cardazzo e spesso in anticipo sulle sperimentazioni d’oltralpe, passando per quei Collages avviati all’indomani della scoperta di Pollock e che ora gli suggeriscono il metodo con cui ricucire insieme le proprie memorie.

 

Perché fra un’urografia e una gastroscopia sembra che Bianco si diverta a scompaginare i tasselli della propria esistenza per poi ricomporli evitando il banalizzante succedersi di nascita, infanzia, adolescenza, maturità preferendo, come nei suoi assemblaggi, un ordine “zigzaghino” che assecondi il suo temperamento anarcoide. Così, ricordi, pensieri sull’arte, idee per opere future e progetti incompiuti si intrecciano e si sovrappongono. Ogni pagina di questi “appunti” ci illustra l’eclettica facoltà di Bianco di accogliere tutto quanto la vita gli offre – amori, letture, incontri, viaggi – piegandolo alle proprie esigenze, trasformandolo in intuizioni poetiche e folli, come quella di sostituire al campanile di San Marco un’enorme Pagoda.
A puntellare questo coacervo di pensieri in libertà, alcuni aneddoti circostanziati – dai risvolti fortemente umoristici a tratti licenziosi – con compagni d’avventura d’eccezione come de Pisis, Joppolo e Hains. Bianco ce li racconta senza risparmiarci i dettagli più scabrosi, a conferma che per lui dire autobiografico «equivale a mostrare le proprie mutande sporche, ovvero a dire la verità».

Con una prefazione di Sharon Hecker.

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Remo Bianco (1922-1988), artista poliedrico e di difficile classificazione, ha ricoperto un ruolo di primo piano nelle scene artistiche più fervide dal dopoguerra in poi. Muove i primi passi sotto l’ala di Filippo de Pisis e negli Stati Uniti conosce l’Action Painting di Pollock e l’Espressionismo Astratto. A Milano si avvicina allo Spazialismo di Lucio Fontana e all’ambiente culturale di Carlo Cardazzo, inaugurando così l’importante e duraturo rapporto che lo legherà alle Gallerie del Naviglio e del Cavallino lungo tutto l’arco della sua carriera. Negli anni settanta consolida i rapporti con Parigi, in particolare con il critico Pierre Restany e con l’artista Raymond Hains. La sua ricerca è caratterizzata da una grande vivacità creativa e da continue sperimentazioni, da cui nascono cicli di opere che reinventano in modo personale i linguaggi più moderni, tra cui i Collages, le Impronte, i Tableaux dorés, le Appropriazioni, l’Arte Chimica e i Quadri viventi.