repetita: ostendere

temo non ci sia modo di spiegarsi se non ostensivamente, in tema di scritture dopo il paradigma.

al momento dunque si fa (si può fare) (anche) così:

si prende un oggetto testuale, o verbovisivo, oppure delle opere grafiche asemantiche, o interventi di carattere installativo, anche performativo, sonoro eccetera, e si passa alla condivisione: si mostra quanto si sta facendo, o si è fatto (magari, per esempio in Francia, negli ultimi trent’anni e più). si mostra quello che c’è.

si fa una lettura, un post, un incontro. (o, al limite, una serie di incontri, come nel caso di EX.IT). si fa un sito, un blog. si organizza un reading.

si mostra al lettore, all’osservatore, quel che c’è da vedere. (volendo vedere).

costui – il lettore – ne chiederà ragione. questa ragione (che tale non è) non potrà essere articolata, concessa, e dall’altra parte recepita, intesa, se il lettore non è lui per primo (in virtù di una serie di esperienze) disposto/intenzionato da una parte ad andare verso il testo, e dall’altra a osservare che già il proprio sguardo è dopo il paradigma. (lo è normalmente, nella vita di tutti i giorni: non c’è “avanguardia” e “ricerca” in tante cose post-paradigma che facciamo, vediamo, sentiamo, leggiamo, scriviamo, pensiamo, quotidianamente. non sono azioni e percezioni di tipo letterario, e allo stesso tempo si tratta di tracce di un modo di essere profondamente diverso dagli ‘standard’ – dalle dominanti – di anni o decenni addietro).

se ci si ostina a guardare il riflesso della finestra e non attraverso la finestra sarà sempre impossibile vedere cosa c’è fuori. (e viceversa, ovviamente: se si guarda soltanto fuori, non si è in grado di usare la finestra anche come non inutile specchio).

al carattere ostensivo del gesto critico sono personalmente persuaso si debba legare strettamente e indissolubilmente – in questa fase storica – il fondamento SU AUTORI NON ITALIANI.

martellanti vecchie letture e riletture di autori canonizzati italiani sono quasi inevitabilmente destinate al fallimento. forse anche in quei (magari nemmeno rari) casi in cui alcuni italiani (‘maestri’) esistano.

anche perché si tratta di letture e riletture ovviamente non svincolabili da uno storicismo che inquadra in uno e in un solo modo le avanguardie e che dunque non può proprio mettere le mani in modo competente e utile nel dopo paradigma, perché questo “dopo” quasi non parla affatto il linguaggio critico (e storicistico) italiano.

al contrario, con chi avrà attraversato – anche per excerpts – gli ultimi venti-trent’anni di scrittura anglofona e francofona (le ricerche di centinaia di autori) si stabilirà inevitabilmente, naturalmente, un dialogo.

si stabilisce: di fatto.

ripetizioni inutili di righe e temini postpuberali sul gruppo 63 o su Palazzeschi o Calvino marcano i ripetitori come non interlocutori (ovvero: come persone non disposte – loro – all’interlocuzione, al dialogo).

nel preciso momento in cui sento parlare di metatestualità neoavanguardista, o di gruppo ’93, o di eredità diretta di Sanguineti, è inevitabile correre a connotare il canale di comunicazione come poco o nulla attendibile. così – e con gioia – si passa ad altro.

(cioè a interlocutori effettivi. a soggetti meno inclini a pavlovianamente salivare beati soltanto al gong delle ultime pagine dei loro manuali di liceo dello scorso millennio).

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