categorie, elenco, rovesciamenti

Sì, d’accordo, può esser detto che esiste – o che potrebbe esistere – una scrittura ‘clus’, di fatto.

Alcuni nomi (quello del sottoscritto incluso) sono stati fatti, in passato o recentemente. Ma invece di limitare o dedicare il campo a un numero di nomi (che contraddicendomi farò qui in calce) è bello nello spazio rapido di un post aggiungere riferimenti – semmai – ad altre categorie ancora.

Fra 2003-2005 e oggi si è parlato di molte modalità di scrittura. Appunto ‘clus’, e ‘fredda’, ‘informale fredda’, ‘installativa’, ‘procedurale’ (di cut-up, o ‘sought poetry’, o ‘concettuale’), si è parlato e si parla di ‘googlism’ e di ‘flarf’, e da un anno circa di ‘prosa in prosa’. Comunque tutte nel perimetro della scrittura ‘di ricerca’. Anche se – in taluni casi – poteva venire incluso perfino qualche elemento mainstream, addirittura un tot di lirica, o esser resuscitato l’io, un distorto confessional, e altro ancora. (Senza contare le varie declinazioni del versante performativo, che qui non chiamo in causa; e tengo fuori altresì il piano del pieno laboratorio linguistico, e dunque dell’eredità, del Gruppo 93).

Ora. Si può agire come in passato: osservare alcuni autori, derivarne una o più di una categoria, cercar di capire come e quanto quegli autori effettivamente vi rientrino, e chiuderli nel recinto di un saggio, a cui (se il critico ur-categorizzante ha occhio) seguiranno altri saggi, di varie penne, solitamente anche polemici.

Per certi aspetti questo è successo, ma in maniera non eclatante, proprio con le categorie ‘clus’ e ‘freddezza’, e nei mesi recenti con la ‘prosa in prosa’.

Ma ci si augura che – oltre a una ipotetica eventuale discussione su dette categorie – gli autori (specie quelli sconfinanti, fuori legge, a cavallo di più aree, o [vocabolo santo e briciola kitsch:] “appartati”) vogliano aggiungere loro riflessioni, note, e testi, soprattutto testi, che mettano precisamente in crisi, e perfino rovescino (o còmplichino), le categorie.

In tema di freddo o installazione o clus, eccetera, un primo appello di presenze si può (alfabeticamente) comunque già qui fare – e ciascuno aggiungerà nomi che per mia insipienza o distrazione sfuggono. Iniziamo (concludiamo, quasi):

Gian Maria Annovi, Gherardo Bortolotti, Alessandro Broggi, Roberto Cavallera, Riccardo Cavallo, Alessandro De Francesco, Carlo Dentali, Giovanna Frene, Florinda Fusco, Gianluca Gigliozzi, [MG], Ermanno Guantini, Andrea Inglese, Michele Marinelli, Giovanna Marmo, Giulio Marzaioli, Simona Menicocci, Silvia Molesini, Massimo Orgiazzi, Vincenzo Ostuni, Adriano Padua, Gilda Policastro, Laura Pugno, Andrea Raos, Massimo Sannelli, Vanni Santoni, Fabio Teti, Sara Ventroni, Francesca Vitale, Michele Zaffarano.

Con questo campo, come interagiscono i lavori (diversi, spesso generosi di ipotassi, non ‘freddi’, direi, o anzi proprio ‘performativi’, o non ‘di ricerca’ nel senso specificato sopra) di Vincenzo Bagnoli, Maria Grazia Calandrone, Chiara Daino, Elisa Davoglio, Sara Davidovics, Federico Federici, Francesca Genti, Fabrizio Lombardo, Francesca Matteoni, Angelo Petrelli, Andrea Ponso, Lidia Riviello, Greta Rosso, Sergio Rotino, Luigi Severi, Luigi Socci, Italo Testa, Giovanni Turra?

Me lo domando precisamente in vista di una sovraesposizione e sovrapposizione e magari infine crisi di categorie. A cui si deve però mirare – io credo – solo cancellando prestissimo le generalizzazioni, per ritrovare e affrontare i testi-testi, con gli strumenti dell’analisi critica noti. Senza l’analisi non ci sono delimitazioni (e sconfinamenti) di aree categoriali, non ci sono rovesciamenti dello stato di cose (e di lettere), e l’indistinto ‘corale’ domina, echeggiando le proprie costanti di fondo: vuoto conoscitivo e quietude.