Nasce “Per una Critica futura”

Per una Critica futura n.1Nasce un nuovo periodico online, “Per una Critica futura”, quaderni di critica letteraria a cura di Andrea Inglese, ospitati dal sito di Biagio Cepollaro.

La rivista è in formato pdf: questo primo numero [ottobre 2006, file pdf 199 Kb] – contiene cinque interventi:

Andrea Inglese, Editoriale
Gherardo Bortolotti, Su Neuropa
Alessandro Broggi, Questionario
Biagio Cepollaro, Note per una Critica futura
Marco Giovenale, Del sottrarre

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Dall’Editoriale:

Ma si può fare critica anche diversamente. Si può fare, ad esempio, critica dei testi. (E tale critica non per forza deve assomigliare a quella critica che si usa definire “critica testuale”, di stampo strutturalista). La critica dei testi non prende impegni sul versante poetiche d’autore e correnti. Essa, con un andamento scettico, sdegna i grandi insiemi, per interrogare con ostinazione la particolarità di un testo. La priorità ai testi vuole essere ovviamente un principio metodologico, ma esso poggia su di una scommessa ardita: provare a formulare il valore d’uso della parola poetica. Non solo, dunque, mettere tra parentesi molte presupposizioni, lasciando che il testo riveli i suoi interni meccanismi di senso. Vorremmo anche che si dicesse, fin dove è possibile, come quel testo può parlare di noi e del mondo. O forse, detto in altri termini, vorremmo che si dicesse in che modo facciamo uso di un testo poetico. Entrambi questi obiettivi presuppongono un assunto: la poesia contemporanea, quella che noi stessi scriviamo o leggiamo o recensiamo, sappiamo troppo poco cos’è. La sua realtà è in gran parte fantasmatica, in quanto leggiamo spesso poco e male. Ci muoviamo attraverso pregiudizi, intuizioni, grandi approssimazioni. Sappiamo sciorinare di un autore parentele e appartenenze, ma frettolosamente ci siamo immersi nella lettura dei suoi testi.Partire dai testi significa anche, allora, interrogare le nostre forme di lettura, smettendo di considerare ovvia l’esistenza di questo genere letterario, la sua capacità di parlarci, la nostra possibilità di riconoscere in esso qualcosa che siamo. Di qui allora l’esortazione ad una sobrietà nell’uso del vocabolario, che eviti il più diffuso difetto del critico letterario, ossia il compiacimento del proprio linguaggio, spesso settoriale sino al gergalismo. Quando, invece, molti testi di poesia contemporanea dovrebbero richiedere la creazione di nuove categorie critiche, di nuovi strumenti concettuali, insomma più lavoro di pensiero e meno di stile. Recuperare il valore d’uso di un testo poetico, significa quindi cercare di sfuggire agli aspetti ottundenti del rito. Ritrovare una spregiudicatezza e un’intimità con il testo, che il critico universitario non può quasi mai permettersi. Vuol dire anche, scegliere la modestia dell’appunto, della glossa veloce, del frammento, che non per forza implicano un atteggiamento impressionista. Molti giovani studiosi universitari, ad esempio, incanalano il loro talento critico secondo le esigenze della produzione accademica. In sintesi, essi spendono le loro maggiori energie sui defunti o sui canonizzati. Ma spesso amano leggere poesia contemporanea, al di fuori di qualsiasi prudenza senile, di qualsiasi reticenza da ordinario di letteratura. E non trovano tempo per scrivere qualcosa di sufficientemente “solido”, “documentato”, “serio” sui poeti più giovani o su quelli meno noti. Anche per loro l’esortazione è quello di “scrivere comunque”, di partire dalla “lettura” anche di un solo testo, di rinunciare alle note a piè di pagina, ai riferimenti “dotti” ma superflui, ecc. Il loro contributo sarebbe estremamente prezioso. Così come lo è il nostro, di poeti-poeti, o di poeti-critici. Passare dall’entità fantasma “poesia contemporanea”, ectoplasma variopinto e sfuggente, all’approdo parziale, ma preciso, tangibile, a qualche testo.

Andrea Inglese

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Cosa vuol dire, leggendo della poesia, fare poi della critica? Cosa vuol dire oggi, in un tempo in cui il testo come entità semiologica, tende ad avere diverso statuto, incalzato dall’oralità secondaria della telematica e dall’utilizzo di altri media, diversi dal libro, con relative implicazioni?

Paradossalmente l’esteriorizzazione a cui sembra richiamare il mutamento del paesaggio tecnologico, invita, può invitare, ad una concentrazione maggiore sull’atto di lettura (a monitor, su foglio appena uscito dalla stampante, su pagina densa di libro)…

Così come nelle città del Nord, freddissime d’inverno, ha sapore e importanza particolare, ritrovarsi insieme al chiuso, magari a cantare, di certo a bere…

Ma è condizione nuova ed è tutta da riconfigurare.

Occorre, tra l’altro, indagare sul senso da dare, o da ritrovare, a quel termine concentrazione, che potrebbe rivelarsi, in profondità e sorprendentemente, come il suo contrario apparente: dispersione. Esiste insomma una dispersività che, invece di disperdere, raccolga, che raccolga proprio nel senso etimologico, nel senso eracliteo?

Biagio Cepollaro

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