Giulio Marzaioli su Fabio Teti

da Punto critico:

“del malintendere” / Giulio Marzaioli _ su testi di Fabio Teti

(testi: Poesia Totale / In Voce, 19 dic. 2010, autori: FABIO TETI)

Giulio Marzaioli

Del malintendere è il titolo provvisorio che Fabio Teti assegna alla raccolta (la prima organica e, ad oggi, inedita) dei suoi testi e, per chi avesse avuto occasione di conoscere l’autore, già viene offerta una provocazione. Fabio Teti, infatti, è assiduo frequentatore delle letture altrui e ascoltatore tanto attento da assumere una pro-tensione all’ascolto tale da rimanere impressa. In primo luogo, quindi, Teti è autore che sicuramente ben-intende la scrittura che lo circonda e, iniziando a percorrere la sua scrittura, risulta evidente come Teti abbia sì un bagaglio di letture strutturato e di forte tenuta per quanto attiene sia la tradizione che l’avanguardia italiana e straniera, ma altrettanto si palesa un’attenzione nei confronti delle esperienze della letteratura contemporanea tale da restituire, nel proprio dettato, una padronanza assolutamente consapevole:

essendo poi lo stesso non sapere che sostanzia
i materiali e scarsi nessi della frase, – fase dove l’anno
non è quello e lui spalanca scatola in cui tiene
plastica ocra dei soldati, trovata
vuota, trovate anzi alcune
parti di neviera
lacune    acacie    poi la zucca
cava marcia coi barbieri
che in latino gli stenagliano
via i denti –

il solo fosforo vicino è alle lancette,
quando si sveglia. continua la torsione della faglia.
continua questa guerra
d’ipotetica frizione con la guerra

Rimanendo ancorati al titolo, malintendere è anche la modalità di percezione che Teti opera nei confronti dell’oggetto. A fronte dell’omogeneità con la quale la realtà viene trasmessa e nel sospetto che nella sintassi pre-ordinata delle informazioni si celi un’intenzione univoca, Teti scorre la superficie in cerca della crepa, della falla, di qualsiasi spia che possa rivelare il difetto, l’errore nel sistema. Il male inteso, insomma, come reagente per una maggiore adesione alla realtà che viene intuita e suggerita al lettore grazie ad una famiglia di strumenti (la sinestesia, la paranomasia, l’anagramma etc.) che denunciano quanto sia fallace l’accostamento tra comunicazione della realtà e realtà stessa:

la crepa fa doppio / l’oggetto che attraversa

qui ed è vista al keepsake della bocca

della verità – rovesciata, muro fuo-
ri, del balcone al sovrapporsi dei nuovi
inquilini della casa – la piastra,
piantata, tenuta dal chiodo a
fessura delle labbra / un pensiero
è quanto attaglia a questa stessa differenza
la voce che da lì ora
guarda

Violando la percezione (interferendo con l’immagine) si ha modo di vedere veramente oltre lo schermo della pre-configurazione, dell’associazione di quell’immagine al modello che il sistema di informazioni pre-costituisce. Di ciò è ben consapevole Teti, che tra le immagini (appunto) che possono accostarsi alla propria scrittura cita non a caso La plaque cassée di A. Kertesz, fotografia che scardina il rapporto tra osservatore e oggetto  osservato, ponendo la questione di cosa accade (cosa è accaduto) di qua dal vetro (dietro l’obiettivo):

E ancora malintendere come invito al lettore ad attivarsi nel solco tracciato dall’autore, grazie ad un’altra famiglia di strumenti (l’anacoluto, l’enjambement, il lapsus etc.), questa volta chiamati a scardinare quella somiglianza, quella superficie apparentemente omogenea, e attraverso la crepa iniziare a scrostare l’intonaco in cerca del livello successivo di percezione. In tale approfondimento per gradi Teti non dà nulla per scontato trascinando nella scrittura tutto l’esplicito della realtà e non cedendo alla tentazione di suggerire verità implicite:

qui le parole dall’afelio – sì il sole a filo
sui parchimetri. possono andare, passare asciutti
sopra asfalto i passi – quello che fanno
è delocato, calce su chiostre, costati,
le zolle zeppe dove esplodono,
bruciando, brucando i vermi quelle
sparse, caviglie parti, su terreno, – tutto levato,
spostato tutto. cioè pure l’afelio è tolto: niente deporre
la versione, della lepre, quell’emisfero,
la retina è costretta a travisare,
per vedere, a fare il vero con
distorcere, con incistare ora nell’aria
il proprio poltergeist, la macchia
cieca lì dal margine di nero e accade adesso:
le buste in terra hanno una storta
in epitèli, di scuoiati, – è il malinteso,
il male inteso – se serve
(e serve) serve
a questo

Le azioni sintetizzate nel malintendere hanno quindi una precisa valenza di politica della percezione, sparigliando sul tavolo del già dato e chiamando il lettore a compiere, a sua volta, una visione che vada oltre il testo scritto, partendo proprio dalle male-intenzioni in esso operanti. Testi di siffatta concezione devono essere letti e ri-letti perché più che consegnare un senso conducono ad individuare la matrice del senso stesso, quella qualità di ascolto da cui lo stesso Fabio Teti fa scaturire la propria scrittura e che dovrebbe costituire fondamento di qualsiasi scrittura “responsabile”.

Giulio Marzaioli