Archivi categoria: teoria

TRACTS!

from http://www.manystuff.org/?p=15091

TRACTS!

de la main à la main: le tract comme contre-pouvoir esthétique 
Un des principaux intérêts du tract comme support de l’art réside dans le fait qu’il est en tout point l’exact opposé de l’œuvre d’art, telle en tout cas que la décrivent encore aujourd’hui les défenseurs d’une certaine tradition esthétique. L’œuvre est raffinée et atemporelle, le tract est ordinaire et jetable ; l’œuvre est métaphysique, le tract est politique, l’œuvre est précieuse, le tract est cheap. « Toute œuvre, et particulièrement une très grande […], écrit Michel Haar en 1994, présente une cohésion, une unité organique si puissante qu’elle renvoie davantage à elle-même qu’à aucun étant dans le monde. » L’œuvre aspire à la grandeur et elle se doit d’être grandiose, le tract, lui, est modeste et fugace. L’œuvre d’art, continue Michel Haar, est « un assemblage matériel irremplaçable et subtil, fait suivant la vocation de chaque art, de pierre ou de couleur, de sonorités musicales ou de sonorités verbales ». Le tract est plutôt grossier, remplaçable car reproductible, imprimé sur du papier ordinaire par une technique plus ou moins industrielle. La place de l’œuvre d’art est dans un musée, tandis que le tract – ni de pierre, ni de couleur – se faufile discrètement, voire clandestinement au milieu de la foule.
Cette position délibérément marginale incite les artistes qui ont une pratique du tract à épouser et à assumer la fonction subversive qu’il joue – logiquement – dans l’art…

5 janvier – 18 février 2012
Cabinet du Livre d’Artiste, Rennes

Alighiero Boetti

… Non potevi metterti a fare delle sculture in cemento, pazzesche, che poi stessero lì dieci giorni; o non puoi mettere in galleria tonnellate di sabbia! A questo punto, allora, ti prendi uno spazio piccolissimo, veramente povero nel senso della semplicità, come un foglio di carta quadrettata, e costruisci una regola iniziale che ti soddisfi, e ti trovi a cimentarti in una cosa che più è piccola più ti dà una libertà d’azione individuale, incredibile, una possibilità di indagine, di informazione.

  

[Alighiero Boetti, intervista rilasciata a Mirella Bandini. Prima pubblicazione: “NAC”, n.3, 1973. Ristampata varie volte. Citata in M.Bandini, 1972 – Arte povera a Torino, Allemandi, Torino 2002, p.36]

Note sul concetto di installance / Marco Giovenale. 2010

    
1.
  
Ovviamente Robert Barry sul finire degli anni Sessanta ha svolto un lavoro molto vicino al concetto di installance. Dove l’indeterminazione è dominante e non c’è però accenno alla segretezza.
Rilasciare una quantità di elio o neon o altro “da qualche parte” nell’atmosfera è indeterminazione; ma la performance è tale: c’è azione, pubblico, volendo. Che poi l’account, la descrizione-dichiarazione-racconto spieghi post quem ciò che ha avuto luogo, e il fatto che la performance ha avuto luogo, non toglie “segretezza” e nascondimento al lavoro.
Inoltre, tutto il resto è definito e chiaro: si sa che tipo di gas è quello rilasciato, e viene detto, se ne conosce e viene dichiarata la quantità, eccetera.
Se si rilascia segretamente in luogo preciso ma solo fotografato e non dichiarato un oggetto di dimensioni indefinite, spesso coperto di scrittura o asemantica o illeggibile o cancellata, i gradi e strati di non conoscenza sono tali da rendere l’opera definitivamente non perimetrabile, senza tuttavia rinunciare alla sua materialità.
Senza dover ricorrere a un gas o a un’idea, un concetto.
Attenzione: è tuttavia e comunque possibile, attraverso l’installance, ricorrere precisamente a un’idea, o ad altro. A un’azione immateriale e su cui non c’è testimonianza e magari nemmeno è data documentazione. Si veda l’installance assente “nella” chiesa con le sliding doors (http://installance.blogspot.com/2010/09/installance-0007-unperformed.html).
  
 
2.
   
Nel caso di Barry l’opera è, se non performata in presenza di pubblico, comunque pubblicizzata, resa nota come “evento”. L’installance invece è – tendenzialmente – evento solo in termini ontologici, non sociali. Individuali semmai. Non è o può non essere necessariamente “socializzata”.
Altra prossimità apparente, non sostanziale. I writers e i disegnatori che variamente lavorano sui muri delle città privilegiano sì la segretezza dell’opera ma la limitano al puro momento esecutivo. L’opera deve nascere quasi spontaneamente, nella loro (condivisibile o meno) idea, dal discorso della società, e comparire in/al pubblico. L’esibizione è quindi successiva e intera. L’opera è esposta e visibile: già affissa: è sul muro.
Vero è che per le installances non è differente l’esibizione dell’oggetto (esibizione anche costante, perdurante, fino al deperimento dei materiali) successiva alla non-azione, alla installazione secretly performed. Forse allora quello che differisce, ciò che marca distanza fra graffiti e installance, è il senso della durata dell’opera. L’installance non teme di essere persa, di sparire, di corrompersi, di non esser registrata da altro occhio di colui che la pone in essere.
  
   
3.
   
L’installance è un pacchetto di senso individuale isolato. Spesso e anzi si direbbe elettivamente asciugato da ogni narcisismo e atto di esposizione autoriale. È un dono e un’operazione riservata. È per la collettività, non in forma autistica, ma evita lo show. L’oggetto di senso viene donato alla collettività senza passare necessariamente per i canali della consueta “notificazione” legale = spettacolare. (Pur se una “notizia” può essere, ma non deve essere, fornita).
In questo senso, un post in un blog è solo in parte una contraddizione in termini. Vero è che può costituire una documentazione ex post (!). Successiva. Dopo che il dono è stato fatto (segretamente + per tutti + senza più possesso dell’artista + senza alcuna “vendita” + senza narcisismo + senza un destinatario né una fonte “privilegiati” + senza immaterialità).