poche ingenuità su “dopo il simbolico”

e se si stesse passando da una fase antropologica di pensiero simbolico a una fase connotata da un altro tipo di pensiero?

ovviamente nel macro-contenitore |il simbolico| sto facendo passare o entrare e stare cose che non sono strettamente legate al simbolo, ma anche alle – differenti – tracce e forme e modi del paragone, dell’allegoria, genericamente, così come dei vettori che capovolgono o problematizzano (o allontanano da) quella corrispondenza o possibilità di corrispondenza: quindi la dissimmetria, l’antitesi, la differenza stessa –

volendo: il duale

e – con questo – l’implicito cursore che all’interno di una visione/visualizzazione di un duale si mette in movimento, facendo spola e costruendo non solo ponti ma direzioni terze, quarte, ennesime.

ora: se questo movimento cursorio fosse “in crisi”? (una crisi più profonda di quella che evidentemente gli dà comunque già fondamento?) (dato che pensare un cursore pacificato è pensare un ossimoro).

allora: se questo momento ancora animale nell’anthropos stesse mutando pelle, staccandosi da sé? se non ci fossero più arnie da cui ronzare fuori, cellette in cui tornare?

domanda, allora:

se stessimo superando [o arrivando al lento affioramento di una qualche forma di coscienza normale e serena del fatto che abbiamo già superato] forse non il simbolico e il duale, o l’abbinante, ma l’implicita richiesta di 1 che è in ogni 1 che entra in relazione con un 2?

ossia: la percezione il pensiero le persone in generale si trovano forse a oltrepassare – in una fase recente di storia – la proiezione (o il meccanismo proiettivo) che fa sì che l’1 rilanci sé, come 1, in un 2 che lui stesso così si precostruisce, si prearreda, e di cui organa fin le ultime minime fibre di feedback?

come sarebbe il testo di qualcuno che non riuscisse (più) a concepire l’altro, l’opposto, il differire stesso, e gli oggetti e le persone attorno come specchio e raddoppiamento? non riuscendo né mirando  in nessun modo dunque a dar loro lo statuto di testimonianza del medesimo?

non mina, questo, il duale? meglio: non mina il mimare?

tutto questo non fa forse sì che il soggetto dell’inconscio smetta di cercarsi & credere di trovarsi un ego (a propria – presunta – immagine e somiglianza) appropriato? non arriverà allora, questo soggetto, a poter gettare in lingua le cose non più come lui se le figura, ossia non come somiglianze orme calchi utili (o inutili) bensì come naturalmente sono, cioè come alterità integrali e staccate e integralmente prive di rapporto rassicurante (o meno) con lui e con il suo esprimersi?

non sarà restio a (anzi alieno in tutto dal) dare alla propria voce già il timbro di quella costruzione egotica che lui medesimo vuole l’altro intraveda? non sarà talmente lontano dal millantarsi solido e coeso, da lasciare del tutto all’altro-come-altro la (non più) propria voce?

non sarà sempre improprio, inopportuno?

non sarà in grado di sostenere la voce degli oggetti, di lasciare agli oggetti lo spazio del linguaggio?