Stasera a Roma, al Circolo delle Quinte, in viale Trenta Aprile 4, si presentano testi e immagini (e opere verbovisive) di Jennifer Scappettone e del sottoscritto.
Prendo spunto da questa occasione per dire qualcosa sulle pagine che leggerò e sulle immagini che a queste si legano; saranno infatti parzialmente inedite. Mi spiego.
Si tratta di poesie da La casa esposta, e di CDK, un testo breve in prosa che ho scritto direttamente in inglese nel 2007, e che Xavier Stern ha voluto fosse esposto insieme ad alcune foto mie (del 2005-06) nella mostra collettiva UberTrashung a Nizza nel marzo del 2007.
Le foto erano quelle in parte già uscite innanzitutto nel 2006 insieme alle poesie di Superficie della battaglia (immagini e testi pubblicati dalla Camera verde) e poi – in numero accresciuto – nel settembre 2007 – nel libro La casa esposta (Le Lettere, collana fuoriformato; che raccoglie foto ma non testi di Superficie della battaglia, che resta dunque opera distinta e indipendente).
Le immagini vengono dunque dal disastroso scasamento durato un anno (2005-2006), che ancora qualche incauto in scritti sparsi o recensioni chiama con leggerezza «trasloco», ma che fu il trasporto lo spostamento la parziale distruzione di un’abitazione che in verità era un’area di magazzini, quasi un aeroporto, un villaggio, una città fondata trent’anni prima (la cui vastità, la cui complessità ho cercato di documentare attraverso circa due-tremila fotografie: pubblicandone però solo una quarantina). Un accadimento – non è poi esagerazione – apocalittico, gestito da mio padre, semicieco e ultraottantenne, da mia madre, di poco più giovane e assai più fragile; e in parte da me, che potevo lavorarci solo a intermittenza, essendo bloccato quotidianamente altrove, dal lavoro che non potevo lasciare e che ci permetteva di vivere.
Il testo CDK è stato poi pubblicato sulla rivista «OR», apprezzato da Drew Kunz e da questi accolto nella sua collana / casa editrice Tir aux pigeons, nel 2009.
In occasione della lettura di oggi al Circolo delle Quinte ne ho fatto una traduzione in italiano, inedita perciò. Volentieri la leggo per la prima volta, stasera.
Le immagini che – in slide – concluderanno la serata saranno poi quelle della Casa esposta: quasi tutte quelle del libro, più 20 o 25 non esposte o mostrate prima.
Mentre procede la lettura di CDK, saranno proiettate in slide, invece, alcune mie “sibille asemantiche”, asemic sibyls. Scritte (o drawritten) nel 2008, in occasione di un ulteriore e folle spostamento: stavolta il “trasloco” della libreria in cui lavoravo. Tra i primi mesi e soprattutto nel giugno del 2008 io e altre poche persone abbiamo spostato decine di migliaia di libri, e oggetti e materiali, mercanzie, merci, opere, liberando la vecchia libreria. Da solo, poi, nei giorni dal 1 al 15 luglio 2008, ho riorganizzato e avviato la stessa libreria in un altro luogo: dal caos più assoluto a un tentativo (credo riuscito, al tempo) di ordine.
A lavoro finito, leggendo il diario di viaggio nel Paesi Bassi di Albrecht Dürer, curato da Adalgisa Lugli per Utet (e recentemente ristampato da Diabasis), mi sono trovato a lavorare in parallelo alle poesie di Soluzione della materia (poi èdite da La camera verde, 2009), ad alcune sibille asemantiche (tra cui appunto quelle proiettate stasera), e infine ai testi di una ulteriore serie, intitolata Ira, inazione, ira, che avrebbe poi avuto accoglienza al Premio Delfini, nel 2009 (e che probabilmente diventerà, con altro titolo, un piccolo libro in uscita a fine 2011, per un altro editore ancora).
Non leggerò stasera da Soluzione della materia né da Ira, inazione, ira, ma entrambi i testi si legano strettamente alle sibille (quindi in qualche modo al clima e climax di malinconia verbovisiva che sento in Emilio Villa – e in Debord), e al diario di viaggio di Dürer, che è uno straordinario accumulo narrante di accumuli: sequenza di oggetti.
Dürer viaggia a ridosso della nascita dell’età moderna: nei primi anni del Cinquecento. Assiste all’incoronazione di Carlo V. Scambia o vende opere, manufatti, curiosità. È ossessionato dall’annotazione e dall’elenco, dalla registrazione dei passaggi di piccole e grandi meraviglie, doni, eventi, descrizioni di descrizioni.
Siamo in prossimità, geografica e storica, del gran flusso di oro e di merci che inizia a scorrere dalle Americhe. Siamo nel nodo storico che segna l’avvio del colonialismo in tutto il mondo; della violenza dello sfruttamento e dello schiavismo esteso a livello planetario: i primi passi della mondializzazione. E siamo in piena ossessione pre-barocca di Wunderkammer, nel momento di nascita del capitalismo che avrebbe secoli dopo generato l’industria, e che già lì genera l’ideologia delle merci illimitate, della crescita e dell’accatastamento di ricchezze senza fine, di beni, cose, “roba”, “valori”.
(Francesca Vitale ha nel tempo esposto sue fotografie e opere a base fotografica in varie occasioni legate al tema della “camera delle meraviglie”: tra queste, cito la mostra La natura del mondo, presso la libreria-galleria Al ferro di cavallo, a Roma, nell’ottobre 2001: vi avevo preso parte su suo invito con due dei testi di una serie che da quel periodo vado scrivendo, intitolata Ossidiane, che — daccapo — è legatissima alle sibille asemantiche).
Nel Cinquecento, con la nascita del moderno, in qualche modo assistiamo al medioevo che reirrompe con violenza nel moderno e lo avvelena, e si raffigura un mondo illimitatamente disponibile ad essere posseduto, sfruttato, riempito di oggetti, di merci. È una trasformazione del medioevo, uno schiacciamento o torsione di ideologie cattoliche e post-cattoliche, a cui fa gioco la fede luterana nella giustificazione per mezzo delle opere: non c’è più bisogno di auctoritas e di alcuna assoluzione per affrontare la devastazione del terreno e della vita (e dell’anima, negata) dell’altro. Lo si può fare a cuor leggero, convinti che il successo mondano è segno e pegno di salvezza – anche laddove significa collasso energetico, prosciugamento di risorse, estinzione di specie, genocidio.
Il testo che conclude Ira, inazione, ira (che tuttavia non leggerò) monta materiali da quel diario di Dürer e ne fa catasta sconfortata e spiazzata. A segno o disegno – precisamente – di un’ideologia suicida=omicida.