Mi rendo conto di aver risposto solo parzialmente, perché in modo (contortamente) non-soggettivo, alla domanda del «verri» (n. 47, ott. 2011, pp. 16-18) su Avete letto i Novissimi?
Riprendo dunque il filo-parola velocemente per sintetizzare … in maniera più soggettiva (su blog, non a caso) e dire, se possibile a bassissima voce (in grigio), quanto segue:
– a 16/17 anni (siamo quindi tra l’85 e l’86) a mettermi più robustamente in una linea e desiderio di ricerca furono innanzitutto – come m’è capitato di dire più volte – Eliot e Montale (dunque sorvolo qui su nomi nodali per me come Cortàzar e Borges; resto ai versi);
– immediatamente la necessità è stata quella di una (qualche forma di) alterazione, alterità; penso di essermi, in questo, scavato una via obliqua indipendente, anche grazie ai sette o otto anni di pressoché completo silenzio che – fino al 1998 – mi sono imposto di interporre tra me e tanta parte degli scriventi e leggenti che a Roma in quegli anni si muovevano;
– quando in quegli stessi anni mi sono imbattuto per più strade e frammenti nelle scritture della neoavanguardia (che sentivo non così lontane, affatto, dalle Descrizioni in atto roversiane che dal 1990 leggevo); ho semplicemente detto a me stesso: «ecco, precisamente»;
– ho cioè avvertito, percepito, constatato, che quella via indipendente che pensavo per me valida assai assomigliava a quella di un’altra generazione, a me non vicina, o non vicinissima;
– sono gli stessi anni sono delle letture di Rosselli (e frequentazione di suoi reading) e Zanzotto;
– non troppo più tardi avrei letto/riletto Cagnone e Mesa; queste ultime annotazioni rendono più complesso, per non dire “esploso”, il quadro, tante sono le differenze tra le scritture citate; (e tanto differente, penso, risulta quello che a me è capitato poi di dire, poter dire).