Una disarmante esperienza del peggio

Il Rapporto Censis 2007 diffuso lo scorso 7 dicembre. Siamo un paese “senza chiamata al futuro”
Una “inerzia diffusa” impedisce di guardare avanti

articolo di Silvia Tessitore

Le considerazioni generali che introducono il 41° rapporto Censis sulla situazione sociale italiana – una foto di famiglia che l’istituto di ricerca ci scatta ogni fine anno per mostrarci come siamo, e come potremmo essere domani – iniziano con un’affermazione positiva, che – di questi tempi non proprio facili – ha quasi l’effetto di una pacca sulla spalla: “Il Censis conferma una sequenza positiva di lungo periodo (dal rifiuto dell’ipotesi del declino, alla patrimonializzazione, dall’individuazione di schegge di vitalità economica fino al piccolo silenzioso boom descritto lo scorso anno)”. “Oggi si può confermare una visione positiva: – dice il Censis – sia perché cresce nelle imprese la qualità delle strategie competitive (di nicchia, di offerta sul mercato del lusso, di lavoro su commessa, ecc.); sia perché si va allargando la base territoriale dello sviluppo; sia perché abbiamo finalmente anche noi dopo decenni alcuni importanti big-players. Ed è una visione positiva che sembra poter superare anche le turbolenze finanziarie addensatesi negli ultimi mesi”. Insomma, facciamoci forza: non tutto è perduto, come qualcuno vorrebbe farci credere.

“Tuttavia, – prosegue il rapporto – le dinamiche di sviluppo in atto restano dinamiche di minoranza, che non filtrano verso gli strati più ampi della società. Lo sviluppo non filtra sia perché non diventa processo sociale, sia perché la società sembra adagiarsi in un’inerzia diffusa, una specie di antropologia senza storia, senza chiamata al futuro”. Il sospiro di sollievo di cui al punto precedente si ferma in gola e diventa un groppo: “senza chiamata al futuro” è una sentenza durissima. Nella foto di famiglia di quest’anno c’è in alto un esiguo gruppo di ben vestiti, dall’aria curata e sorridente, nella parte superiore, e in quella inferiore “i parenti poveri”: e sono la stragrande maggioranza, perché quelli di sopra (alla maniera del ricco Epulone) non gettano a quelli di sotto che poche briciole. In questa “antropologia senza storia”, di “inerzia diffusa”, si tende a mantenere lo status quo. A quelli di sopra perché conviene, a quelli di sotto perché non hanno scelta, sono soggetti a ricatti e precarietà d’ogni tipo: e il senso di fragilità che ne deriva spesso paralizza l’iniziativa. Quelli di sopra pesano, pressano. E sembra non esserci alcun futuro, alcuna trasformazione possibile. Il groppo in gola vorrebbe sciogliersi in lacrime, a questo punto. Ma è forse il caso di guardare in faccia la realtà: non siamo in un reality, e il rischio è che nessuno venga a recuperarci, dall’Isola degli Esclusi, se non facciamo qualcosa.

“Una realtà sociale che diventa ogni giorno una poltiglia di massa; – rincara la dose il comunicato numero 1 del Censis – impastata di pulsioni, emozioni, esperienze e, di conseguenza, particolarmente indifferente a fini e obiettivi di futuro, quindi ripiegata su se stessa. Una realtà sociale che inclina pericolosamente verso una progressiva esperienza del peggio. Settore per settore, nulla quest’anno ci è stato risparmiato: nella politica come nella violenza intrafamiliare, nella micro-criminalità urbana come in quella organizzata, nella dipendenza da droga e alcool come nella debole integrazione degli immigrati, nella disfunzione delle burocrazie come nello smaltimento dei rifiuti, nella ronda dei veti che bloccano lo sviluppo infrastrutturale come nella bassa qualità dei programmi televisivi. Viviamo insomma una disarmante esperienza del peggio”.

