[…] Tuttavia il punto di svolta più percepibile lo possiamo collocare nel 2009, quando un gruppo di autori (Gherardo Bortolotti, Alessandro Broggi, Marco Giovenale, Andrea Inglese, Andrea Raos e Michele Zaffarano) grosso modo coetanei (nati tra il 1967 e il 1973) sente l’esigenza di far uscire un volume il cui filo rosso è proprio una nuova declinazione della poesia in prosa, che fin dal titolo viene rinominata Prosa in prosa (il volume esce non per caso nella collana fuoriformato diretta da Andrea Cortellessa presso Le Lettere). La prosa in prosa, anzi, la prose en prose è un’invenzione di Jean-Marie Gleize, cui i prosinprosatori italiani esplicitamente si richiamano. Gleize, collocandosi sulla linea di Ponge, di cui è anche studioso, ha definito (e praticato) la “prosa in prosa” come poesia che viene dopo la poesia, come un testo che vuole essere “letteralmente letterale”, non avere altro senso se non quello che propriamente dice. La littéralité di Gleize, insieme assenza di sovrasenso e riferimento all’evidenza della tipograficità alfabetica, conduce alla redazione di testi che sono sommamente chiari e enigmatici a un tempo. Enigmaticità che – secondo l’esempio dell’altro potente modello, quello della language poetry americana e più in generale delle varie modalità di poesia concettuale – può nascere dal contrasto tra la chiarezza del dettato e la necessità di interpretarlo secondo una collocazione pragmatica magari solo implicita (come nel ricorso a una postproduzione talvolta segnalata da indicatori peritestuali in Broggi), oppure dall’espressione di una pura evidenza delle cose che rimonta appunto a Ponge, Gleize, ma anche a Perec e alla sua rappresentazione dell’infraordinario. […]
Paolo Zublena, Poesia in prosa / Prosa in prosa (2015)
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