Michele Zaffarano, E l’amore fiorirà splendidamente ovunque,
La camera verde, Roma 2007
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Ogni frammento un dove, in ogni dove un frammento con traccia di sipario un po’ dischiuso ma con resti, solo resti, di evento e non di rappresentazione.
“dove” è l’avverbio ossessivo che titola e prelude ogni pagina di logica gimcana indicativa: è questa la forte sofferenza di questo librino che rende nodini i furti dei secondi vissuti oserei dire con la saggezza di una partitura-partecipazione senza lenimento alcuno.
Dove né musico/a né giallo ma solo asserzione così come la perdita una difesa sempre indifesa, la perdita comunque o il per forza avvenuto-disavvenuto, sogguarda l’anemia il suo proprio valore all’infinito, qui sulla terra in stato di rapina. Un verbo all’infinito ossessivo e, comunque, placato forse placante anche per il lettore più fiducioso. Le stanze dove, i luoghi dove, i verbi dove avvenne qualcosa di già avvenuto che non fu in grado di mutare o solo smussare un bel nulla. E allora? quale consenso può stare al non morire? L’enumerare dei fatti sulle possibilità già fatte, già avvenute. Neanche la bizzarria è atta ad un sorriso al…, sul canone redatto.
Nessun Personaggio citato, incitato, definito o indefinito: mai un femminile, mai un maschile.
“non esiste parola espressiva sufficiente”: solo in questo verso si formatta e si rompe una giara di olio, un (io) sapienziale che coma in sé e senza zavorre di aiuto.
Nel sorriso serissimo del titolo della raccoltina, la sorella minore la Tina=la vita, ha di che impallidire nonostante le siano state dedicate scansioni le più amorose, amorevoli, volgarissime note di uno spartito in tiri di fuochi già spenti in partenza o in arrivo, poco importa.
“le ombre possiedono ancora una vestizione allo sguardo degli altri” ma l’autore dove è: è un altro come la grande letteratura stura: è in grado di sparire dopo aver azionato la leva! Il sisalvichipuò qui sarebbe bestemmia laica, calamita invereconda.
Il distacco di questa talea dà un po’ di vertigine date le coordinate più che esatte: Zaffarano sta alla rena di un cantiere dismesso, appena preparato, guardato, abbandonato perché la comprensione è sopraggiunta anzi tempo, senza consolazione.
“ai falsari del pratico si oppongono disciplinati gli apprendisti”: quale liricità del tema se non la poca polvere che però, prima, fu la carne e soda dei vincenti, di coloro i quali ci tolgono il pugno perché ci tengono in pugno? ma dalla polvere la vita? non di certo una rinascita cappellata, cappellana e balconata! “la relazione speciale che passa attraverso la fenditura/ la perdita come compimento”.
Michele Zaffarano ha arenato il bastimento che trasportava petrolio senza aggiungere inquinamento, anzi è zigomo di quercia ad inciampo contro il boia capitale.
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Marina Pizzi
già in: felixseries.blogspot.com