Archivio mensile:Gennaio 2008

Ancora una nota per Il segno meno

L'”opera-di-opere” che si intitola Delle restrizioni, a cui ho dato avvio diversi anni fa e che viaggia lentamente/variamente sparsa o disintegrata in periodici e riviste, va figliando via via nuclei dotati di un comunicabile senno tematico. La serie Il segno meno fa tessitura con l’argomento dello sfaldarsi, dell’ombra, della perdita e cenere e sparizione dei legami, dei rapporti, della memoria; e soprattutto: con il tema dello spossessamento delle case, la fine dei luoghi (cari).

È parte di un progetto testuale più ambizioso, sul discorso/decorso della dissipazione. Ma costituisce sezione già indipendente. [Se ne veda qui l’esito più recente].

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Ancora, può esser detto, più in generale, che:

(Specie) adesso: quasi ogni parola e luminescenza video è o rischia l’isomorfismo, di isteria, di retorica. Si può scegliere al contrario anzi del tutto altrove – e perfino pronunciare – una parola niente affatto ermetica, però cifrante, normalmente versata in torsione, tensione che la porta fuori dal detto consueto (mansueto). E la muove verso un punto dove non si salva dal contestarsi per prima, da sé. (È il Pensiero del fuori, ovvero è Foucault).

Questo ha qualcosa a che vedere con l’allegoria, con la sottrazione e i calchi cavi che parlare comporta.

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Un moto cellulare costante nel corpo di Delle restrizioni è il flettere metri noti in unità ritmiche “inferiori”, e – soprattutto – volentieri segmentare sintassi, quasi pensandola stiletto deviato allo sguardo da immersione in acqua. Nella scrittura tutto ha a che fare con la percezione, e con il doppio che ogni evento e oggetto è. L’uso addirittura ossessivo delle spezzature, o di corsivi e parentesi, e molte inarcature forti, nelle poesie, non segnalano un registro laconico né suggeriscono indicazioni performative, “di lettura”, semmai distribuiscono a raggiera le varianti di libertà/ostacolo al passaggio di senso, mantenendo un certo numero di attriti semantici rilanciati – invece che attenuati – dalle frammentazioni, dagli urti. (Visti).

Questa ricerca desidera in tutta umiltà dialogare con le (e quasi rispecchiarsi nelle) osservazioni che Emilio Garroni, nel suo Estetica. Uno sguardo-attraverso, ha dedicato alla terza Critica kantiana in direzione di un «risalimento» – sui casi esemplari di Bernhard e Beckett – delle interrogazioni sul senso-non-senso poste dal secolo che si è chiuso.

 


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poscritto:

Il significato, i significati, e anche certi loro movimenti (d)elusivi, umbratili, raggiano senso non quando viene istituita una parola “riconoscibile”, bensì quando in ogni spezzatura e frase e dispositivo o deposito formale echeggia la necessità di quel vincolare immagini, parole, suoni. “Come se” questi facessero allegoria (già data, nota). (E, invece, nell’istante di nascere la originano: è nuova).

La costruzione della necessità in poesia assomiglia al meccanismo di fondo dell’allegorizzare in generale. E forse al “dar senso” in generale. Che si attiva in occasione di ogni atto percettivo, di ogni frammento del banale esistere – umano.

 

Alice disambientata

Bologna, primavera 1977. Alice è l’emblema del Movimento. Nella città che ne è l’epicentro, l’Alma Mater Studiorum è occupata. Al DAMS c’è un professore stravagante, che scrive saggi geniali e non si stanca mai di raccontar storie. Così il suo seminario su Lewis Carroll si trasforma in un collettivo politico, una scuola di scrittura creativa, un cineclub, un concerto rock, un set psicanalitico. Soprattutto un posto dove «farsi delle storie». Un’inedita identità collettiva è il referente e insieme l’artefice di Alice disambientata perché, com’è detto nelle prime righe, ormai è dappertutto. Come l’Araba Fenice, è senza luogo e senza dimensione: cade, precipita, scivola nel non-luogo del linguaggio, così rimpicciolendo e ingrandendo a volontà. Il suo, dicono gli studenti e scrupoloso annota il prof, è «un modo per non farsi catturare».
Esplosione terminale della forma-saggio, de-scrittura anticorale e rizomatica, libro-nonlibro, Alice disambientata – che l’anno dopo pubblica L’Erba Voglio di Elvio Fachinelli – nell’accidentata e affascinante parabola di Gianni Celati rappresenta una specie di buco nero. Una “parte maledetta” che ora l’autore riscrive da cima a fondo. Demistificato tutto ciò che si poteva umanamente demistificare, i ragazzi concludono che «con le parole è possibile giocare in infiniti modi, e questo è uno. È possibile anche smettere di giocare». Siamo nel maggio del ’77. Alice esce contemporaneamente al libro-chiave di Celati, Lunario del paradiso: nel marzo del ’78. Al Carnevale, non solo a Bologna, succede la Quaresima. La festa è finita. Cade un silenzio di piombo.

[A.C.]

Alice disambientata. Materiali collettivi (su Alice) per un manuale di sopravvivenza
A cura di Gianni Celati. Le Lettere, collana FuoriFormato, Firenze 2007