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roma, 20 ott. – 10 nov.: “poetica della sedia” @ studio campo boario
Una mostra di sedie d’artista e una serie di riflessioni su un oggetto antropologico fortemente iconico
Ideazione:
Eclario Barone, Claudio Bonuglia, Roberta Melasecca, Alberto D’Amico, Azadeh Shirmast.
In esposizione opere, foto e installazioni di:
Antonella Albani, Carmelo Baglivo, Eclario Barone, Marco Bernardi, Claudio Bonuglia, Alberto D’Amico, Ysabel Dehais, Nina Eaton, Francesco Ghisu, Emanuela Lena, Gulia Lusikova, Rossella Menichelli, Azadeh Shirmast, Silvia Stucky.
Interventi teatrali e letture:
GIovanna Floris, Antonio Sanna, Chiara Serani (intervistata da Marco Giovenale)
Evento facebook:
https://www.facebook.com/events/3173351866292700
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anacronismi. giovanni di stefano e la pittura cieca / alberto d’amico. 2023
Anacronismi
Giovanni Di Stefano ha qualche anno più di me, uno o due, non ricordo. Non so come ma ci siamo trovati subito in sintonia, sarà per l’umorismo simile, un po’ pazzoide, per questa vena malinconica che ci contraddistingue e anche perché siamo diversi e quindi siamo incuriositi l’uno dall’altro.
Perché ho pensato al titolo “anacronismi” scrivendo di Giovanni? Perché ricordo quel giorno in cui seduti su uno dei muretti di tufo che circoscrivevano le quattro aiuole del ferro di cavallo a via Ripetta parlavamo, da studenti dell’Accademia di Belle Arti. Lui diceva che gli sembrava altamente anacronistico dipingere a olio soggetti figurativi in quegli anni (i primi anni ottanta), mentre a me sembravano anacronistiche le ricerche sperimentali che stava svolgendo lui. Chi aveva ragione? Nessuno dei due o entrambi mi verrebbe da dire pescinbarilescamente. Come mi piacerebbe ascoltare ora le parole che usammo, che usavamo in quel periodo. I periodi cambiano, e i tratti pertinenti si modificano, un periodo per esempio è importante la lunghezza del collo delle persone per stabilirne l’eleganza, la grazia e qualche anno dopo ecco che arrivano le mascelle quadrate a imporsi come canone di bellezza. Ma non divaghiamo, ho sempre apprezzato moltissimo i lavori di Giovanni, li trovo puliti, rigorosi, incentrati su un’idea forte, quella della pittura cieca e invidiavo un po’ tutto il gruppo degli eventualisti, un cenacolo sorto intorno a e per volontà di Sergio Lombardo che si riuniva nello studio Jartrakor in via dei Pianellari. Del gruppo faceva parte anche Anna Homberg, psicanalista che aveva fondato la “Rivista di psicologia dell’arte”. Per la stessa cattedra all’Accademia, “teoria della forma e psicologia della percezione”, Giovanni frequentava Lombardo e io Nato Frascà ma non mi rifiutati di andare a curiosare tra quello che facevano. Mi piaceva il gruppo e fu molto interessante la lezione di Lombardo su Magritte. Forse Giovanni m’invita a far parte del gruppo, non ricordo, forse rifiuto perché invece per me sono i gruppi qualcosa di legato al passato, o perché fin dai primi anni del liceo mi avevano affibbiato l’appellativo di “cane sciolto” e anche in quel caso volli mantenere (stupidamente?) quel “tratto d’irindendità”.
Giovanni, qualche anno prima, ai tempi del liceo, mi fece uno dei più bei complimenti ricevuti. Era di sera, forse saranno state le undici e ero a casa con mio padre, mi citofona Giovanni, sale su e mi dice: volevo dirti che con te si può parlare di cose serie ma anche scherzare, in genere le persone sono polarizzate in questi campi. Oddio, non disse scherzare, ma forse cazzeggiare o per usare un oldlogismo precedente “cazzarare”. E poi se ne andò.
Del nostro dialogo sui muretti di via Ripetta, potrei dire che riproducevamo il conflitto tra moderni e postmoderni, che mi era stato appena raccontato dal mio amico che frequentava la facoltà di architettura nell’epoca della contrapposizione tra Zevi e Portoghesi.
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Quando creammo, con altri compagni d’Accademia (Claudio Bonuglia e Giovanni Lamorgese) lo Studio Campo Boario, Giovanni ci onorò, nei primi mesi del 1992, subito dopo l’apertura avvenuta nel dicembre 1991, con una sua performance, Un esperimento di pittura cieca, in cui lui e Chiara Dondoli (non Ferragni) eseguirono uno dei lavori più interessanti di Giovanni, che consiste nel campire con la matita un grosso cerchio disegnato a pennarello su tela.
Il compito, a occhi aperti, sarebbe stato molto semplice; invece in stato di deprivazione visiva diventava impossibile. Per Giovanni, lo scarto tra la sua intenzione di campire il cerchio e il risultato assume un valore estetico.
Qualche giorno dopo Giovanni, in privato e non davanti al pubblico come nella performance, incise, sempre in stato di deprivazione visiva, una grande lastra in alluminio, che mi donò. Devo assolutamente recuperare quel video.
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La nostra collaborazione era iniziata poco prima, quando mi sottoposi alla ricerca di un minuscolo foro praticato su carta fotografica al buio, con l’unico ausilio di un raggio laser che, avendo sensibilizzato la carta fotografica, ha permesso, dopo l’opportuno sviluppo, di mostrare la traccia, tremante o sicura, della mia ricerca del foro.
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La nostra collaborazione proseguì al Centro Sperimentale di Cinematografia dove insegnavo. Alcuni allievi parteciparono alle “Prove di Memoria”, noi mostravamo loro una configurazione di poligoni irregolari di cartone bianco su un fondo nero, per un tempo determinato (pochi secondi), poi loro si assentavano, noi scompigliavamo il tutto, e loro dovevano ricostruire la composizione. Al successivo studente veniva mostrata la configurazione e si procedeva. Ogni immagine realizzata veniva fotografata con lo scatto singolo e successivamente è venuto fuori un breve video in cui si poteva osservare verso quale direzione evolveva la ricostruzione degli allievi. Questo lavoro mi piaceva molto perché era incentrato sulle leggi percettive e mi ricordava la tesi sulla “piegatura fenomenica” che stava scrivendo mia moglie Stefania. Fatto sta che il lavoro di Giovanni diventa ben presto molto bel strutturato, riconoscibile, legato a procedimenti elaborati e semplici. Insomma, mi piace. Mi piace questa sua “tavolozza”, essenzialmente solo bianca e nera. Mi piace come il segno gestuale sia presente ma avvicinato a modalità esecutive legate alle scienze sperimentali, la psicologia prima di tutto e mi piace che Giovanni mi dica che poi alla fine quello che conta è il risultato estetico, non come nei test psicologici che poi devono essere interpretati per capire traumi e personalità di chi li esperisce. Risultato estetico davvero notevole e nello stesso tempo il risalto dovuto al procedimento, alle regole a volte molto rigide, simili forse a quelle che in seguito scoprii con Dogma di Lars von Trier.
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Link per I lavori di Giovanni:
https://www.giovannidistefano.ch/errori-significanti/
https://www.giovannidistefano.ch/laser/
http://www.giovannidistefano.ch/
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Link dei lavori in collaborazione:
https://youtu.be/BMz5IO_3AKM
https://youtu.be/JDd95C133DU
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