Il primo giorno è la sfida, il secondo giorno di neve la sfida continua e si fa rischiosa. Comincia una sorta di ebbrezza, preludio della depressione, lieve, del terzo giorno. Il quarto giorno si avvertono i primi sintomi di soffocazione e la stanchezza dei muscoli: non si è allenati a camminare con scarpe di peso almeno doppio o triplo dell’usuale. Lo stupore arriva al quinto giorno quando il cumulo della neve fa capire che la sfida è perduta e che era, tutto sommato, insensata.
Sfidare la neve è pericoloso. Con la nostra cultura da dilettanti del nord, è come andare all’assalto dei carri armati con la cavalleria, patetico eroismo da polacchi nell’ultima guerra. Il sesto giorno, quando si ricomincia a pensare, si precipita in vertiginose irritazioni constatando l’universale assenza di pensiero. Nessuno è preparato a comportamenti alternativi e allora si comincia a imprecare contro la «cosa pubblica» che non risolve le situazioni di emergenza. Più che non risolvere ci si rende conto che la «cosa pubblica» (stato o municipalità) ormai incapace di pensiero e di decisioni giace k.o., succuba dell’ideologia dell’emergenza. l giornali sottolineano, non si sa se compiaciuti o patetici, che «arriva l’esercito». L’irritazione a questo punto comincia ad avere più fondamenti. Ci si domanda: ma come, di fronte a un’emergenza reale si chiamano a soccorso entità irreali, dai movimenti difficili a volte goffi, come l’esercito? Si mandano i carri armati Leopard a spazzare la neve? Tutti possono constatare che i carri armati Leopard sono più adatti a forare l’asfalto. Continua a leggere