Che altro aggiungere? Eccoci qua, siamo “un Paese senza”, come titolava la puntata di Anno Zero (il programma di Michele Santoro) del 13 dicembre, ricordando le vittime del lavoro, la strage che ogni anno si porta via in Italia centinaia di operai perché tutti – dalle ditte più grandi e prestigiose alle più piccole – non rispettano più la sicurezza, perché di fronte alla massimizzazione dei profitti la sicurezza della vita umana è solo un costo, soltanto una voce di spesa, e proprio come in guerra i generali diramano dispacci nei quali si dice: “risparmiate le polveri e i cannoni, e se ci scappa qualche morto amen, è la guerra”. Riferiva proprio ad Anno Zero l’ex magistrato e ora senatore Felice Casson che al Petrolchimico di Marghera (alle cui morti per amianto e al cui devastante impatto ambientale Casson ha dedicato anni di inchieste) che dal quartier generale dell’azienda arrivavano direttive chiare, e nero su bianco, in barba a qualsiasi norma vigente: “manutenete il meno possibile”, tanto se qualcuno muore pagano le assicurazioni.

Una famiglia senza più regole, senza più garanzie, senza più amore (potremmo dire), ma non facciamo finta che si tratti di un problema di oggi. Questa è solo l’estrema conseguenza di una situazione che abbiamo lasciato incancrenire dal tempo, e di cui siamo sempre stati consapevoli, alla quale abbiamo variamente offerto forme di resistenza che oggi paiono insufficienti, ma che c’è: è italiana. Dalla multinazionale Tyssen Krupp all’ultimo cantiere edile del sud, dai drammi solitari e impossibili di donne maltrattate e violentate in famiglia con numeri da far rabbrividire il terzo mondo, dalla collusione diffusa per aggirare le leggi ai lavavetri che minacciano questa specie di tranquillità, in cui un terzo dell’economia è sommersa e in mano alle organizzazioni criminali, la “disarmante esperienza del peggio” è tale – insiste il Censis – “che, quasi quasi al termine poltiglia di massa si potrebbe (con eleganza minore) sostituire il termine più impressivo di “mucillagine”, quasi un insieme inconcludente di “elementi individuali e di ritagli personali” tenuti insieme da un sociale di bassa lega. Pertanto in una società così inconcludente appare difficile attendersi l’emergere di una qualsivoglia capacità o ripresa di sviluppo di massa, di “sviluppo di popolo” come si diceva una volta; e le offerte innovative possono venire solo dalle nuove minoranze attive”.

E chi sono, le “minoranze attive”? Chi ci salverà dal peggio? “La minoranza che fa ricerca scientifica e innovazione tecnica, orientata all’avventura dell’uomo e alla sua potenzialità biologica; la minoranza che, nella scia della minoranza industriale oggi rampante, fa avventura personale e sviluppo delle relazioni internazionali (si pensi ai giovani che studiano o lavorano all’estero, ai professionisti orientati ad esplorare nuovi mercati, agli operatori turistici di ogni tipo, ecc.); la minoranza che ha compiuto un’opzione comunitaria, cioè ha scelto di vivere in realtà locali ad alta qualità della vita; la minoranza che vive il rapporto con l’immigrazione come un rapporto capace di evolvere in termini di integrazione e coesione sociale; la minoranza che si ostina a credere in una esperienza religio­sa insieme attenta alla persona e alla complessità dello sviluppo ai vari livelli; e le tante minoranze che hanno scelto l’appartenenza a strutture collettive (gruppi, movimenti, associazioni, sindacati, ecc.) come forma di nuova coesione sociale e di ricerca di senso della vita. Si tratta senz’altro di una sfida faticosa, che le citate diverse minoranze dovranno verosimilmente gestire da sole. Ma sfida desiderabile, per continuare a crescere forse anche con un po’ di divertimento; sfida realistica, perché non si tratta di inventare nulla di nuovo ma di mettersi nel solco di modernità che pervade tutti i Paesi avanzati”.

Una grande speranza, anzi – dice il Censis – l’unica possibile. Ma questa “sfida faticosa”, quanto ancora ci deve costare, per riportare l’Italia a condizioni di benessere e civiltà? E va bene, è Natale, ci sono le feste e tutti abbiamo bisogno del giusto riposo e di un po’ di tranquillità, di spensierarci un po’ dalle preoccupazioni quotidiane. Ma la Befana questo 2008 porta cenere e carboni. Non facciamo finta di stupirci, quando apriamo la calza.

(Silvia Tessitore – da didonne.it – dicembre 2007)

Per approfondire i contenuti del rapporto, clicca qui:
– Le considerazioni generali – La società italiana al 2007 – I processi formativi
– Lavoro, professionalità, rappresentanze – – Il sistema di welfare – Territorio e Reti
– I soggetti economici dello sviluppo – Comunicazione e media – Processi innovativi
– Sicurezza e cittadinanza