Mentre si lava i denti, vicino alla mano destra in azione, sospeso nel nulla
come una lettera di un rebus, appare un numero: 63.875. Più tardi, un altro
numero balugina mentre si allaccia le scarpe: 53.856. Fa un piccolo sforzo
mnemonico, appunta i dati su un foglietto.
Dopo pranzo, lavandosi di nuovo i denti, si accende un 63.876. Prende il
foglietto che ha in tasca, compara i dati, non può fare a meno di notare la
progressione. Si tratta dunque di un contatore?
Il fenomeno comincia a manifestarsi con frequenza crescente. Viene a
sapere con esattezza quante aspirine ha preso in vita sua, quante scaloppine
al marsala ha mangiato, quanti rotoli di carta igienica ha consumato, quante
volte ha visto Charley Varrick, in quante occasioni si è passato la mano tra i
capelli e in quante ha annaffiato l’euforbia sul terrazzo (poche, l’euforbia
necessita di poche annaffiature).
Col tempo impara parzialmente a governare il contatore, in questo modo si
accende anche su sua esplicita richiesta: quante volte ho attraversato questo
ponte? pensa, e subito ottiene risposta.
Poi un giorno accade una cosa. Accade che al risveglio, aprendo gli occhi,
sbuca in aria la scritta -127.
Così, con il meno davanti.