L'”opera-di-opere” che si intitola Delle restrizioni, a cui ho dato avvio diversi anni fa e che viaggia lentamente/variamente sparsa o disintegrata in periodici e riviste, va figliando via via nuclei dotati di un comunicabile senno tematico. La serie Il segno meno fa tessitura con l’argomento dello sfaldarsi, dell’ombra, della perdita e cenere e sparizione dei legami, dei rapporti, della memoria; e soprattutto: con il tema dello spossessamento delle case, la fine dei luoghi (cari).
È parte di un progetto testuale più ambizioso, sul discorso/decorso della dissipazione. Ma costituisce sezione già indipendente. [Se ne veda qui l’esito più recente].
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Ancora, può esser detto, più in generale, che:
(Specie) adesso: quasi ogni parola e luminescenza video è o rischia l’isomorfismo, di isteria, di retorica. Si può scegliere al contrario anzi del tutto altrove – e perfino pronunciare – una parola niente affatto ermetica, però cifrante, normalmente versata in torsione, tensione che la porta fuori dal detto consueto (mansueto). E la muove verso un punto dove non si salva dal contestarsi per prima, da sé. (È il Pensiero del fuori, ovvero è Foucault).
Questo ha qualcosa a che vedere con l’allegoria, con la sottrazione e i calchi cavi che parlare comporta.
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Un moto cellulare costante nel corpo di Delle restrizioni è il flettere metri noti in unità ritmiche “inferiori”, e – soprattutto – volentieri segmentare sintassi, quasi pensandola stiletto deviato allo sguardo da immersione in acqua. Nella scrittura tutto ha a che fare con la percezione, e con il doppio che ogni evento e oggetto è. L’uso addirittura ossessivo delle spezzature, o di corsivi e parentesi, e molte inarcature forti, nelle poesie, non segnalano un registro laconico né suggeriscono indicazioni performative, “di lettura”, semmai distribuiscono a raggiera le varianti di libertà/ostacolo al passaggio di senso, mantenendo un certo numero di attriti semantici rilanciati – invece che attenuati – dalle frammentazioni, dagli urti. (Visti).
Questa ricerca desidera in tutta umiltà dialogare con le (e quasi rispecchiarsi nelle) osservazioni che Emilio Garroni, nel suo Estetica. Uno sguardo-attraverso, ha dedicato alla terza Critica kantiana in direzione di un «risalimento» – sui casi esemplari di Bernhard e Beckett – delle interrogazioni sul senso-non-senso poste dal secolo che si è chiuso.
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poscritto:
Il significato, i significati, e anche certi loro movimenti (d)elusivi, umbratili, raggiano senso non quando viene istituita una parola “riconoscibile”, bensì quando in ogni spezzatura e frase e dispositivo o deposito formale echeggia la necessità di quel vincolare immagini, parole, suoni. “Come se” questi facessero allegoria (già data, nota). (E, invece, nell’istante di nascere la originano: è nuova).
La costruzione della necessità in poesia assomiglia al meccanismo di fondo dell’allegorizzare in generale. E forse al “dar senso” in generale. Che si attiva in occasione di ogni atto percettivo, di ogni frammento del banale esistere – umano.