Burroughs di fatto è tutto da studiare, sondare, ‘rubare’. La sua azione meticolosa di sabotaggio di ogni struttura lineare, di ogni trama, non prescinde né dalla linearità in sé né dalla presenza (dal fantasma della presenza) della trama.
Un libro come Le città della notte rossa è da leggere – come tutti gli altri suoi – anche in piena anarchia e senza preoccupazioni di ‘sequenzialità’ / continuità nella scansione, nel percorso.
È una delle ragioni della sua grandezza: è autore praticamente classico che non chiede le spaventose distese di tempo (veri marmi irrealizzabili nella vita) che altri classici impongono alla progressione dell’atto del leggere. Burroughs ha pre/visto (e felicemente contribuito a determinare) il processo di indefinizione e dissipazione – nelle strutture della narrazione – che gli anni del secondo Novecento hanno portato.