Qualche tempo fa ho completato una traduzione molto impegnativa. Non ho lavorato per un compenso ma per inseguire il sogno di far riecheggiare in italiano un’opera ‘difficile’, che però offre la possibilità di riattivare una connessione vitale con la storia. Propone un processo di rimemorazione e consapevolezza che riguarda anche il presente. Attiva un ritmo che intreccia il detto al non poter dire, per farne elaborazione del lutto e atto liberatorio. Il libro che ne è risultato, un libro, a mio parere, molto bello e complesso, è ora oggetto di un attacco da parte della stessa autrice, che ne ha chiesto la distruzione per motivi che, visti da qui, sembrano abnormi (profanazione, appropriazione, ecc). Per quale salto quantico siamo arrivate a questo? A quale spazio di ascolto reciproco possiamo appellarci? Mi chiedo se esista un lessico del confronto che non sia la riproduzione di uno script rovesciato, riproposto, ripetuto (che a me pare, in questo caso un po’ vuoto: tu sei razzista, no sei razzista tu, ecc). A quale pensiero meticcio, a quale poetica del contatto possiamo chiedere di darci strumenti per capire (e parlare)? Queste e altre domande mi affollano la testa, senza darmi pace. Intanto sulla pagina dell’editore italiano, Benway, è apparso un comunicato, insieme a una mia nota sulla traduzione e ad alcune riflessioni del co-curatore Andrea Raos. Grazie a chi vorrà leggere:
https://benwayseries.wordpress.com/2021/09/18/the-italian-translation-of-zong-must-be-destroyed/