Cambio di paradigma



Micropremessa


Quanto di séguito si schematizza e si afferma vale come primo resoconto e presa d’atto – report osservativo – di una determinata area di scrittura contemporanea. In più, il perimetro così delineato non è privo di interruzioni, falle, faglie, porosità, cedimenti. Come ogni neoformazione, tutto sommato. In aggiunta, chi qui scrive non inscrive l’intera sua identità di autore nella detta area. Alcuni suoi testi le appartengono in pieno, altri in parte, altri per niente.



Quando si parla di cambio di paradigma, in riferimento alla scrittura o ad alcune scritture di ricerca degli ultimi decenni e segnatamente a quelle degli ultimi quindici-venti anni, specie in Francia e Stati Uniti e perfino in Italia, può essere sensato annotare e rammentare che :

  1. marcano spesso una linea di differenza dalle avanguardie storiche e da un numero consistente di esperimenti di fine Novecento a quelle legate;
  2. segnano un tendenziale anzi radicale distacco da derive metatestuali, veteromallarmeane, da ‘culto del Libro’ (e del libro), o ragionative-rilkiane, alato-heideggeriane – in voga specie tra anni Ottanta e Novanta;
  3. si connettono semmai strettamente a una serie di meccanismi o avvenimenti, occorrenze (non necessariamente tutte sempre verificate e/o contemporanee), e caratteristiche o proprio fatti, che possono essere non inutilmente elencati :



– Perdita o attenuazione di assertività del testo. (Perdita del momento/postura “io autore [ti] sto dicendo che”).

L’autore non afferma (da posizione elevata o meno), non stabilisce i parametri assertivi del materiale che pure produce; non fabbrica quel modello eroicamente ultrasemantico che spetterebbe al critico deuteragonista notomizzare.

Sembra piuttosto – da scrivente sopraffatto quanto stoico – agganciarsi a (e aggirarsi in) un mondo che straparla sovrascrive sovraproduce prima di lui, da cui è aggredito e che a sua volta aggredisce. Sembra in più riportare, riferire, inserire nel testo gli elementi di una sua sfiducia o dubbio di fondo nei confronti del proprio garantire autoriale [soggettivo, da proiettile inenzionato, intenzionante] uno spessore veritativo-esemplare al detto.


– Ombra

Ci sono delle ombre nel testo, opacità che non valgono certo come impressionismi né dispositivi kitsch alonanti. L’autore postparadigmatico (!), di suo già rovinosamente astigmatico, è troppo lavativo anche per cliccare sul pigro pulsante “blur” della sua macchina digitale. C’è, semmai, del non detto in gioco. C’è del silenzio. (Non dell’ineffabile, o inafferrabile; semmai un tot/Toth di indeterminato/-abile).

Il lettore, invece, lui, da interprete, deve (sapere, volere) ‘unire i puntini’, fare il disegno che manca, spolverare via una parte di ombra. Il testo nutre una sua probabilmente non illogica illusione circa gli scatti ermeneutici del ‘fruitore’. È il lettore a dover zoomare.


– Emersione di un meccanismo come il googlism, …

…assai più vicino al momento aleatorio dadaista (ma meglio ancora a Burroughs, se proprio si deve trovare un riferimento puntuale) che alle accensioni delle avanguardie successive. Eppure anche l’objet trouvé dadaista non è affatto calzante. Si parla infatti [K.S.Mohammad] di testi non “trovati” bensì “cercati”: non “found” ma “sought”:

cfr. http://gammm.files.wordpress.com/2007/02/mohammad_soughtebook.pdf


– Dal googlism a flarf il passo è – felicemente – breve

(…e non verrà spiegato qui)


– Scrittura procedurale.

Dal cut-up al googlism: scrittura vincolata, istituzione di regole, scrittura concettuale [Goldsmith], installazione, elencazione, testo-oggetto, unione di arbitrio e vincolo.

Griglia procedurale (fissa) piuttosto che dispersione/diffusione o distruzione delle forme. La procedura sostituisce le forme. Le istruzioni e gli elementi neutri annullano l’ego in vari modi, per altro. E, insieme, annullano il quantum di “garanzia” di “arte” (o “senso”) che l’ego del dichter volentieri emette a sigillo dell’opera.

