Anche i materiali teorici o teorico-critici che si mettono in campo sono testo da cui parte e su cui si esercita teoria (o critica) successiva. Sempre stato così.
A me sembra però che la consapevolezza di produrre piattaforme estreme (quasi degli esterni senza interno, delle proiezioni senza fonte) sia – in critica o nel contesto degli scritti teorici che si producono recentemente – piuttosto forte, attestata. Sono piattaforme non rilavorabili nel senso di un sistema, e anzi coscienti del loro entrare a far parte del gioco creativo (non essendo poesia o prosa, tuttavia).
Sono cioè elementi che rimettono in gioco il testo spostando non linearmente l’asse di un discorso che meno lineare (esso stesso) non si potrebbe immaginare.
In definitiva, e anche, si scrive per complicare il tavolo delle trattative. Non per arrivare a una pacificazione. Anzi. Per ridisporre e mutare, sui piani intersecati del discorso comune e complesso-condiviso, le variabili in movimento. Per introdurne di nuove. Spostare di pochi o molti gradi il senso delle regole della partita, durante la partita.