Mi stupisce – per niente spiacevolmente – che un brano critico di commento a un celebre mottetto montaliano riceva praticamente ogni giorno almeno due o tre visite.
Stando ai report di WordPress sembra anzi che venga esplicitamente cercato: attraverso motori di ricerca che vanno a caccia di quella lettura – e non semplicemente di “una” lettura (qualsiasi) del mottetto. Succede dal 10 ottobre scorso. Il pezzo ha accumulato un numero di clic facilmente calcolabile (e altrettanto facilmente dimenticabile: inutile perder tempo in statistiche).
La riflessione devia dal narcisismo e vira decisamente verso un interrogativo: quale tipo di critica è richiesta da quali lettori? Le domande che con gli amici del Dialogo a più voci ora ci stiamo e mi sto ponendo sono [le] domande giuste? Ce ne vogliono altre? Quali? (L’impressione è che quegli amici abbiano individuato bene le [varie, molte] altre domande che io fatico a vedere).
Esiste e si può favorire e moltiplicare – per esempio – una modalità, una vis, una forma e scrittura critica non accademica, e però non estemporanea, anzi rigorosa, ma attenta a un versante didattico, esplicativo, puntuale, umilmente ancillare rispetto al testo?
Sono IO in grado di scrivere per avvicinare al testo chi non è – e forse non è detto che sempre voglia già essere – NEL testo? (Questo, dando per assunto – e ancora per niente verificato – che io per primo sia in grado di essere in uno spazio del/nel testo: che cioè lo abbia davvero e umilmente e utilmente percorso).
Dice il titolo del brano su Montale: Lettura elementare di un testo celebre. È forse ‘sbagliato’ quell'”elementare”? Offrire (innanzitutto a se stessi) degli elementi, invece di soli frammenti AUT soli ipersaggi, è un errore?
Non è forse proprio questo, giustamente questo, il tipo di chiave e avvicinamento a questioni essenziali di lettura e ascolto, che un autore come Giuliano Mesa sta – e non da oggi – trasmettendo? Per esempio con Il verso necessario.