Visione, voce, dovere. Il TIRESIA di Giuliano Mesa

La Camera verde pubblica Tiresia, di Giuliano Mesa, in un’edizione in cui il testo italiano è accompagnato dalle traduzioni in inglese, francese, tedesco e spagnolo; dalle opere visive di Matias Guerra; e da un cd in cui Mesa legge non il solo poemetto ma anche una serie di altri testi precedentemente pubblicati.

Tiresia è opera uscita in riviste più volte, e presentata in festival in Italia e all’estero. Questo libro, multilingue, costituisce così un’edizione di riferimento.

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1.

Il primo verso del poema dedicato all’indovino cieco inizia con «Vedi», non per paradosso. L’indovino cieco sa, vede e di fatto intende meglio che attraverso una percezione puramente ‘retinica’. La sua è conoscenza del male della città: «La città è malata» (Antigone).

I sovrani sono cause o concause del guasto, e hanno logicamente in odio la verità. Così l’esortazione di Tiresia cieco allo sguardo diretto è senza mezzi termini anche un incitamento politico – a difesa della polis – alla voce: «tu, se sai dire, dillo, dillo a qualcuno» (ultimo verso del secondo testo). Riferire (dire + ferire ancora): vedere/dire o vedere=dire: un verbevoir che Emilio Villa avrebbe salutato con favore.

2.

Il poemetto procede per brani intitolati oracoli e riflessi. Gli oracoli sono cinque: “ornitomanzia”, “piromanzia”, “iatromanzia”, “oniromanzia”, “necromanzia”. Vi si affrontano eventi come la frana in una discarica di Manila; l’incendio di una fabbrica di bambole a Bangkok dove ragazzine lavorano in stato di schiavitù; gli esperimenti con materiali radioattivi svolti su civili ignari; l’espianto di organi dai bambini; e il tema dei campi di morte, delle fosse comuni.

Non si ‘divina’ nulla ‘attraverso’ tali ‘strumenti’. Perché strumenti non sono; non riportano un futuro; invadono semmai in pieno il presente e il passato, e la parola. Sono i contenuti della visione. Il cieco Tiresia non preconizza, testimonia. L’ornitomanzia fa leggere – nel volo degli uccelli affamati di spazzatura e di cibo, che devastano una baraccopoli e aggrediscono gli abitanti a loro volta travolti da una frana – il risvolto della società dello spreco. Può esistere scialo di ricchezze solo perché e in quanto esistono milioni di poveri. Attivamente il nostro stile di vita fabbrica la discarica di Manila. Siamo noi a generare la devastazione. È la nostra vita – “vedi” – quella che determina questo presente.

«Prova a guardare, prova a coprirti gli occhi» (conclusione del primo oracolo) significa allora: fa’ un tentativo, osserva, e – poi – prova a coprirti gli occhi, se ne sei capace.

3.

Pensiamo a un altro Tiresia, quello di Eliot. L’epigrafe da Petronio che apre La terra desolata dice: «Del resto la Sibilla, a Cuma, l’ho vista anch’io coi miei occhi pendere dentro un’ampolla, e quando i fanciulli le chiedevano: “Sibilla, che vuoi?”, lei rispondeva: “Voglio morire”».

I fanciulli scherniscono Sibilla, così come – sulla scena del poema eliotiano – i vari borghesi sfaccendati, o Mr. Eugenides e le dattilografe e le sweet ladies che vi compaiono scherniscono l’occidente che si disfa e rovina. Ma è un ghigno amaro quello che ne viene, e tragico. Sibilla, veggente, vuole davvero la propria morte, di fronte al disastro. Il poeta-Sibilla-Tiresia, affannato e vecchio, cieco distrutto ma vedente, vuole – vorrebbe – attivamente scomparire, morire, non per estetismo ma materialmente. Non tollera la visione, come la vita, come la voce. Questo, in Eliot.

Il testo di Mesa – al contrario – capovolge ciò che comunque è svantaggio, «discapito» indesiderato, in segno etico, positivo, in dovere di visione/voce come vita. In responsabilità, cura: impegno. (Per quanto arduo).

Si diceva che la prima parola di Tiresia è «Vedi». Non è esatto.

A specchio e rovescio della Sibilla eliotiana, che vuole morire, la primissima riga che si incontra aprendo il libro, l’epigrafe del poemetto di Mesa, recita: «Devi tenerti in vita, Tiresia, / è il tuo discapito». La prima parola del Tiresia è dunque «Devi», anagramma di «Vedi».

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Articolo pubblicato con il titolo Le cinque tragedie previste dal Tiresia di Giuliano Mesa in «il manifesto», 12 ott. 2008, p.14.

(La presente versione è riveduta. E anticipa un intervento più ampio in uscita online)

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