Del sognare il mondo

1.

lo sguardo asemantico che il mondo lancia agli occhi è ricambiato da tanta parte del loro sognarlo.

del sognare il mondo. il fatto di immaginarlo si sottrae al facile gesto del significato. produrlo, formarlo; così organizzarlo come diverso. (nei codici, che anticipano prassi).

2.

nella vita, nel percorso quotidiano, non tutto è dato. la massa di segnali che investe o attrae la coscienza ogni giorno, la complessità delle macchine, dei linguaggi, delle immagini, l’accumulo di voci, l’indecidibilità di parti del paesaggio, gli urti delle percezioni, non sono sempre e in tutto minutamente esaustivamente affrontati e spiegati, messi in forma e messi in riga per una cosiddetta ragionevole comprensione lineare: A, B, C, ergo D. (non sono letteralmente mai affrontati così).

un pensiero dualista direbbe: “ciò nonostante, viviamo comunque: perciò il buio ovvero l’oblio permette di esercitare le modulazioni della luce di cui disponiamo”. falso.

è possibile modulare luce (che non esiste da sola) precisamente perché e in quanto a formarla sono le sue doppie reinsistite assenze, le latenze e oscillazioni di gradi di nero o vuoto. e viceversa. i due campi si necessitano e implicano, si generano: non sono due (né coincidono). precisamente nel loro paradossale reciproco scriversi elidersi originarsi sottraendo sé risiede una chiave del movimento che è percepire.

è esattamente perché non vediamo tutto, che vediamo qualcosa.

3.

lo stesso si può dire degli oggetti linguistici. per i segni in generale.

un’installazione, un oggetto d’arte, una linea comune e ritornante del panorama, un’espressione su un volto, una storia traudita e non compresa eppure iterata ogni giorno, una strada di passaggio, possono essere – pur indecifrati – segmenti recursivi della vita. materiale percettivo, sentito come invariante nel tempo, negli anni, riverberato. ciò non solo non impedisce di vivere, ma al contrario lo permette.

così molti testi possono essere (se e dove sensatamente costruiti – da autori) elementi ancora indecifrati e tuttavia familiari e amici del commercio quotidiano con il senso-non-senso, con le cose, le persone, le parole.

4.

la complessità dei linguaggi, dei sistemi di segni, specie verbali, è tale da sopravanzare – per variabilità e combinazioni e potenzialità – gli oggetti e le storie.

l’impressione è che ci siano molte più combinazioni tra parole e concetti e sillabe e ritmi e sfumature e frasi e opere che tra molecole in natura.

è possibile, per un lettore, abbandonarsi alla necessità inspiegabile di un testo e di un gruppo di versi prima di averne inquadrato non solo il significato, ma perfino il senso, i confini della persuasione in atto.

non diversamente, ci si innamora di una persona prima di averla descritta alla coscienza. a volte prima ancora di averne afferrato i tratti somatici, l’aspetto.

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[ precedente versione: 27-7-2006 ]