Si è fatto e si fa (anche da parte mia: eccome) un gran parlare e perfino un vispo parlare di mappe. Mappare la poesia contemporanea, mappare gli autori, cartografare i territori, segnare le strade, rintracciare i percorsi, ritracciarli, invocare Cantor, smascherare le antologie, ampliare il canone, incrociare i dati, trovare e scovare, fare la piantina, il planetario, dell’atto o fatto poetico, dei fatti, degli antefatti, fare un piano, piano A, che va fallito, e allora il B, come nei film, tentare, abbozzare cartina, piantina: della poesia di ricerca, classica, mainstream, sottoboschiva, regionale, locale, iperlocale, dialettale, focale, fecale, comunale, cantonale, di quartiere, di vicolo, in scala, millesimale, nomadica, straniera, cosa c’è nei cassetti, cosa c’è nell’aria, dove sta il tizio, rassegna degli autori mancini di Busto Cogolario di Sotto dal civico 3 al civico 7 di via degli Sventolati con proiezione ortogonale dei tinelli e mappa google delle scuole ove implumi ebbero nido e pappa e lor prime sillabe forgiaro.
Basta con le mappe. Basta con il Cinquecento, le cinquecentine, le cinquecento che pretendono di tirare dentro il mondo. Descrivere cosa e a chi? Apriamo un ennesimo blog. Mettiamoci dentro i blog dei blog che linkano i siti dei siti che mappano. Altra mappazza, altra pezza sul nulla. Carta senza carta. Please, take some rest. Qualche buon libro in più, qualche pessima inutile mappa di meno. (Ovviamente è anche un’autocritica, questa).