Non è forse del tutto casuale che talvolta a proposito di googlism si parli di “google-sculpting”: unendo dunque l’idea di “sought poem” a quella di installazione/scultura (entrambi i termini pietrificando o eludendo, inoltre, il soggetto). (Ma: come non è centrale il soggetto in queste scritture, è del pari fuori centro o in ogni caso non primaria una questione del soggetto, che da materia di “poetica” slitta verso uno statuto differente: di strategia operativa interna al testo).


– Scrittura anche esente e assente da spettacolo

Letture che non prevedono l’autore, testi legati a installazioni (appunto), perfino a una qualche fissità espositiva implosa, introversa; addizione di materiali non testuali al testo, dislocazione del testo in pratiche semiotiche non lineari e infine anche non testuali, reading in cui l’autore non compare, dove può comparire una macchina che legge al posto suo, o proietta la pagina; o in cui la lettura consiste in blocchi verbali così uniformi ed eccedenti da non prevedere che l’autore – anche presente – li legga tutti; né che il lettore faccia altro che ‘scorrere’ le sequenze.

Tutte le – possibili – prassi elencate rovesciano all’esterno della pagina quelle che del resto sono virtù potenziali delle nuove testualità entro i confini del foglio: il loro naturale e si direbbe genetico – ancorché non necessitato – ibridarsi con le arti, o meglio con più campi semiotici anche non frontalmente “artistici”.

“Installazione” – in queste aree – tende a prevalere su “performance”. Il testo non viene – o non viene necessariamente – performato, sottolineato, convocato nell’agorà, esibito; è semmai – al più – posto, orientato (spazialmente, verbalmente o meno), eseguito; non chiede poeta-dicitore “dittante”; a volte non necessita nemmeno di un lettore particolarmente coinvolto, non vuole uno spettatore necessariamente-fittamente preso, convocato; anche considerando che, spesso, si ha in campo del materiale linguistico che non è pensato per una “lettura” lineare seriale ma per una “visione” anche superficiale e “a blocchi” [Leftwich, Kervinen, Ganick, Novarina], o per una scorsa o scansione e osservazione e considerazione distratta, che salta, ecc.: cfr. i materiali nel blog http://hotelstendhal.blogsome.com


– Gradazioni di dissolvimento dell’autore=lettore in quanto dichter dalla SCENA

…piuttosto che sua esposizione/esibizione (specie spettacolare). (Questa identità è addirittura uno dei punti di fondazione del sito e ensemble di autori http://gammm.org fin dalla sua nascita nel 2006).


– Scrittura asciugata dai marcatori del ‘poetico’ (ma anche del ‘testuale’).

Opere in cui il gioco [bibelot, direbbe Ch. Hanna] sillabico, rimico, ‘culturale’, etimologico, connotativo, non è la prima mira, il primo scopo. Può esserci ma sottotraccia, volentieri ininfluente, decisamente non esibito. Si gode se non c’è? Non per forza. Eventualmente.

E si aggiunga: meglio testi senza metafore. (In Francia si parla di “littéralité” / letteralismo).

Infine: testi in cui il tasso di riconoscibilità, di ‘autosegnalazione’ in quanto poesia, tende allo zero o è assolutamente zero.


– Scrittura senza soggetto (grammaticale).

(Ripresa dei pidocchi pronominali – specie di prima persona – quasi soltanto in funzione ironica, o esclusivamente in funzione ironica. O dove funzionali a una citazione, a un racconto altrui, ecc. Oppure: spostamento del narrato su un piano di falso resoconto, falso diario; o veridico, ma a temperatura bassissima). (Infine, e anche: loose writing). (Su questo si avrà modo di tornare).


– Sequenza ed elenco piuttosto che narrazione…

…e piuttosto che lirica; e piuttosto che struttura (sia versale, poematica, o ragionativa, o appunto narrativa).


– Ironia.

(l’ironia non è sempre spiegabile e percettibile in assenza di corpo, in assenza di tratti soprasegmentali).


– Scherzo, gioco, déréglement della misura, del bon ton poetico (autoriale).

(Senza che questo comporti espressionismo. Spesso è vero il contrario).

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[testo uscito su “il verri” n. 43, giugno 2010, poi in Nazione indiana pochi giorni fa

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